Ancelotti abbraccia il figlio Davide e piange: 5 finali di Champions, ma si emoziona ancora
Carlo Ancelotti è in lacrime per la commozione. Ha gli occhi lucidi, scioglie la tensione e si concede quel momento di umana, comprensibile debolezza al termine di una sfida intensa, tirata, equilibrata, vietata ai deboli di cuore, fatta per gli audaci che la fortuna aiuta sempre e per i fuoriclasse, fatta per scrivere la storia. "Re Carlo" abbraccia il figlio, Davide, che ha seguito in piedi, accanto a lui, con le coronarie in fibrillazione, gli ultimi minuti della semifinale di Champions tra Real Madrid e Manchester City.
Le merengues ribaltano la sconfitta (4-3) dell'andata e consegnano al tecnico italiano la quinta finale da allenatore (2003, 2005 e 2007 con il Milan, 2014 e 2022 con il Real Madrid) conquistata con due squadre diverse. Nessuno come lui che, numeri alla mano, è il più grande nella storia del trofeo. E il conteggio sale a sette se si aggiungono anche i due big match da calciatore giocati e vinti con il Milan (1989, 1990).
La sua "forza tranquilla" di inserire due ventenni (Camavinga e Rodrygo) è stata devastante ancora una volta. Ha spazzato via anche quella maledetta notte di Istanbul, quella ferita che ancora sanguina nel cuore di (ex) milanista, quel trauma che sta lì, in agguato nelle curve della memoria e rischia di mandarti fuori strada. Sa bene cosa significa l'associazione dei termini cocente e sconfitta. Passò dal trionfo che aveva in pugno (3-0 alla fine del primo tempo con il Liverpool) al dramma del 3-3 e di una debacle ferale ai calci di rigore.
Ironia della sorte, sarà proprio contro i Reds che il prossimo 28 maggio, nello scenario dello stadio Saint-Denis di Parigi, proverà a prendere la Coppa per le "grandi orecchie" e a scolpire un'altra gara epica. A consumare la vendetta. "È un grandissimo avversario – dice ai microfoni di Amazon Prime Video -. Sarà una finale bellissima e incerta".
La vittoria dei blancos (3-1) al Santiago Bernabeu è rocambolesca: segnano gli inglesi con Mahrez e sembra finita. Rodrygo realizza una doppietta epica tra il 90° e il 91° e il duello scivola ai supplementari all'ultimo assalto. Marcelo si avvicina e gli sussurra qualcosa. Sorridono ma non è ancora il tempo per esultare. Manca il colpo di grazia, lo vibra Benzema, il giocatore simbolo in questa edizione della Coppa. La freddezza dal dischetto in quel momento così solenne e delicato è iconica, da Pallone d'Oro: il 3-1 è glaciale, gela il sangue nelle vene di Guardiola mentre Ancelotti alza il sopracciglio e scatta in campo.
Carletto passeggia nervoso, il figlio lo segue come un'ombra, assistono al forcing disperato dei Citizens, confabulano, gesticolano, lo sguardo rimbalza dall'orologio al rettangolo verde, quegli attimi trascorrono così lenti da sembrare un'eternità. Il triplice fischio dell'arbitro, Daniele Orsato, è una liberazione. "Non ci credevate, eh? Uomini di poca fede… – ha aggiunto con un pizzico di ironia -. Scherzi a parte, ci credevano in pochi, ma i giocatori sì. In questo stadio basta una piccola scintilla. Ne sanno qualcosa anche Psg e Chelsea".