Bernardeschi: “Vi dico cosa succede nel gruppo Whatsapp dell’Italia. Ricordiamo le parole di Vialli”
Federico Bernardeschi è uno degli eroi di Wembley. Sì, eroi. Questo classe 1994 che oggi gioca col Toronto FC, fa parte di una generazione che era stata dipinta come ‘priva di talento' e criticata in maniera feroce da tutto il paese ma che a distanza di poco tempo ha riportato l‘Italia sul tetto d'Europa dopo più di cinquant'anni. Il percorso di Bernardeschi ha preso la strada del nuovo mondo, le grandi strade canadesi per la precisione, e anche lì è diventato un idolo dopo esserlo stato a Firenze prima di passare alla Juventus: poteva tornare in Italia a gennaio ma i pezzi del puzzle non si sono incastrati nel modo giusto ed è rimasto in Canada dove segna e fa segnare, si diverte e la sua squadra lotta per un posto nei play-off della Major League Soccer.
L'ex calciatore di Fiorentina e Juve è stato chiamato a commentare la gara contro la Croazia in una tv canadese e al pareggio, che ha permesso agli Azzurri di qualificarsi agli ottavi di finale di EURO 2024, si è scatenato in studio e poi ha postato il video della sua esultanza sui social scrivendo:"Orgoglioso di voi". ‘Azzurri una volta, Azzurri per sempre' diceva Gianluca Vialli e lo ha ripetuto anche Bernardeschi nella lunga chiacchierata a Fanpage.it: la Nazionale, il trionfo contro l'Inghilterra e il viaggio per arrivare a Wembley, il Canada e la Juventus, l'impegno sociale e politico dei calciatori, il suo presente e il futuro. Un dialogo a 360°.
Ma come se la passa Bernardeschi in Canada?
"In Canada si vive molto bene, c'è una qualità di vita molto alta, e questo è dato dal fatto che ci sono tante opportunità. Quindi le persone hanno la possibilità di dimostrare il proprio valore, c'è tanta meritocrazia, questo devo dire che avvantaggia un po' tutto, ed è un paese in espansione totalmente. Poi ovviamente io, noi sportivi in generale, perché qua ci sono tanti sport (hockey, baseball, basket), siamo una categoria fortunata, e sicuramente abbiamo una vita più agevolata. Devo dire che rispetto all'Italia si sta meglio, questa differenza soprattutto negli ultimi anni sta venendo molto fuori e mi dispiace un po': ci sono sempre meno persone che possono permettersi determinate cose. Io vengo da una famiglia di operai, non è che vengo dal lusso. Non mi è mancato niente, per carità, però non vivevo nella bambagia. Su questo devo dire che qui invece il livello di vita medio è molto alto".
Che tipo di calcio è quello della MLS rispetto a quello europeo e italiano?
"La grande differenza, secondo me, che c'è ancora è sul tempo di gioco, sul vedere le cose, sul vedere un po' prima la giocata. Su questo, secondo me, devono crescere molto. Ovviamente in Europa abbiamo, tra virgolette, inventato noi il calcio. È normale che siano un po' indietro, però è cresciuto molto già da 6-7 anni a questa parte, è diventata una lega differente. Secondo me ha un potenziale incredibile, soprattutto dopo il Mondiale del 2026 che sarà qui tra USA, Canada e Messico. Penso che crescerà tanto nei prossimi dieci anni. Di questo ne sono convinto, perché i soldi poi alla fine ce li hanno: tanti americani comprano squadre italiane e inglesi, quindi questo ti dimostra il fatto che dal punto di vista economico ci sono. In più, ovviamente, piano piano con l'arrivo di Messi è cambiato tanto, perché c'è molta più attenzione. Mentre prima si pensava di poter venire in queste realtà quando magari c'avevi un anno ancora da giocare, adesso stanno dimostrando che non sono più ‘da pensionati’, ma c'è un futuro.Non vieni più qua a fare l'ultimo anno di carriera perché magari vuoi startene più sereno, ma vieni qui perché c'è un progetto importante, quindi da questo punto di vista sono cresciuti tanto".
Come si vive il calcio in Canada, dentro e fuori dal campo?
