Baggio racconta la sofferenza: “Sembrava fossi un privilegiato e invece ero uno sfigato”
"Ah, da quando Baggio non gioca più, non è più domenica". Oggi non lo è neanche più a causa del calcio spezzatino: si gioca tutti i giorni della settimana, quella magia di cui Roberto Baggio era il simbolo non esiste più. Eppure, distanza di quasi 30 anni dal suo Pallone d'Oro, il 55enne di Caldogno è ancora una figura scolpita potentemente nell'immaginario collettivo. Baggio è il bambino che rincorre la palla sul prato, l'individuo che rifiuta di piegarsi allo schema.
"La cosa mi rende molto felice – racconta al Corriere della Sera – Ma diciamo che non ero molto amato dalla stampa perché non rilasciavo interviste, non andavo in tv: preferivo far parlare il campo. Molti la vedevano come atto di mancanza di rispetto quindi appena potevano mi davano addosso. E io subivo. E soffrivo, non lo trovavo giusto".
Il talento vicentino ha visto la sua carriera diventare un vero inferno negli ultimi anni, al punto che appendere le scarpette al chiodo nel 2004 è stata una liberazione: "Ero nel Brescia e ho giocato la mia ultima partita il 16 maggio contro il Milan. Quella sera ho fatto la cosa più bella che potevo fare quel momento: prendere un volo per Buenos Aires. Ero deluso perché non avevo segnato, ci tenevo. Sono andato via per starmene in pace. La mia è stata una carriera di sofferenza. Mi ricordo gli ultimi tempi: mi dava fastidio non poter fare le cose assieme ai miei compagni per i miei acciacchi. Sembrava fossi un privilegiato e invece ero uno sfigato che non vedeva l'ora della domenica per giocare perché poi sarebbe venuto l'incubo, il lunedì o il martedì, con le ginocchia che si gonfiavano".
Baggio ha chiesto così tanto al suo fisico, che il conto – molto salato – lo sta pagando tuttora: "Soffro ancora, faccio fatica a fare anche un po' di corsa: inizia a far male il tendine, la caviglia, il polpaccio. Le ultime partite erano uno strazio. Tornavo a casa e avevo problemi alle gambe. Mia moglie, che sapeva tutto, scendeva giù a darmi una mano e io mi attaccavo alla portiera. Ho così tante cicatrice che mia madre mi dice ‘ma che hai litigato di nuovo con un puma?'. Ne ho per le operazioni e per le scarpate ricevute in partita".
Il ‘Divin Codino' è tuttora oggetto di culto planetario, c'è un episodio che rende bene l'idea: "Quando sono stato in Cina avevo un gruppo di tifosi locali che mi seguiva in ogni mio spostamento. Durante la pandemia, quando l'Italia ne aveva più bisogno, hanno contattato mia figlia sui social per mandarmi 60mila mascherine: una volta arrivate le ho date all'ospedale di Vicenza e in giro. È una cosa che mi ha toccato profondamente perché si erano preoccupati di me". È la voglia di restituire quello che Baggio ha dato ai tifosi di tutto il mondo: gioia per gli occhi, allegria per l'anima.