Asl e protocollo Covid, cosa è successo davvero prima di Juve-Napoli
Serie Asl. È stata ribattezzata così questa edizione del campionato che naviga a vista in tempi di pandemia, rischiando di spezzarsi in due e colare a picco sbattendo contro un iceberg. Il caso del ‘focolaio Genoa' e poi Juventus–Napoli quasi hanno affondato il calcio italiano che balla sul Titanic, certo che la traversata finirà bene. Dal 4 ottobre scorso, nel giorno in cui l'intervento di un'autorità sanitaria ha inceppato il meccanismo imperfetto, nulla è più come prima lasciando sul tavolo – oltre ai veleni e alle polemiche – la sensazione che tutta la vicenda poteva essere gestita diversamente, senza nascondersi dietro la maschera del protocollo.
Quanto accaduto al ‘Grifone', che nel giro di 48 ore dalla sfida contro i partenopei si ritrovò con circa 30 tesserati (tra calciatori e membri dello staff) positivi al Covid, pose una questione molto precisa: l'efficacia di quell'insieme di regolamenti, che i vertici della Figc e della Lega di Serie A avevano concordato con Comitato Tecnico Scientifico e Governo, era stato messo in discussione dall'evidenza dei fatti: nonostante i controlli serrati previsti dalla profilassi, nonostante la ‘bolla' a tutela dei giocatori e a garanzia di prosecuzione del torneo, il coronavirus s'era infiltrato all'interno di un gruppo squadra. C'erano state avvisaglie nell'immediata vigilia della partita tra liguri e campani, ma al San Paolo (allora non era ancora stato ribattezzato ‘Maradona Stadio') si giocò lo stesso: i rossoblù, forse sfiancati dal virus incubazione, vennero travolti dalla squadra di Gattuso. Il giorno dopo iniziò la conta dei contagi che salì vertiginosamente fino a provocare la preoccupazione da parte del Napoli.
È in quel momento – nella settimana che faceva da prologo al big match di Torino – che ha ufficialmente inizio una vicenda dalla quale i vertici del calcio nazionale e della giustizia sportiva ne usciranno con le ossa rotte. Il Napoli, che dopo aver affrontato il Genoa, registra i primi casi: Zielinski, Elmas e un dirigente sono costretti all'isolamento. Il timore è che non si tratti di episodi isolati e non basti più seguire le disposizioni del protocollo (una squadra può andare in campo se può contare almeno su 13 calciatori, portiere compreso, come indicato dalla Uefa) per arginare la proliferazione del morbo.
Il presidente, Aurelio De Laurentiis, aveva cercato una mediazione con Andrea Agnelli: l'ipotesi era far slittare l'incontro o decidere per un rinvio alla luce di quanto accaduto. Il dialogo con l'Asl e i successivi provvedimenti dell'Ente bloccano la partenza dei partenopei. L'appello resterà inascoltato anche da parte della Federazione, convinta che l'unica strada da seguire fosse l'applicazione del protocollo. Lo stesso pacchetto di norme che era stato inficiato dalle proporzioni del ‘focolaio Genoa'. Quella domenica all'Allianz Stadium la Juve va in campo pro-forma, fa il riscaldamento, attende che il direttore di gara – come da regolamento dopo i 45 minuti di attesa – verbalizzi la mancata partecipazione della formazione ospite.
Poteva l'Asl intervenire? Sì, era (ed è) nei suoi poteri costituzionali, recepiti nel documento condiviso dalla Lega di Serie A: "Fatti salvi eventuali provvedimenti delle autorità statali o locali", è questo il passaggio/vulnus oltre il quale non è più possibile spingersi nell'interpretazione della legge affinché lo spettacolo continui a tutti i costi. Ed è questo il motivo che avrebbe dovuto spingere la Figc a gestire la situazione con maggiore decisione rispetto al semplice richiamo al protocollo. Era successo qualcosa di grave, bisognava intervenire piuttosto che scegliere di non scegliere al netto della mancanza di un ‘piano b' mai studiato (riforma dei campionati, possibilità di ricorrere a un format d'emergenza in base alla contingenza degli eventi). In un Paese con la curva dei contagi in netto rialzo e un numero di morti – giornaliero e complessivo – elevatissimo occorreva una sensibilità differente.
Il Giudice Sportivo sanziona il Napoli: sconfitta a tavolino e punto di penalizzazione. Il club non ci sta e fa ricorso ma in Corte d'Appello Federale il primo verdetto è confermato e addirittura aggravato da motivazioni gravissime: secondo il giudice, in buona sostanza, la società partenopea ha imbrogliato – servendosi della complicità di un ente pubblico – per non andare a giocare con la Juventus a Torino. De Laurentiis non si ferma e prosegue nella battaglia legale per far valere le proprie ragioni. La tesi è molto chiara: non poteva eludere l'ordine imposto dall'Asl, avrebbe violato la legge. L'ultimo passo è il Collegio di Garanzia del Coni: a Roma la situazione cambia del tutto, sentenze e narrazione dei fatti vengono completamente ribaltati. Il Napoli è scagionato da ogni accusa, comprese quelle ledevano in maniera così grave la sua immagine. La partita con la Juventus deve rigiocarsi. Le motivazioni del Collegio di Garanzia avranno valore di una dura reprimenda nei confronti della giustizia sportiva, riportandola alla dimensione costituzionale della gerarchia delle fonti. E infliggeranno un colpo durissimo all'intero sistema calcio. Poche settimane dopo arriverà anche la piena assoluzione per i partenopei dalle accuse di aver violato il protocollo. Ma non basterà per smorzare una stagione avvelenata.