"Ma guarda, qua è diverso perché innanzitutto ci sono quattro sport. Quindi non è tutto focalizzato su un unico sport come può essere in Italia. Questo secondo me è molto bello perché un bambino, un adulto, un signore più adulto ancora, può scegliere quello che lo appassiona di più. Ed è tutto in un'unica città, tra l'altro. C'è uno spirito sportivo eccezionale. Io quando esco vengo riconosciuto, assolutamente, però ti lasciano molto libero. Ti vedono, magari ti indicano da lontano, ma lasciano molta libertà alle persone. Credo che sia un fatto di mentalità, di come magari crescono loro. Poi qui hanno talmente tanti grandi personaggi: cioè qui vive Drake, capisci cosa ti voglio dire… Però devo dire che anche quando ero in Italia io non mi sono mai tirato indietro per foto, video, autografi. A me è sempre piaciuta come cosa. Comunque è una forma di rispetto, di orgoglio che ognuno di noi deve avere. Perché comunque se io posso far felice un bambino o una persona appassionata, perché non lo devo fare? Perché deve essere un qualcosa che mi pesa? In realtà quel bambino magari ero anche io da piccolo".
8 gol e 6 assist in 19 presenze: è soddisfatto della sua stagione in corso?
"Un bilancio molto positivo. Le cose sono cambiate molto rispetto anche all'anno scorso. Abbiamo una squadra più competitiva perché non è che un giocatore, due giocatori o tre giocatori possono cambiare le sorti di un gioco di squadra come il calcio. L’anno scorso è stato sicuramente un insegnamento, è stato un anno di ambientamento, soprattutto dal punto di vista familiare. Quando cambi una cosa ci vuole sempre il tempo di adattarsi. Il bilancio stagionale per adesso è molto positivo, sono contento, la squadra sta andando molto bene, siamo sesti in classifica: siamo lì, vogliamo andare ai playoff quest'anno e giocarci tutto arrivati lì. Il cammino è quello giusto, ci siamo. Magari capita qualche scivolone, ma principalmente poi le cose stanno andando meglio. Credo che se non è quest'anno, magari il prossimo, riusciamo a fare qualcosa di importante".
Ci racconta il suo rapporto con Insigne?
"È un rapporto molto buono con Lollo, assolutamente sì. Abbiamo condiviso tanto anche anche in passato. Siamo campioni d'Europa insieme, quindi insomma un po' di navigazione l'abbiamo fatta. Un rapporto ottimo, viviamo nello stesso palazzo, ci vediamo tutti i giorni al campo ovviamente, poi quando c'è la possibilità stiamo insieme anche con le famiglie".
Sta seguendo gli Europei? Che idea si è fatto dopo le prime partite?
"Certo. Gli Europei sono gli Europei, cioè tu hai la possibilità di vedere tutte le nazioni con tutti i più forti calciatori a disposizione e questo ti fa capire il livello che c’è. L’idea che mi sono fatto è che ci sono sempre le solite cinque o sei squadre un po' sopra gli altri e poi ci sarà la solita sorpresa. Il Belgio è partito con un piede sbagliato, però verrà fuori. La Turchia ha fatto bene. Devo dire che la nostra Italia c'è alla grande e quindi sono contento".
Come vede l’Italia in questo torneo? Ha sentito qualcuno che è in Germania?
"Noi abbiamo un gruppo Whatsapp dei campioni d'Europa dove ovviamente ci siamo scritti, e dove chi non è parte del gruppo squadra ha fatto l'augurio di godersi questo meraviglioso viaggio a chi lo sta affrontando. E siamo con loro, perché alla fine questa cosa la diceva anche Gianluca Vialli: ‘Azzurri una volta, Azzurri per sempre', cioè ‘Fratelli una volta, fratelli per sempre'. Questa cosa devo dire che ce l'ha trasmessa tanto e ci ha fatto anche tanto bene. Quindi è così, ci sentiamo, ovviamente siamo lì con loro e poi vediamo… Siamo i primi tifosi".
È uno dei calciatori che ha riportato l’Italia sul tetto d’Europa dopo più di 50 anni: a distanza di tre anni, qual è il primo ricordo della notte di Wembley?
