Antonio Conte e il ‘valore’ del secondo posto a giorni alterni
"Il secondo è il primo dei perdenti. Capisco che c’è chi può accontentarsi di questo, ma per me il secondo posto non significa nulla. Il secondo è il primo dei perdenti, la storia la scrive chi vince. È quello che resta scritto. Chi vince scrive la storia, gli altri al massimo vanno a leggerla". Sono queste le parole di Antonio Conte dopo lo 0-0 interno dell'Inter contro la Fiorentina ma, a distanza di qualche giorno, non sappiamo più come interpretare queste dichiarazioni, visto quanto successo nel post-partita di Atalanta-Inter.
L'allenatore nerazzurro si è lamentato perché non è stato riconosciuto il suo lavoro a Milano e che ci sono persone della società che non dovrebbero intestarsi il traguardo in campionato perché non hanno lavorato sempre per proteggerlo. Uno strappo forte, che potrebbe avere delle conseguenze, ma a far riflettere in questo momento, più che le ipotetiche situazioni che possono venir fuori, sono le frasi dell'ex commissario tecnico della Nazionale Italiana in merito al valore del "secondo classificato" di qualche giorno prima: a distanza di poche ore l'allenatore salentino prima non considera la seconda piazza del podio come accettabile ma poi non è contento per le parole spese in merito al lavoro svolto al suo primo anno all'Inter.
C'è sicuramente una strategia comunicativa e ci sono dei destinatari ben precisi dietro quelle dichiarazioni, visto che l'allenatore dell'Inter non è né inesperto né sprovveduto, ma è il messaggio di qualche giorno fa che continua ad essere alquanto discutibile: chi si mette in gioco in qualsiasi disciplina sportiva vorrebbe vincere, si parte sempre con l'aspirazione di essere competitivi e giocarsi le proprie chance fino in fondo ma quando si capisce che non ci sono le possibilità si accetta di buon grado il risultato raggiunto e si lavora per accorciare la distanza con chi vince.
Conte ha sempre portato avanti la sua tesi da "vincente" e anche l'altra sera ha affermato che "chi vince scrive la storia, gli altri al massimo vanno a leggerla" ma così facendo, e restando solo ancorati al mondo del calcio, non si dovrebbe mai sentir parlare della Grande Ungheria degli anni '50 o dell'Olanda che ha cambiato il calcio nei 70s', eppure queste due squadre meravigliose sui libri di storia ci sono. E per motivi che vanno oltre l'aver sollevato una coppa.
Chi vive e segue il mondo dello sport conosce bene gli interessi, le somme di denaro e i premi che ci sono per ogni vittoria e per ogni trofeo portato a casa ma non è sminuendo il ‘valore' di un piazzamento d'onore alle spalle dei vincitori che si lavora per migliorare e per crescere. La vittoria come unico fine è diventata un'ossessione, come se chi non la indicasse come obiettivo fosse interessato ad arrivare ultimo o a non classificarsi perché motivato da altri interessi. Tutti i tipi di risultati nel mondo del calcio, ma dello sport in generale, sono frutto di un estenuante lavoro, hanno una loro dignità e sarebbe bello che per primi gli attori in causa siano in grado di farli conoscere anche per ciò che spesso non si vede: questo permetterebbe di dare ancora più importanza al risultato ottenuto, qualsiasi esso sia.
Altrimenti, invece del vescovo anglicano Ethelbert Talbot, il quale diceva che"La cosa essenziale non è la vittoria, ma la certezza di essersi battuti bene"; potremmo prendere come stella polare un grande classico dei nostri tempi come "andarci vicino conta solo a bocce" e allora si che tutto sarebbe molto più logico e lineare. Ma sempre a giorni alterni.