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Burdisso a Fanpage: “Tornerò a lavorare in Italia. Magari con De Rossi…”

Nicolás Burdisso ha giocato 14 anni in Italia, disputando tutti i grandi derby della Serie A e marcando i migliori attaccanti. Sempre legatissimo in Italia, dalla sua Argentina natale l’ex Inter, Roma Torino e Genoa parla del suo passato e dimostra di essere sempre molto aggiornato su quanto accade in Italia.
A cura di Antonio Moschella
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A un mese dal compiere i suoi 40 anni, Nicolás Burdisso è uno dei dirigenti rampanti dell'Argentina. Dopo l'esperienza al Boca Juniors continua ad aggiornarsi a livello d'immagine e di marketing per migliorare sempre di più. Convinto dei suoi mezzi come quando faceva il calciatore, l'argentino non nasconde a Fanpage.it di avere un legame ancora fortissimo con l'Italia dopo le tante esperienze in Serie A: Inter, Roma, Genoa e Torino.

14 anni in Serie A non si cancellano facilmente…
"Sono tanti, certo. Ma soprattutto mi hanno ricordato poco fa che nessuno ha disputato sia il derby d'Italia (Juve-Inter ), il derby di Milano, il derby di Roma, il derby di Genova e quello di Torino (ride). Questo è il riassunto dei miei anni in Italia, un posto che mi ha lasciato tantissimo ed è una parte di me e nel mio cuore so che tornerò a lavorarci. E quello che mi tengo stretto di questo paese sono le similitudini con la mia Argentina, anche se all'inizio ci ho messo un po' ad abituarmi al tipo di vita italiano".

L'arrivo a Milano sponda Inter è successivo alla vittoria della Coppa Intercontinentale con il Boca Juniors contro il Milan, quando lei annullò Shevchenko. Quel 14 dicembre 2003 era scritto che sarebbe stato un giocatore dell'Inter…
"Per me è stata una scelta. Avevo vinto tre Libertadores e due Intercontinentali con il Boca, avevo 23 anni e con la nazionale avevo trionfato nel mondiale under 20 e da poco avevo vinto le Olimpiadi di Atene. C'erano altre due squadre a volermi ma quando è venuta fuori l'Inter per me era la scelta numero uno, e ho lottato per questo. E lì avuto la possibilità di giocare cinque anni con grandissimi campioni. Avevo bisogno di giocare e fare esperienza, ed è per questo che, oltre al difensore centrale, ho fatto il terzino destro, il terzino sinistro e anche il centrocampista.E ho imparato tantissimo. Quelli all'Inter, insieme a quelli del Boca e ai primi della Roma sono stati i migliori anni della mia carriera".

Era un difensore col vizio del gol, ma il più bello lo segnò all'inizio della sua avventura all'Inter, quando tornò in Argentina per affrontare al meglio la malattia di sua figlia…
"Sì, si può dire che quello è stato il mio gol più importante".

In quell'occasione il presidente Moratti le fu molto vicino.
"Moratti è stato un presidente unico, diverso da tantissimi altri. Una persona molto umana e carismatica. In quel momento sia lui sia mister Mancini e i compagni hanno avuto molto rispetto per me e per mia figlia. Ed è per questo che sono voluto tornare e vincere con l'Inter tanti Scudetti e anche dare il via a una striscia di grandi successi. È stata la mia maniera di ripagare quanto loro, Moratti su tutti, mi avevano dato".

Con la Roma nella stagione 2009-10 avete sfiorato uno Scudetto storico. E contro l'Inter del Triplete, dalla quale lei veniva in prestito. È stata un'occasione sprecata?
"Non so se sia stata un'occasione sprecata. Semplicemente è andata così. Abbiamo raggiunto la finale di Coppa Italia e abbiamo lottato per lo Scudetto contro l'Inter. E non un'Inter qualsiasi bensì quella del Triplete, l'ultima grande squadra italiana. Personalmente mi piaceva molto affrontare quell'Inter, per una questione di massima competitività e di poter misurarmi contro dei grandissimi calciatori. Di quella stagione però resta una grande cavalcata con mister Ranieri, resta un anno favoloso sotto tanti aspetti ma che purtroppo non siamo riusciti a coronare con uno Scudetto che sarebbe stato storico".

Avrebbe preferito vincere un mondiale con l'Argentina o uno Scudetto con la Roma?
"Ah, non si può paragonare un titolo con una nazionale e uno con una squadra di club. Ma posso dire che vincere un mondiale con l'Argentina o uno Scudetto con la Roma sarebbero state sensazioni indimenticabili. In nazionale ho giocato due quarti di finale dei mondiali e con la Roma ho sfiorato il titolo, ma le sensazioni che trasmetteva la gente in quei momenti erano fantastiche".