"Guarda, l'immagine che ti rimane è quella del giro col pullman scoperto a Roma. Lì ti rendi conto, tocchi con mano quello che hai fatto, quello che abbiamo dato a una nazione e non solo, ma anche a tutte le persone che sono immigrate fuori dall'Italia. Ecco, è stato secondo me un qualcosa di straordinario. Ovviamente dal punto di vista professionale è stato un cammino eccezionale, un cammino fantastico per il gruppo che si era creato, per l'alchimia, per la gioia di stare insieme. Cioè a noi non ci pesava niente. Era come se fossimo in gita, non so come spiegarti. Quella emozione, quella sensazione, ci divertivamo, stavamo sempre insieme. Quando c'era da ridere si rideva, quando c'era da giocare si giocava, quando c'era da stare seri si stava seri. Era uno stare insieme, era un divertirsi, era un trasmettere emozioni all'altro, aiutare il compagno a starci. Magari c'era quello che aveva fatto male e che in partita si era sentito un po' più giù, ma tutti insieme, uno alla volta si parlava e si discuteva. Si portava tutti sullo stesso livello".
È questo quello che ha fatto la differenza? Perché questo modo di stare insieme era piuttosto evidente anche da fuori ed era proprio bello vedervi in generale.
"L’Europeo è stato quasi la ciliegina. Perché comunque noi siamo entrati nella storia già prima dell'Europeo. E questo ti fa capire da quanto siamo partiti da lontano. Cioè era forse quasi due anni e mezzo che eravamo imbattuti. Questo ti lascia quel senso di quel gruppo, di quello spirito. Si è visto magari di più a Wembley, ovviamente, perché c'è molta più attenzione su una competizione, però in realtà c'era da molto prima quello spirito lì. E poi eravamo forti, cioè, è inutile che ci giriamo intorno, eravamo forti".
Quindi non eravate così scarsi come vi aveva dipinto praticamente tutta la stampa italiana fino a pochi mesi prima.
"Questa cosa mi ha sempre fatto molto ridere. È come adesso che si dice che il calcio italiano sta vivendo un momento di flessione. Ma quale flessione? Nel 2021 abbiamo vinto l’Europeo. In questi tre anni cinque finali europee delle squadre italiane. Si dice che il campionato italiano non è all'altezza ma noi abbiamo vinto un Europeo contro l'Inghilterra in cui tutti i giocatori venivano dalla Premier League e i nostri per l'80% venivano dalla Serie A, eppure abbiamo vinto noi. In Italia siamo abituati più a guardare gli altri come fenomeni… ‘Wow guarda quello, guarda quell'altro'. Ma in realtà dobbiamo forse avere più consapevolezza di noi stessi, più consapevolezza dell'Italia, degli italiani e dei giocatori. Quello che si può dire è che questi ragazzi non hanno avuto il tempo di prepararsi come lo abbiamo avuto noi, perché comunque sono cambiate tante cose, è cambiato il CT. Ma non è che si può dire sempre che all'Italia manca qualità. Voglio dire, io ho letto la formazione, non vedo dove manca questa qualità".
Si può discutere sul fatto che forse ci manca una vera punta, un attaccante di primo livello?
"Ma in realtà, se te mi dici una punta più forte di Scamacca degli ultimi tre mesi…".
Si mettono delle etichette sui calciatori troppo presto o sono sbagliati i parametri di valutazione?
"Io ho fatto quasi 10 anni di Nazionale. Quando tu vedi dei giocatori, ci sono anche momenti da capire. Cioè magari arrivano dei giocatori che magari in quel momento non sono pronti per tirare fuori tutta la propria qualità. Ma come lo potevo essere anche io, ok? Se non è un mese, sarà sei mesi, sarà un anno, ma arriva. È questo che dico. Poi nelle grandi competizioni devi anche avere la fortuna di orchestrare una squadra, di trovare i giocatori pronti fisicamente, mentalmente, nel momento giusto. È questo che fa la differenza nelle competizioni così importanti. Se tu guardi l'Argentina di Messi, che ha vinto il Mondiale, guardi il Portogallo di Cristiano che ha vinto il 2016. I giocatori erano più o meno sempre gli stessi. Poi, quando nasce quella roba speciale, riesci a vincere la competizione. Ma la Francia è sempre lì. La Spagna stessa, i giocatori ci sono. Poi si devono creare anche tanti fattori per poter vincere".
Decisivo in entrambe le serie dei rigori contro Spagna e Inghilterra: c’è una cosa che non bisogna mai fare quando cammini da metà campo all’area?
