Andrea Caracciolo oggi: “Il Lumezzane non è mio ma qui decido tutto, da calciatore ho fatto casini”
Andrea Caracciolo allargava le braccia e spiccava il volo dopo ogni gol. Come un Airone, appunto. Così venne soprannominato questo ragazzo di Cesano Boscone sul quale non tutti ci avrebbero puntato ma Gino Corioni sì. Lui lo fece e una volta disse: "Uno così non ce l'ha nessuno, uno così non l'ho mai visto. Se cresce bene farà la nostra fortuna". Aveva ragione. Era un attaccante completo, bravissimo a sfruttare la sua forza fisica e le sue doti nel gioco aereo ma, allo stesso tempo, dotato di una buona tecnica individuale che gli permetteva di poter prendere la porta in ogni modo. Dopo aver appeso le scarpette al chiodo è passato dietro la scrivania e oggi ricopre il ruolo di presidente del Football Club Lumezzane, squadra che milita nel girone A di Serie C.
Sapeva fare reparto da solo l'Airone, che ha legato la sua carriera al Brescia, club dove è il secondo calciatore con più presenze (418) e il primo per gol realizzati (179) ma le Rondinelle non sono solo una questione di numeri: "Brescia è stata magia, è stato amore. Sono sempre molto attento alle dinamiche del club ed è un amore che non si può cancellare".
Andrea Caracciolo a Fanpage.it ha raccontato la sua nuova esperienza nel mondo del calcio con il Lumezzane e ha ripercorso i momenti più importanti della sua carriera, mettendo in evidenza il suo legame magico con il Brescia e raccontando diversi aneddoti sull'esperienza di Palermo.
Andrea Caracciolo, oggi è presidente del Football Club Lumezzane. Che effetto fa?
“È un ruolo particolare, chiaramente molto diverso da quello del calciatore. Io sono in una società atipica perché solitamente i presidenti sono proprietari mentre io sono un dipendente ma ho poteri di firma, decisionali, e tutto il resto. Mi sta insegnando tanto questa esperienza e mi sta formando in quello che potrebbe essere un ruolo per il futuro. In questo momento si cercano sempre più manager e potrebbe essere una buona scuola di formazione. Ad esempio, ci sono sempre più fondi che vengono dall’estero che cercano manager del posto, figure che conoscono l’ambiente: questo è molto formativo in quel senso. Bisogna sempre guardare avanti, ogni cosa che si fa, e avere uno sguardo sul futuro".
Ha chiuso a Lumezzane la sua esperienza calcistica. La scelta di intraprendere questa esperienza è dettata anche da questo?
“Sono arrivato qui grazie ad un mio caro amico, Piero Serpelloni, che mi chiamò per sapere delle informazioni su un preparatore. Io gli chiesi a cosa gli servisse e lui mi rispose che era per il Lumezzane. Scambiammo qualche battuta sulla società ma lui già si era fatto già tutti i suoi film in testa mentre parlava con me. Poi mi ha richiamato e mi ha parlato di Ludovico Camozzi, con il quale ho avuto un incontro pochi giorni dopo. Rimasi ammirato dall’empatia che emanava questo imprenditore, dai suoi progetti e dalle sue ambizioni. Voleva riportare il club tra i professionisti e unire anche progetti sociali al nome della squadra. Mi dice: ‘Gioca ancora finché riesci, porta la squadra in C e poi fai il direttore sportivo’. Non potevo rifiutare un’offerta del genere. E così sono arrivato a Lumezzane. Il Covid ha rallentato un attimo il percorso ma la tabella di marcia è stata rispettata".
Che cos'è il progetto ‘Noi Ci Teniamo’, incentrato su temi sociali e culturali, messo in campo dalla Lumezzane?
"I soci del Lumezzane sono tutti del posto e tengono molto al legame con la squadra e con la loro terra. Questo progetto parte dall’idea di essere un punto di riferimento per i giovani locali. Oltre all’aspetto sportivo c’è anche questa accademia dove ci sono più di 200 corsi di formazione professionale e c’è la possibilità di imparare cinque lingue. Un regalo per i tesserati del FC Lumezzane. Questo progetto sociale sono presenti anche sul territorio con incontri nelle case di riposo, alla Caritas e in altre associazioni locali. In maniera parallela vanno avanti progetti sul plastic-free e sulla guida sicura. Vorremmo essere un punto di riferimento sia dal punto di vista sportivo che nella costruzione delle persone del futuro”.
Il Lumezzane lotta per un posto nei playoff in Serie C: che stagione è finora?
"Se dobbiamo essere razionali dico che siamo in linea con gli obiettivi che c’eravamo prefissati poi per come è andata la stagione, fino ad un mese fa eravamo quinti e volavamo con i sogni. Nelle ultime cinque partite avevamo raccolto solo un punto ma a noi ci mancano 3-4 punti per garantirci la permanenza nella categoria. Una volta raccolti questi punti, poi guarderemo avanti".
Il Lumezzane lavora molto bene anche sul femminile.
“Siamo molto attenti alla squadra femminile perché molte ragazzine esprimono sempre di più la loro volontà di giocare a calcio. L’anno prossimo avremmo anche due squadre in più a livello giovanile. La prima squadra è prima nel suo campionato e speriamo di arrivare così fino in fondo perché partecipare al campionato di Serie B sarebbe un evento storico. A volte si fanno più ragionamento di facciata in questo senso ma noi proviamo a fare un ragionamento a 360° per essere presenti allo stesso modo su tutto”.
