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Antonio Filippini: “Avevo soggezione a giocare con Roberto Baggio, io lo prendevo al fantacalcio”

Antonio Filippini a Fanpage.it si è raccontato tra presente e passato, con lo sguardo fisso sulla nuova carriera da allenatore e mental coach ma con un occhio a quella vita da calciatore che gli ha dato tanto. Brescia, Baggio, Guardiola, Lazio e Livorno: tanta passione vissuta a ritmo di rock.
A cura di Vito Lamorte
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Quando Roberto Baggio arrivò a Brescia a settembre del 2000 nessuno sembrava crederci. Quello che accadde dopo è storia nota e il legame del Divin Codino con le Rondinelle è qualcosa di unico. Gli stessi calciatori della Leonessa stentavano a credere che il numero 10 per eccellenza sarebbe stato loro compagno di squadra e lo racconta bene Antonio Filippini: "Quando è venuto a Brescia e ci giocavo insieme non mi sembrava vero, inizialmente avevo anche un po’ di soggezione". 

Antonio era uno dei motori del centrocampo del Brescia insieme al fratello gemello, Emanuele, con il quale ha militato in più occasioni nella stessa squadra: i Filippini hanno giocato insieme con le Rondinelle, alla Lazio, al Treviso e al Livorno.

A Fanpage.it Antonio Filippini si è raccontato tra presente e passato, con lo sguardo fisso sulla nuova carriera da allenatore e mental coach ma senza dimenticare le cose belle che gli ha riservato la vita da calciatore con il Brescia sempre al primo posto. Una vita sul rettangolo verde al ritmo di rock.

Antonio Filippini.
Antonio Filippini.

Cosa fa oggi Antonio Filippini?
"Io sono un allenatore, al momento sono senza squadra dopo l’esperienza al Genoa femminile e probabilmente se ne parla la prossima stagione, a meno che non arrivi qualcosa di interessante in quest’ultimo scorcio di anno. L’altra strada che ho intrapreso è quella del mental coach ma è una cosa che faccio da vent’anni ormai… non è una cosa nuova, ma io l’ho sempre tenuta nascosta. Ho studiato e non mi piace espormi più di tanto ma è un aspetto che mi ha sempre incuriosito".

L’allenatore viene spesso definito come uno ‘psicologo’ ma la figura del mental coach è sempre più presente negli staff rispetto a qualche anno fa.
"Rispetto a prima le personalità sono diverse perché si cresceva in contesti diversi. Qualche anno fa andavi all’oratorio e ti dovevi confrontare con i più grandi e con i più piccoli, per cui il modo di essere era allenato per quel contesto e quell’ambiente. Ora fanno sport sono nei luoghi deputati per far quello e al di fuori non hanno questi tipi di contatti. Probabilmente è diverso da una volta, dove la strada è stato il nostro mental coach mentre adesso bisogna far capire alcune cose ai ragazzi di oggi".

È possibile separare vita professionale e privata?
“È impossibile. È l’errore che in molti fanno, visto che sentiamo spesso dire ‘quando si arriva al campo i problemi restano fuori al cancello’. Non è così, non siamo un computer che spegniamo i sentimenti o facciamo reset. Non c’è nessun pulsante ma è meglio così perché grazie alle emozioni che proviamo siamo unici".

Antonio Filippini in ritiro con il Brescia.
Antonio Filippini in ritiro con il Brescia.

Cosa vuol dire arrivare in Serie A con il proprio gemello?
“È una bella storia perché, ad esempio, quando siamo andati a Roma ci siamo aiutati a vicenda nell’ambientamento e ci siamo sostenuti a vicenda in un contesto nuovo. A Brescia era un’altra cosa, naturalmente, perché è casa nostra. Poter condividere una cosa del genere con il proprio fratello è bellissimo perché uno ogni cinque/seimila ce la fa e noi ci siamo riusciti entrambi. È una cosa meravigliosa”.

Anche i gemelli Filippini sono cresciuti alla Voluntas. A livello locale è un specie di istituzione, o sbaglio?
“No, non sbagli. Quasi tutti i bresciani che sono arrivati in Serie A sono passati per la Voluntas di Clerici, che costituì questa società  al centro San Filippo di Brescia. Pirlo, Diana, Bonazzoli, Bonera, noi due gemelli… e chi più ne ha, più ne metta, siamo passati da lì. Eravamo i più bravi ragazzini di Brescia e provincia a finire lì e poi si iniziava un percorso che se andava bene ti portava proprio al Brescia. Roberto Clerici è stato un istituzione per tutti noi e per il calcio bresciano, senza ombra di dubbio”.

Brescia e la maglia con la V in petto. Cosa rappresenta per Antonio Filippini?
“Il realizzarsi di un sogno. Il Brescia lo andavamo a vedere in curva, in gradinata, in tribuna… abbiamo girato un po’ tutti i settori e indossare quella maglia è bellissimo. Quando ci sei dentro è un grande orgoglio perché rappresenta la tua città ed è stupendo".