"Sinceramente ti vengono talmente tanti pensieri e tante emozioni che a star lì dietro a tutto è veramente difficile. Io speravo che quella camminata passasse più in fretta possibile, nel senso che quella camminata è un po' un viaggio con te stesso. Ti sembra infinita. Quello che è capitato a me, ti dico la verità, è che ho vissuto mille emozioni, ma poi quando ho preso il pallone in mano tutto si è fermato. Questo secondo me è stato meraviglioso, perché poi mi sono concentrato, volevo mettere la palla lì e l'ho messa lì. Ecco, a me è capitato così, poi magari ad altri va in modo diverso. Però, fare quella camminata, avere l'opportunità di farla, è eccezionale, è un qualcosa che tu sogni, che tu senti dentro fin da quando sei bambino. Ti senti proprio vivo, ti senti lì nel presente. È meraviglioso".
Aveva vissuto la notte di Milano contro la Svezia e poi ha partecipato alla rinascita azzurra: che anni sono stati quelli per chi indossava la maglia della Nazionale?
"Anni complicati. È anche comprensibile perché non abbiamo fatto gli ultimi due Mondiali, queste cose fanno sì che che si pensi a criticare di più la Nazionale. Però vorrei ricordare che dalla vittoria di Wembley alla mancata qualificazione al Mondiale non è passato neanche un anno, cioè sono passati sei-sette mesi. Io penso che dopo la Svezia c'è stato un momento veramente buio del calcio italiano. Abbiamo un po' toccato il fondo. Era dal 2006 che non riuscivamo magari a essere competitivi. All'Europeo 2012 siamo arrivati in finale, però diciamo che l'Italia non si era più levata una soddisfazione a livello internazionale. Poi abbiamo vissuto momenti di alti e bassi. L'Europeo 2016 con Conte ha fatto riavvicinare la gente alla Nazionale, perché quello spirito di gruppo che si era visto era stato fondamentale e mi ricordo che quando siamo tornati c'erano i tifosi in aeroporto che applaudivano, nonostante fossimo usciti ai rigori contro la Germania. Perché poi il popolo italiano, secondo me, vuole vedere questo: lo spirito di gruppo, che ci tieni alla maglia, che dai tutto per la Nazionale. Poi ci sta a uscire, è normale, no? Dopo la Svezia secondo me c'è stato quel momento di crollo un po' del calcio italiano. Da lì la federazione ha cambiato tante cose, hanno preso Mancini e io penso che lui abbia fatto un lavoro straordinario. Soprattutto nei primi tempi quando non credeva nessuno in noi se non lui, e ci ripeteva che eravamo forti. Dal primo giorno ci ha detto: voi siete forti. Ha puntato sulla nuova generazione e poi la nuova generazione l'ha portato a Wembley. E lui stesso ci ha portato a Wembley, perché tre anni prima c'era solo un folle che pensava che noi potessimo vincere l'Europeo. Ed era lui. Se fossimo andati ai Mondiali e avessimo fatto, metti per ipotesi, un bel torneo pur non vincendo, secondo me in Italia si sarebbe parlato di ‘Generazione d'oro'. Non è andata così".
Lei come ci sarebbe stato in questa Italia, se l’è immaginato?
"Ovviamente mi ci sarei visto bene, questo è sicuro, ma il mister giustamente ha portato avanti un gruppo, un concetto, una visione sua e la decisione va rispettata".
Si sta parlando tanto dell'impegno sociale e politico di alcuni calciatori come Mbappé e Thuram. Alcuni sono a favore, altri no. Lei che ha spesso preso posizioni su determinati temi, come vede questo dibattito?
"Io dico che se fossi un cittadino francese, in questo caso, sarei interessato a sapere quello che può pensare un'altra persona. Al di là che sia famoso, non famoso. Cioè si parla di politica, si parla di sociale anche per strada, no? Mbappé in questo caso ha una risonanza talmente grande e da cittadino francese ha la possibilità di dire la sua opinione in libertà: questa si chiama democrazia e ognuno può dire quello che vuole. La cosa che mi scandalizza è che se ne fa un caso. Mbappé ha detto semplicemente la sua opinione sul suo paese. Ha una risonanza enorme e magari riesce a cambiare l'opinione di tante persone. E quindi? Voglio dire, se tu hai i tuoi principi e hai i tuoi valori, ascoltare le persone che ti possono dare un qualcosa, che ti possono arricchire anche con pareri differenti dai tuoi, può essere un modo di crescere, di evolversi, di vedere un altro punto di vista. Quindi per quale motivo c'è da fare un caso?".
Purtroppo c'è sempre questa cosa che gli atleti e i calciatori devono parlare di sport e di calcio mentre gli altri devono parlare del resto.
