Andrea Pirlo e l’Inter, dal tifo a “vai a giocare altrove”: cosa è andato storto
Non era destino. Si dice così per mettere l'animo in pace quando le cose della vita prendono una piega diversa da quella sperata. È successo ad Andrea Pirlo che dell'Inter era un tifoso da bambino ma all'Inter non riuscirà a trovare né giusta dimensione né momento opportuno per sfoggiare tutto il suo talento. Lo farà altrove ma conserverà il rimpianto per come andò in quegli anni difficili sotto l'altra metà del cielo di Milano. E per rendere bene l'idea della delusione basta rileggere qualche intervista del recente passato: aveva la maglia nerazzurra addosso e sognava quando provava le punizioni con il pallone di spugna; immaginava che gli angoli del divano fossero il bersaglio da centrare con quella che sarebbe diventata una specialità della carriera. La ‘maledetta' studiata, raffinata, trasformata in arma letale osservando il tocco felpato di Juninho Pernambucano.
Fu la prima volta che lasciai casa e per me quella chiamata fu il massimo – raccontò Pirlo – nonostante dovessi lasciare la mia famiglia a Brescia. In fondo ero distante solo un’ora di strada, avevo 18 anni ed ero pronto per vivere quell’esperienza. Purtroppo l’Inter non ha avuto fiducia in me e io ho voluto provare una nuova avventura al Milan.
Cosa è andato storto? La buona volontà c'era, la disponibilità al sacrificio anche. Ma in quegli anni l'Inter era un tritacarne. Per un ragazzo di 19 anni l'impatto fu durissimo anche a causa dei quattro allenatori cambiati in una stagione (Simoni, Lucescu, Castellini, Hodgson). Personalità in campo, qualità del gioco e acume tattico non bastarono per aprirgli una strada. Fioccarono complimenti, non altrettanto le opportunità.
Mi ricorda Rivera – disse Simoni di lui -, ha due occhi davanti e due dietro la nuca… Ha attitudini al sacrificio e questo lo rende destinato a un grande futuro. Potenzialmente è uno dei più forti giocatori del mondo.
San Siro sarà il teatro che ospiterà il ‘maestro' ma il palco dal quale si esibirà divenendo quel direttore d'orchestra ammirato anche in Nazionale sarà quello rossonero. Lippi – che ai tempi dell'Inter – gli suggerì di "andare a giocare altrove" perché non c'era abbastanza spazio per lui ne beneficiò facendone uno dei punti fermi della squadra che avrebbe trionfato a Berlino nel 2006. Reggina e Brescia lo accolsero in prestito: fu come dire ‘vedete di cosa sono capace?'. Nell'Under 21 divenne una colonna della squadra. Ma non bastò.
Passerà al Milan nel 2001 per la somma di 35 miliardi delle vecchie lire: per i nerazzurri fu un affare, perché realizzarono una plusvalenza notevole, ma tanti soldi non compensarono l'amarezza. Né quella di Pirlo, né quella di Moratti che prenderà male la decisione del suo pupillo. Lo aveva voluto in nerazzurro, fu costretto a dirgli addio.
Quando non giochi e hai voglia di giocare la ferita ti rimane dentro – disse Pirlo -. Se mi avessero fatto giocare con un po’ di continuità avrei potuto dimostrare tutto il mio valore. Il preliminare di Champions sfortunato con l'Helsingborg compromise ogni cosa. Non mi sono sentito umiliato ma dover chiedere di andare da un'altra parte per giocare mi è dispiaciuto.
Carlo Ancelotti gli cambierà ruolo, arretrandone un po' il baricentro e farà la fortuna di Pirlo. Capello proverà a portarlo a Madrid ma non poteva fare uno sgarbo al ‘diavolo'. La Juventus lo incastonerà nella macchina perfetta per dominare in patria e tentare l'assalto alla Champions. Anche in questo caso non era destino, ci arriverà vicinissimo contro il Barcellona (2015) ma dovette inchinarsi dinanzi al tridente stellare dei catalani. La Grande Mela è stata l'ultima tappa della carriera che, ironia della sorte, avrebbe potuto anche chiudere all'Inter. Nel 2015 Mancini, allora in panchina, chiese al club di richiamarlo a Milano. Ci fu un sondaggio ma la volontà del ‘professore' fece la differenza. "Ero arrivato a New York da poco tempo e non mi è sembrato giusto strappare il contratto per tornare all’Inter". Non era destino.