Bremer esalta Mazzarri, l’uomo che gli ha svoltato la carriera: “Mi ha fatto capire una cosa”
Gleison Bremer è in assoluto uno dei migliori difensori della Serie A. A suon di grandi prestazioni è diventato un calciatore della nazionale Brasile e ora che ha aumentato la sua popolarità a livello internazionale è stato intervistato da uno dei principali quotidiani inglese, il Telegraph. Bremer ha parlato dell'origine del suo nome e ha parlato di Walter Mazzarri, l'allenatore che gli ha fatto fare il salto di qualità.
Difensore roccioso e abile anche in fase realizzativa, il brasiliano ha questo nome (Bremer) in onore a Andy Brehme, terzino sinistro dell'Inter e della nazionale tedesca, che vinse segnando il gol decisivo i Mondiali del '90: "Mi chiamo così perché Andreas Brehme era un giocatore che piaceva molto a mio padre, lo vide giocare ai Mondiali in Italia e così mi ha chiamato come lui: ho ancora questo pensiero di lui che guardava sempre Brehme giocare con la Germania. In famiglia
siamo tre figli, tutti con il nome di qualcuno che è stato ammirato".
Da Bahia è passato a San Paolo, da ragazzino ha cambiato città e ha iniziato la scalata verso il grande calcio, la sua parabola è stata rapida e velocemente è passato in Italia, pescato dal Torino. L'avvio è stato complicato, poi la sua vita calcistica è cambiata grazie a Walter Mazzarri che gli ha fatto capire una serie di cose, ha usato le parole giuste e gli ha dato fiducia: "Mazzarri è stato come una figura paterna per me. Il primo anno in Italia è stato davvero difficile. Non ho giocato molto e sono arrivato al punto di voler andare via, ma Mazzarri mi ha fatto un discorso: mi ha fatto capire che contava su di me, di avere pazienza e di concentrarmi sugli aspetti tattici del calcio italiano. Venivo da un calcio in cui la fase difensiva era affrontata in maniera diversa rispetto all'Italia, quindi mi disse di imparare quello stile di gioco e che quando sarebbe arrivato il momento, mi avrebbe dato la mia opportunità. È andata esattamente così. Dopo un anno ho avuto la mia opportunità e non ho mai smesso di giocare".
Il difensore della Juventus ha citato due difensori a cui si è ispirato: il connazionale David Luiz e Kompamy, che per anni è stato un perno del Manchester City, ma ha soprattutto ha descritto bene la situazione dei calciatori brasiliani che vivono con una pressione incredibile ogni singola partita: “Giocare per il Brasile è come due facce della stessa medaglia. Da una parte è un grande piacere ed il sogno di ogni bambino indossare la maglia della propria Nazionale, me compreso. Ma d'altra parte c'è anche una grande responsabilità e una grande pressione. Le cinque stelle comportano molta pressione, il Brasile deve vincere ogni partita. La gente vuole vedere il Brasile del 2002, quando abbiamo vinto l'ultima Coppa del Mondo. Sono passati cinque Mondiali dall'ultima vittoria e sappiamo che è un periodo troppo lungo. Quando si gioca la Coppa del Mondo la guardiamo sempre come se fosse destinata a noi. Se non lo facciamo, è come se abbiamo già perso".