"Ma qui si cade poi nel qualunquismo generale. Siamo persone, viviamo momenti come li vivono tutti. Ripeto, facciamo sicuramente una vita agiata e di questo siamo molto fortunati. Però non vuol dire che se ho un'opinione non posso esprimerla. C'è chi lo fa nei podcast, chi nelle interviste, chi in televisione… non tutti hanno questa possibilità, ma se l'avessero lo farebbero anche loro. Ecco, ad oggi le persone possono parlare di tutto attraverso i loro social, possono dire la loro, possono esprimere la loro opinione, la loro idea. Io credo che si debba riflettere di più quando si prendono esempi sbagliati e si scade nel bullismo, nel razzismo, quando si punta ad annientare una persona in pubblico. Questo non va bene. Ma se uno dice la sua opinione e rispetta tutti quanti, c'è semplicemente da rispettare. Stop".
È vero che poteva tornare alla Juventus lo scorso inverno o erano solo rumors?
"No, di inventato non c'era niente. Con la Juve c'erano situazioni. Ma poi non si sono concretizzate".
Dal suo ritorno alla Juve Allegri, con cui lei ha sempre avuto un buon rapporto, è sempre stato criticato in maniera feroce: da lontano come ha visto questa situazione?
"Secondo me il punto da cui partire su questo è fare una distinzione tra la prima Juve di Allegri e la seconda Juve di Allegri.Anche la società stava attraversando delle cose che nell’Allegri I non c’erano. Questo fa capire che prima di tutto ci deve essere una programmazione. Allegri quando è arrivato alla Juve per la prima volta è stato molto bravo a non stravolgere, perché Conte aveva fatto un lavoro straordinario. Se magari Allegri si fosse messo in testa di cambiare tutto, avrebbe sicuramente cannato. Invece lui, da persona intelligente quale è, ha capito che non doveva toccare determinati equilibri ed è andato avanti, piano piano ha messo le sue idee dentro e ha continuato a vincere. Facendo meglio di quello precedente. È un allenatore che si adatta, è un allenatore che capisce le situazioni, sa stare dentro uno spogliatoio e ovviamente di calcio ne capisce. Partiamo da questo punto di vista. Ritorna la seconda volta e, ovviamente, le situazioni sono diverse. Se la società sta attraversando determinati momenti, come le passano tutte le società del mondo, ci vuole tempo. Si dice che magari Allegri poteva fare meglio, questo penso che lo sappia pure lui, però bisogna anche dire che non si può neanche paragonare il prima e il dopo. Alla Juventus sono successe cose differenti rispetto agli anni prima. Questa è la verità. È un allenatore, si deve adattare. Però a gennaio di quest'anno, non di dieci anni fa, chi c'era dietro all'Inter? C'era la Juve. Poi la coperta corta non ha aiutato, questo sicuramente. Ma intanto a gennaio era lì".
È la disparità di giudizio che c'è stata da novembre, per dirti, a marzo che stride?
"Ma che l'Inter fosse più forte quest'anno lo sapevano pure i muri, penso. Mi sembrava abbastanza evidente. Ma come era più forte lo scorso anno, come era più forte due anni fa. La cosa straordinaria, secondo me, che ha fatto Allegri quest'anno è che comunque, fino a gennaio, era lì. È arrivato con la coperta corta e questo in una stagione può capitare benissimo, però gli obiettivi li ha raggiunti tutti. Penso che se l'Inter avesse giocato altri dieci partite avrebbe dato 30 punti a tutti. Non so come dirti, era un po' come la Juve del primo Allegri. Quando io giocavo nella Juve, in quella Juve lì, eravamo i più forti. Se avessimo perso i campionati, era colpa nostra, non era merito degli altri. Come l'Inter di adesso, stop. In questo momento va riconosciuto che è più forte".
Cosa c’è nel futuro di Federico Bernardeschi?
"Tanti progetti in testa, sicuramente, ma mi piace vivere molto nel presente. Cioè mi piace godermi le cose nel presente, ci sono questi obiettivi che sono lì ma se li devi raggiungere devi pensare nel presente. Tu te li metti là come progetti e ogni giorno devi lavorare per arrivare là. A me piace fare questo. Ho delle idee che preferisco tenere per me, ma che prima o poi magari dirò: finita la carriera di calciatore si aprirà un nuovo capitolo, si apriranno nuove strade, vedremo cosa fare, anche se già un po' ci sto pensando. Secondo me il futuro lo devi iniziare a programmare prima, vivere nel presente e poi arrivare piano piano preparato a quello che sarà".