Brescia-Atalanta, quando il gemello di Mazzone divenne famoso: “Quei cori mi trafissero il cuore”
Chiunque segua il calcio, anche chi era troppo piccolo per ricordarselo o addirittura nel 2001 non era ancora nato, avrà visto almeno una volta nella vita il video della corsa di Carlo Mazzone – scomparso il 19 agosto 2023 a 86 anni – sotto la curva dell'Atalanta nel derby lombardo con il Brescia. La sua squadra sta perdendo 3-2 a pochi minuti dalla fine e preso di mira dai tifosi bergamaschi, l'allenatore romano promette di andare ad esultare sotto il loro settore in casa di pareggio. Roberto Baggio segna e Mazzone non si trattiene, rendendosi protagonista di un gesto così istintivo da sembrare lontano anni luce dai comportamenti artificiosi e ipocriti del calcio di oggi. Un momento che ha fatto epoca tanto da essere ricordato in ogni occasione, anche a distanza di oltre vent'anni.
L'episodio
Il 30 settembre 2001 allo stadio "Rigamonti" va in scena il derby lombardo tra Brescia e Atalanta. Gli ospiti ribaltano l'iniziale vantaggio di Baggio con le reti di Sala, Doni e Comandini e mettono al sicuro la vittoria già alla fine del primo tempo. I tifosi della Dea sono in estasi e intonano canti e cori offensivi nei confronti dei rivali. I più pesanti sono rivolti a Carlo Mazzone, da sempre inviso perché romano e romanista, e da un anno e mezzo anche allenatore dei cugini bresciani. Lui si prende gli sfottò, incassa gli insulti scrollando le spalle, finché qualcuno offende sua madre, toccando un tasto dolente perchè l'ha persa prematuramente.
Nella ripresa, mentre i cori continuano senza sosta, a cambiare è risultato. Baggio raccoglie in area una spizzata di Tare e scarica il pallone alle spalle di Taibi. Con un quarto d’ora abbondante ancora da giocare, l’atmosfera s'infiamma e tutti iniziano a credere alla rimonta, pubblico e giocatori. Tutti volgono lo sguardo al campo, tranne uno. Mazzone, invece di esultare, si rivolge con aria di sfida verso la curva dell'Atalanta e pronuncia in dialetto romano quella frase che sarebbe entrata di diritto nella storia: "Se famo er tre a tre vengo sotto ‘a curva".
La promessa viene mantenuta al 90′, quando il divin Codino realizza su punizione la tripletta personale e il suo 175° gol in Serie A. Mazzone scatta dalla panchina e corre come un invasato per almeno 80 metri, inseguito da due dirigenti del Brescia, il vice Leonardo Menichini e l'addetto stampa Edo Piovani. Lui sgomita, è invasato e nessuno dei due riesce a trattenerlo. Mazzone corre con il pugno alzato e urlando il più classico dei "Mortacci vostra" a chi l'aveva insultato per tutta la partita. Si ferma solo davanti ai cartelli pubblicitari, senza più fiato ma appagato. Ha solo il tempo di stringere la mano all'arbitro Collina e dirgli: "Buttame fori, me lo merito”.
Derby in tuta sotto gli occhi di Guardiola
Penultima tappa di una lunga carriera in provincia, oltre alle grandi occasioni mancate alla Roma e al Napoli poi retrocesso, Mazzone era arrivato al Brescia nell'estate del 2000, dopo lo storico passaggio a Perugia con lo scudetto tolto alla Juventus sotto il nubifragio. Avrebbe smesso quattro anni dopo, all'età di 68 anni, sulla panchina del Bologna. La quinta di campionato della stagione 2001-2002 metteva in calendario Juve-Roma e Lazio-Parma. Era la stagione del Chievo dei miracoli e dell’Inter di Vieri e Ronaldo destinati a vivere il fatidico 5 Maggio. Il match più atteso della giornata si giocava proprio al Rigamonti di Brescia, dove si sfidavano le rondinelle di Mazzone e l’Atalanta di Vavassori. Il derby lombardo più sentito in assoluto, una rivalità tra le più accese e sentite della serie A.
Da una parte l’Atalanta di un Cristiano Doni al top della sua carriera e di talenti che avrebbero fatto le fortune della squadra in futuro, come Luciano Zauri, Damiano Zenoni e Gianpaolo Bellini. Anche l'allenatore, Giovanni Vavassori, era un prodotto delle giovanili della Dea, prima come calciatore, poi come allenatore. Dall'altra parte l’ambizioso presidente del Brescia Corioni, che aveva portato in provincia uno dei giocatori italiani più forti di tutti i tempi, quel Roberto Baggio pallone d'oro nel 1993. Al sanguigno Mazzone, non certo uno da giacca e cravatta, il compito di allenare anche il promettente bomber Luca Toni e il fuoriclasse catalano Pep Guardiola, che quel pomeriggio era in tribuna appena arrivato da svincolato dopo undici anni a Barcellona. Proprio a lui si rivolse Mazzone a fine gara: "Spero non si sia impaurito di ‘sto casino, alla fine gli ho detto che non è sempre così".
Il "fratello gemello" di Mazzone
Intervistato da Tele+ nel postpartita, Mazzone si presenta ancora scosso e dirà che "quello che avete visto correre era il mio gemello, quello che arriva a mezzogiorno della domenica e prende il posto mio". È consapevole di andare incontro ad una squalifica. Prenderà cinque giornate, senza lamentarsi. Anzi sdrammatizzando: "Il fratello gemello di Mazzone prende il mio posto e ogni tanto fa casini". Negli spogliatoi darà ironicamente la colpa a Baggio: "Robbe', proprio oggi me dovevi fa’ sti 3 gol?". La dimostrazione di un rapporto straordinario tra i due, certificato dalle parole dell'attaccante: "Ho apprezzato il Mazzone professionista e ho amato l’uomo Carlo, una persona schietta, sincera, in un mondo in cui vanno avanti i ruffiani, i leccaculo, gli opportunisti".
Anni dopo il mister racconterà così l'episodio nella sua autobiografia Una vita in campo (Baldini+Castoldi): “Fu sul 3 a 1, realizzato proprio alla fine del primo tempo, che arrivò alle mie orecchie l’eco di cori sempre più forti e sempre più beceri che mi trafissero il cuore come tante spine. Parole che non accettai quella domenica e che non potrei mai accettare da nessuno. Carletto Mazzone romano di merda, Carletto Mazzone figlio di puttana: non era solo un’offesa nei miei confronti. Era una cattiveria gratuita che mi colpiva negli affetti più profondi”. Non si pentirà mai e se tornasse indietro lo rifarebbe cento volte. Del resto anche Cesare Zanibelli, il dirigente accompagnatore che aveva intuito quello che sarebbe potuto accadere e ha provato a rincorrerlo per fermarlo, lo diceva sempre: "Carlo è un uomo di parola…".