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Amore e odio, la vittoria più bella di Zeman: contro la Juventus

Lazio-Juventus del 29 ottobre 1995 è la prima grande vittoria di Zeman sulla Juventus, la squadra che allenava suo zio Vycpálek e che negli anni giovanili era il suo grande amore calcistico. Poi con il tempo questo amore è diventato fastidio e infine vero e proprio odio, sfociando nelle dichiarazioni su doping e farmaci nel 1998.
A cura di Jvan Sica
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Zeman e la Juventus hanno avuto e hanno un rapporto così forte che non si può non parlare di amore tradito. Tutti sanno che Zdenek Zeman è il nipote di Čestmír Vycpálek, grande allenatore che per due anni consecutivi vinse lo scudetto alla guida di una Juve bella e giovane dal 1971 al 1973. Quelli erano proprio i primi anni di Zeman in Italia, dopo che non era più tornato in Cecoslovacchia a seguito dell’invasione sovietica per sedare la Primavera di Praga.

Se mettiamo la giovane età, il rapporto forte con lo zio, la passione sfrenata per lo sport e l’infatuazione per una squadra che tanto stava dando anche alla sua famiglia, facile capire come Zeman si innamori della Juve, come spesso ha anche lui sottolineato in tante interviste.

Conosciamo poi tutti la carriera del boemo. Inizia con le giovanili e diverse squadre siciliane, è capace di pensare e affermare un tipo di gioco in cui la zona è pura e sono gli intercambi continui fra le diverse fasce di campo, da considerare come un rettangolo diviso in bande verticali e orizzontali, ad essere fondamentali. Va al Parma dopo Sacchi e fa bene, passa al Messina e poi Casillo lo chiama al Foggia, dove incontra Signori, Baiano, Rambaudi, Biagioni, Onofrio Barone, Mancini, tutti calciatori perfetti per il suo modo di giocare e insieme creano Zemanlandia, il posto migliore dove si giocava il calcio nuovo.

In questo suo cammino le sue squadre e la Juventus non si sono mai incontrate in campionato, avendo sempre allenato in categorie inferiori. Un piccolo contatto c’è stato quando la Juve prende il suo centravanti di Messina, Totò Schillaci. Solo questo, nulla più. Anche in epoca di idee nuove e post-sacchismo imperante, per i dirigenti juventini è ancora importante far vedere in serie A il peso delle proprie idee e solo dopo pensare di poter allenare i bianconeri. Per questo motivo il sogno di allenare la Juve è sempre lontano.

Il Foggia va in A e alla seconda di campionato, dopo che alla prima aveva impressionato a San Siro contro l’Inter portando a casa uno strettissimo pareggio, per la prima volta una squadra di Zeman affronta la sua amata Juve in campionato. Il Foggia chiaramente domina il campo, ma altrettanto chiaramente perde per un gol proprio di Schillaci. Ma chi gli ha servito l’assist è partito in fuorigioco e Zeman nell’intervista di fine partita è altrettanto chiaramente imbufalito per l’errore e la sconfitta (imbufalito per Zeman vuol dire avere le gote leggermente più rosee del normale). Al ritorno due rigori per la Juve lo fanno incazzare davvero. Addirittura l’arbitro Sguizzato lo allontana dal campo. Nasce da queste due partite un’antipatia che col tempo poi si allarga. Nelle due stagioni successive altre due sconfitte, un pareggio e una vittoria per 2-1 allo Zaccheria. A fine partita il sorriso era a 600 denti.

Ma la Juve risorge sempre. E lo fa l’anno successivo, con in panchina Lippi, che vince a Roma contro la Lazio, divenuta la sua nuova squadra, per 3-4. È la partita in cui scopriamo davvero Alessandro Del Piero (e Grabbi, ma Ciccio scomparirà subito) e Zeman continua a dare segnali di grande insofferenza quando perde contro la Vecchia Signora. Vince il ritorno ma è una Juve che ha mollato in campionato perché ormai è vinto. Zeman con la sua Lazio finirà secondo e sarà eliminato in semifinale in Coppa Italia proprio dalla Juve.

La vittoria più bella di Zeman

Fatta questa lunga premessa che parte dall’amore appassionato per la Juventus da parte di Zeman, trasformatosi poi in fastidio sempre più insopportabile, si arriva al momento in cui Lazio e Juve scendono in campo per l’ottava giornata del campionato 1995-96 per disputare una partita che deve dire tanto anche in ottica di classifica finale. Questa volta Zeman vuole vincere a tutti i costi.

I biancocelesti sono a dir poco assatanati. I difensori annullano il duo Ravanelli-Del Piero e Lippi nel secondo tempo mette dentro anche Vialli senza nessun frutto. I centrocampisti pressano senza sosta Paulo Sousa e Tacchinardi, superando in mobilità uno come Antonio Conte, i tre attaccanti, Signori, Casiraghi e Rambaudi fanno impazzire la difesa juventina. La partita finisce 4-0 ma ci stavano almeno altri 3 gol di differenza. Il quarto gol firmato da Casiraghi è il manifesto di quella partita. Sulla sinistra se ne va Boksic, entrato al posto di Signori, e serve con un passaggio dolcissimo al centro. Il centravanti colpisce la palla di testa con una potenza incredibile, quasi demolendo la porta dell’Olimpico. È il gol che quel giorno sancisce una supremazia fisica e tattica devastante.

Negli spogliatoi la felicità di Zeman riesce a trasparire anche in mezzo a quelle sue parole sussurrate. Basta una piccola domanda del giornalista e il boemo parte:

“Mi sono divertito e la squadra mi ha dato grandi soddisfazioni sul campo”

Già solo l’idea che Zeman posso divertirsi sciocca parecchi addetti ai lavori.

“È bello battere la Juventus, è la prima della classe ed è campione d'Italia”.

La soddisfazione è battere i migliori, ma soprattutto battere quella squadra, per Zeman ormai vista come fumo negli occhi.

“Cosa cambia con questa vittoria? Me lo diranno domani i giornali”.

Sottolineando il fatto che il giorno successivo avrebbe voluto a tutta pagina l’esaltazione della sua vittoria contro il potere anche mediatico della Juve.

“Se per lo scudetto può competere la Juventus di oggi, possiamo competere anche noi”.

Sono tutte frasi secche, dette con il sorriso di chi sente di averla fatta grossa e di aver ottenuto una sorta di rivincita personale oltre che riguardo alla sua squadra. Si capirà poi solo tre anni dopo, quando parlerà di doping, di troppi farmaci, di strane evoluzioni dei corpi di Del Piero e Vialli che quel fastidio verso la Juve, tante volte mostrato anche nei silenzi e nei soli sguardi, era un vero e proprio odio.

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