Antonio Filippini in azione con il Brescia.
Antonio Filippini in azione con il Brescia.

Ad un certo punto arrivò al Rigamonti una specie di extraterrestre di nome Roberto Baggio…
"Baggio lo compravo al fantacalcio e mi svenavo per prenderlo quando era alla Juve. Era uno dei miei calciatori preferiti. Quando è venuto a Brescia e ci giocavo insieme non mi sembrava vero, inizialmente avevo anche un po’ di soggezione. Poi l’ho conosciuto come persona e non ci ha mai fatto pesare nulla, è un bravissimo ragazzo ed è nata un’amicizia. Lui è stato sempre bravissimo sotto quel punto di vista“.

Oltre a Baggio, ha giocato anche con Pep Guardiola. Si intuiva che sarebbe diventato allenatore?
“Pep veniva da Barcellona, dove aveva vinto tutto, ma era umile e alla mano. Molto educato e molto simpatico. Era un grande compagno di squadra. Lui era già un allenatore quando giocava e spesso ci diceva cose che poi abbiamo visto negli ultimi dieci anni. Spesso si arrabbiava quando i nostri difensori lanciavano oppure ci guidava nel pressing per recuperare la palla più velocemente. Prima gli allenatori ci chiedevano di rientrare quando si perdeva la palla mentre lui ogni tanto ci capitava di provare ad andare in avanti“.

Pep Guardiola con la maglia del Brescia e Antonio Filippini sullo sfondo.
Pep Guardiola con la maglia del Brescia e Antonio Filippini sullo sfondo.

Che legame ha Pep con Brescia?
“Probabilmente è legato al fatto che Brescia gli permetteva di fare cose semplici, di vita quotidiana, che magari a Barcellona non poteva fare. In più ha stretto una forte amicizia con Edoardo Piovani, team manager del Brescia, e quando ha tempo libero ci torna volentieri".

Dopo aver giocato sempre in casa, per Antonio Filippini arrivo la Lazio e la prima big…
“Sono stati anni belli ma con una pressione diversa rispetto a Brescia o a Palermo, dove ero stato prima. Ci sono radio che parlano solo della squadra, c’è grande attenzione. Li abbiamo iniziato a capire che bisogna sempre cercare di vincere le partite, accontentarsi del punticino era concesso solo in casi di vera difficoltà. Lì fai un altro passo in avanti nella crescita personale".

Antonio Filippini e il suo gemello Emanuele in occasione della presentazione con la Lazio.
Antonio Filippini e il suo gemello Emanuele in occasione della presentazione con la Lazio.

Un’altra esperienza importante fu quella di Livorno?
“Livorno è stata la mia seconda casa. Ho giocato lì quattro anni ed è stata la squadra dove ho militato di più dopo Brescia. Ho fatto la Coppa UEFA e mi sono trovato benissimo con i tifosi e la città. È stata una tappa meravigliosa della mia carriera“.

Perché una città come Brescia non riesce ad avere una squadra competitiva?
“La società, diversamente da una volta, non può essere fatta solo da una persona ma ha bisogno di tante conoscenze ma il calcio è cambiato e dovrebbe saper delegare a gente competente che gli può dare una mano. Invece, sembra che vuol fare tutto lui e c’è sempre qualche scossone in arrivo tra cambi di allenatori e dichiarazioni fatte a casaccio qua e là. L’ambiente non è sereno, è un po’ cupo e così è difficile fare dei risultati. Così è anche difficile fare dei risultati perché il giocatore queste cose le percepisce ed è difficile che rende al massimo. Negli ultimi anni si è più lottato per non retrocedere e non per salire. Non c’è serenità all’esterno e all’interno. I tifosi hanno sempre riempito la curva, in casa e fuori, ma c’è un limite alla pazienza. Ci dovrebbe essere un po più di linearità e progettazione".

Antonio Filippini in azione con il Livorno.
Antonio Filippini in azione con il Livorno.

Nel futuro di Antonio Filippini può esserci un ritorno a casa, ovvero a Brescia?
"Se mi chiamasse ci andrei di corsa per dare una mano al Brescia e all’ambiente. Per il Brescia farei questo ed altro. Mi dispiace vedere la squadra così e il bresciano merita molto di più di quello che si è visto negli ultimi anni”.

Antonio Filippini è un chitarrista rock, suonò alla festa per la promozione del Palermo in Serie A nella stagione 2003-2004, e ama Bruce Springsteen: che canzone del Boss potrebbe essere il Brescia dei Filippini?
“Direi ‘No Surrender’. Brescia di fuoco, Brescia di ferro… una città di lavoratori, di grande sacrificio, e quella squadra rispecchiava quei valori lì perché non ci arrendevamo mai, anche nelle difficoltà”.

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