Lei lasciò l'Inter proprio l'anno del Triplete.
"Ho sempre detto che mi ha fatto molto piacere per i miei ex compagni. Soprattutto la vittoria della Champions League. Appena finita la finale col Real Madrid io mi stavo preparando per giocare il mondiale (di Sudafrica ndr) e mi arrivò un messaggio da mister Mourinho che diceva ‘L'unica cosa della quale mi sono pentito quest'anno è che dovevi esserci anche tu con noi'. Questi gesti Mourinho li ha sempre avuti, anche oggi che continuiamo a essere in contatto".

Sente dunque un po' suo questo Triplete?
"Sì, perché conoscevo tutti, avevo giocato con tutti ma soprattutto perché volevo bene a tutti".

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Ha giocato con Zanetti e Totti, due capitani storici di Inter e Roma
"Quello che mi impressionava di entrambi è la loro carica carismatica. Oggi forse si fa più fatica a trovare calciatori come loro due che avevano sempre una parola, un momento o anche solo uno sguardo per farti vedere che erano diversi. Oggi ci stiamo abituando sempre di più a queste macchine, a questi calciatori che segnano, si allenano e vivono in un ambiente molto professionistico. Totti e Zanetti erano di altri tempi perché dopo tanti anni nella stessa squadra riuscivano a trasmettere sentimenti importanti a tutti quelli che erano intorno a loro".

Chi è stato l'attaccante più difficile da marcare?
"Nella prima parte della mia carriera ti direi Shevchenko, Van Nistelrooy e Drogba. Negli ultimi anni invece direi Higuain e Mertens, un altro attaccante fortissimo. Questi due hanno ancora oggi dei movimenti diversi da tutti gli altri".

Il suo ex compagno Ibrahimovic a quasi 40 anni continua a essere decisivo…
"Zlatan non mi sorprende. Lui ha avuto sempre una condizione atletica e una mentalità competitiva da professionista. Penso che anche gli allenamenti e la tecnologia del calcio hanno permesso che giocatori come lui oggi siano quasi imprescindibili perché hanno personalità, talento, competitività e danno un peso alla squadra, come ha fatto lui col Milan. Le mie sfide con lui le ricordo con piacere perché è un top player di quelli da affrontare sempre".

L'Inter è lanciatissima in questo momento…
"L'avevo detto fin da inizio campionato che era la squadra da battere. Oggi ha sicuramente un vantaggio senza giocare le coppe ma va detto anche che ha una dinamica di gioco consolidata e che i giocatori ormai si conoscono e si capiscono bene. E poi Conte non molla mai. Spero che tutto vada avanti nel verso giusto per coronare la stagione con lo Scudetto".

Uno degli insostituibili di Conte è il suo conterraneo Lautaro Martinez…
"A Lautaro lo vedo sempre molto bene. Ci sta facendo fare belle figure a noi argentini, che ormai da anni siamo legatissimi all'Inter".

A Roma lei ha incrociato anche Lorenzo Pellegrini, oggi titolare con Fonseca.
"L'ho conosciuto quando lui giocava nella Primavera e l'ho affrontato quando era al Sassuolo. È un giocatore molto interessante che deve continuare a crescere. Da romano conosce bene l'ambiente e sa gestirlo, ma la sfida più grande per un romano alla Roma è costruire qualcosa per vincere, perché alla fine il calcio si riduce alle vittorie".

Nel tuo passaggio alla Roma hai fatto un'amicizia importantissima come quella con Daniele De Rossi, che poi hai portato al Boca.
"Daniele è una persona molto vicina. Da parte mia c'era moltissima ammirazione per una persona come lui diversa dalle altre. Non ho dubbi che continuerà a fare la storia del calcio italiano. E mi auguro di seguirlo perché abbiamo gli stessi valori, la stessa filosofia di vita dentro e fuori dal campo. Il suo percorso da tecnico sarà pieno di risultati sia in campo sia fuori perché lui è una persona che trascina e trascende quanto accade in campo e questo lo rende diverso dagli altri".

Sta dicendo che le piacerebbe tornare a lavorare con De Rossi in Italia?
"Il desiderio è quello…".

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Roma è un po' come Buenos Aires?
"A livello di gente ho sempre pensato che il romano vive e pensa come il porteño (abitante di Buenos Aires). Poi a Roma sono arrivato a 28 anni con la giusta esperienza e condizione fisica e ho fatto due secondi  posti e due finali di Coppa Italia. Significa perciò che bisognerà tornare per vincere quello che si vuole vincere".

Come prosegue la sua formazione da dirigente sportivo?
"Cerco di aggiornarmi sempre su tutto, ma non solo sul campo ma anche a livello di business e martketing. La mia reputazione nel calcio d'élite e la mia personalità lo richiedono. Io so che tornerò in Italia, sto aspettando la proposta giusta dopo aver rifiutato alcuni incarichi in alcune squadre sudamericane perché non mi convinceva il loro progetto sportivo".

Prima di tornare in Italia vorrebbe consigliare qualche giovane argentino di prospettiva?
"Direi Bernabei, Belmonte e Morales del Lanús, Medina e Capaldo del Boca, Julian Alvarez del River Plate e  Vera dell'Argentinos. Però purtroppo in questo momento non vedo nessun calciatore argentino sul quale puntare a occhi chiusi."

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