Brescia cos'è stata e cos'è ancora oggi per lei?
“Brescia è stata magia, è stato amore. Sono sempre molto attento alle dinamiche del club ed è un amore che non si può cancellare. Io penso che il mio nome a Brescia non morirà mai ma non è solo una questione di numeri, che sono molto importanti e lo sappiamo tutti; ma il legame che io ho avuto con i tifosi è stato qualcosa di unico. Sono cinque anni che non gioco più nel Brescia ma c’è ancora chi mi chiede le foto, chi mi abbraccia, chi mi chiama ‘capitano’ e mi ringrazia per quello che ho fatto. Ho lasciato delle emozioni che tanti hanno vissuto con me, ho sempre messo la faccia anche nei momenti più difficili e fortunatamente qualche gol l’ho fatto. Se le cose andavano bene o andavano male la gente sapeva che c’era Caracciolo. Io sapevo che la gente mi voleva bene e si era cerata un’empatia incredibile".
Se le dico Upton Park, cosa le viene in mente?
“È uno dei gol più brutti che ho fatto ma è tra i più importanti. Ad Upton Park, stadio storico che non c’è più, contro il West Ham di Mascherano, Ferdinand, Benayoun e tanti altri. Tra l’altro con la numero 10 del Palermo. Un bellissimo ricordo. La partita dopo litigai con Guidolin perché non mi fece giocare contro la Lazio. E non diedi la mano a Foschi che voleva. Ho fatto dei casini…”.
Palermo che esperienza è stata?
“Sono stato fortunato perché ho fatto i migliori anni del Palermo: eravamo costantemente in Serie A e lottavamo con le grandi, oltre a fare l’Europa League. Putroppo io non sono arrivato con la testa giusta: iniziai bene, qualche tifoso mi urlava dietro ‘Minchia van Basten' (ride, ndr); ma poi ebbi un calo fisico e arrivavo dopo Luca Toni, quindi si aspettavano 20 gol. Io il girone d’andata ne ho fatti 5 colpendo pali e traverse a ripetizione. Hanno cominciato a criticarmi perché si aspettavamo di più e più mi criticavano e più io mi chiudevo. Avevo mollato. In estate volevo andare via e c’era la Roma che era molto interessata: non mi fecero andare via perché Guidolin diceva che con lui potevo giocare ovunque in attacco. ma poi ho cominciato a non giocare e a diventare sempre più antipatico. Non l’ho gestita bene, ripensandoci oggi mi dispiace perché era una grande piazza e potevo esser meno permaloso".
Esistono ancora i bomber di provincia?
“No, ma perché il calcio è cambiato completamente. In tutto. Basta vedere cosa è successo e com’è finita ai calciatori che hanno legato il loro nome ad un squadra per tutta la carriera. Anche io sono stato costretto ad andare via. È difficile ed è una questione di valori. Anche i grossi club ora non sono più un punto di arrivo ma sono sempre un passaggio per un altro step successivo, che può essere all’estero o qui. Poi c’è da dire che quando eravamo piccoli noi non smettevamo un attimo di giocare a calcio mentre ora, e lo vedo con i miei figli, ci sono la Playstation, il telefono, la tv e tanto altro che prima non avevamo. È un altro mondo. Lo sport è una palestra di vita e per fortuna che almeno grazie allo sport escono di casa, io metterei allenamento tutti giorni solo per questo”.
Era più difficile fare l’attaccante qualche anno fa in Serie A?
“È molto più facile adesso. I miei primi anni di Serie A, quando capitava che nelle prime giornate ero in testa alla classifica cannonieri, io affiancavo gente come Adriano, Trezeguet, Ibrahimovic… un livello impressionante. Io ho iniziato a giocare in Serie A contro Maldini, quindi era molto più difficile arrivare davanti alla porta. C’era una qualità altissima. Anche per andare in Nazionale, dovevi essere continuo nel far gol e vincere. Adesso basta un gol e qualche prestazione per essere convocato".
A proposito di Nazionale, lei ha vinto l'ultimo Europeo con l'Under 21.
"Ho fatto due presenze con la maggiore e ho vinto l'ultimo Europeo dell'Under 21. Era il 2004 e il CT era Gentile. Eravamo una buona squadra, c’erano Barzagli, Zaccardo, Gilardino, De Rossi, Bonera, Borriello, Sculli, Palombo, Pinzi… eravamo una squadra forte".
Perché non riusciamo a far crescere attaccanti come qualche anno fa?
“Siamo in una fase di cambiamento, dobbiamo un po’ ricostruirci e ripartire dai settori giovanili per costruire i giocatori. Stiamo vivendo questo ciclo e siamo di fronte ad un cambio generazionale ma probabilmente è solo un momento".
Più di 200 gol in carriera tra tutte le categorie professionistiche: Caracciolo pensava di arrivare a questo livello?
"Il mio sogno da ragazzino era arrivare in Serie C, quella di una volta, diversa da quella di oggi. Negli anni ’90 sempre con gli stadi pieni, altro livello. Quando parlavamo con i miei amici del quartiere a Cesano Boscone lo dicevo sempre: ‘A me basterebbe arrivare in C’. È andata meglio".