Bobby Moore, l’icona del calcio inglese che alzò la Coppa del Mondo dopo aver sconfitto il cancro
Non c'è un’immagine più evocativa o più celebrata nella storia del calcio inglese di Bobby Moore che in un mite pomeriggio di luglio alza la Coppa del Mondo dopo la vittoria conquistata a Wembley contro la Germania Ovest. L’immagine del calciatore di Barking e dei suoi compagni in festa è rimasta un unicum nella storia del calcio britannico perché nessun capitano dell'Inghilterra si è mai avvicinato al raggiungimento di ciò che il leader del West Ham United nel 1966.
A 25 anni Moore era una superstar mondiale alla pari di James Bond e Frank Sinatra eppure la sua eroica ascesa poteva terminare meno di due anni prima che il sole brillasse sulla sua faccia sotto le Torri di Wembley. Sono passati 28 anni dal giorno in cui la vita di Moore fu tragicamente interrotta, ma la sua battaglia contro il male incurabile iniziò nel novembre 1964, quando aveva 23 anni: gli fu diagnosticato un cancro ad un testicolo. La moglie gli disse che non poteva più ignorarlo, visto che il calciatore del West Ham urlava a letto dal dolore ma lui, che era stato votato come “Miglior giovane calciatore dell'anno” e aveva portato gli Hammers alla gloria della FA Cup contro il Preston North End, intraprese questa lotta. E lo fece in silenzio, come ha scritto la moglie Tina nella sua autobiografia: “A quei tempi il cancro era qualcosa che semplicemente non menzionavi, una parola tabù, una prospettiva spaventosa. Tutto quello che riuscivo a pensare era: ha solo 23 anni e gli è stata consegnata la condanna a morte". Venne operato d’urgenza e il testicolo venne rimosso: dopo l’asporto, il tumore andò in remissione e dopo tre mesi tornò incredibilmente a giocare.
Moore è il primo inglese che ha alzato la Coppa Rimet al cielo ma viene ricordato anche perché si asciugò le mani infangate prima di accettare il trofeo dalla regina Elisabetta II: un vero gentleman. Da quel momento in poi il capitano del West Ham e dell'Inghilterra era una superstar mondiale ma chi lo ha conosciuto dice che rimase lo stesso di sempre. Sir Bobby Moore era duro quanto onesto, dentro e fuori dal campo, e quando è morto sia Franz Beckenbauer che Sir Alex Ferguson lo hanno ricordato come "il miglior difensore nella storia del calcio“.
Su Moore si è espresso con parole dolcissime anche Pelé, che dopo la sua scomparsa disse “era un amico e il più grande difensore contro cui abbia mai giocato", ma la partita contro il Brasile nel Mondiale del 1970 ha rischiato di non giocarla perché venne arrestato in una delle amichevoli giocate in Colombia prima del torneo. Sir Bobby venne accusato di aver rubato un braccialetto d’oro e per sbloccare la situazione pare che dovette intervenire il Primo Ministro Harold Wilson. Moore e la nazionale campione del mondo in carica riuscirono a partire per il Messico e proprio contro la Seleçao di Pelé, Jairzinho, Gérson, Tostão, Rivelino e Carlos Alberto si fermò il loro percorso nel torneo ma il capitano inglese fu protagonista di interventi difensivi straordinari (uno su tutti, quello su Jairzinho) e a fine partita grande fair-play con Pelé e compagni.
Lasciò il calcio dopo 699 partite con i club e 108 con la nazionale nel 1978 e un cancro all'intestino lo ha portato via nel febbraio del 1993. Se c’è una statua in suo onore davanti al nuovo Wembley Stadium un motivo ci sarà ma la sua eredità può essere riassunta dalle parole che la moglie Tina pronunciò mentre lo guardava sollevare al cielo la Coppa del Mondo quel giorno di luglio 1966: "Che uomo".