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Amantino Mancini oggi: “A Foggia sembrava di stare sotto l’esercito. Sul mio nome circola una bugia”

Amantino Mancini racconta a Fanpage.it la sua nuova vita da dirigente con l’Aymorés di Ubá e ha riavvolto gli anni trascorsi a Roma, facendo dei brevi passaggi anche sulle esperienze con Inter e Milan e da allenatore con il Foggia.
A cura di Vito Lamorte
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Amantino Mancini era uno degli incubi dei difensori della Serie A della prima decade degli anni 2000. Finta di corpo e via, un doppio passo ed era quasi impossibile recuperarlo. Era una delle frecce nell'arco della Roma di Luciano Spalletti che più volte sfiorò lo Scudetto e anche lui ricorda con piacere quegli anni: "Ho vissuto momenti bellissimi".

Dopo aver appeso gli scarpini al chiodo ha provato a fare l'allenatore, con una brevissima parentesi anche a Foggia di cui ci ha raccontato i motivi dell'epilogo negativo, e oggi è dirigente dell'Aymorés di Ubá, che milita nel Mineirao 2, e si occupa della pianificazione sportiva insieme ad altri due ex calciatori come Wellington Paulo e Dénis. Non ha mai mollato definitivamente la palla, visto che prenderà parte al campionato nazionale brasiliano di footvolley: chi ha passione per questo gioco non riesce mai a staccarsi definitivamente.

A Fanpage.it Amantino Mancini ha parlato della sua nuova vita da dirigente con l'Aymorés di Ubá e ha riavvolto il nastro degli anni trascorsi a Roma, facendo dei brevi riferimenti anche sulle esperienze con Inter e Milan.

Cosa fa oggi Amantino Mancini?
“Mi è apparsa una buona opportunità con un club emergente che è lo Sport Club Aymorés di Ubá che gioca nel Mineiro 2. Il nostro obiettivo è quello di crescere a livello economico il club e di cercare nuovi talenti”.

Ha già messo da parte la carriera di allenatore?
“No, assolutamente. Il fatto che non alleni più ora non esclude che possa farlo in futuro“.

È più bello giocare o allenare?
“Sicuramente era più bello giocare. Quando giocavo ero molto felice ed è un ruolo completamente diverso da quello dell’allenatore. Anche allenare mi piace, trasmettere e insegnare le cose che ho imparato io in passato. Ho fatto un’esperienza a Foggia e una qui in Brasile“.

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Facciamo un passo indietro. A Roma ha vissuto anni meravigliosi. Quali sono i momenti che ricorda con più piacere?
"Ho vissuto momenti bellissimi a Roma, importanti sia a livello personale che per il club. Abbiamo fatto i quarti di Champions League, abbiamo vinto Supercoppa Italiana e Coppa Italia… se a questo aggiungi le 11 vittorie di fila e il gioco bellissimo che facevamo con mister Spalletti, posso solo dire che mi sono divertito tanto a Roma".

Il gol di tacco del derby è qualcosa che torna alla mente anche a chi non è tifoso giallorosso…
"Quel gol lì è stato molto importante per la mia carriera, cambiò tutto, è il primo gol in Serie A. Poi in un derby… Tanti tifosi mi parlano sempre di quel gol, che rimarrà nella storia della Roma e della stracittadina".

Un'altra notte indimenticabile è quella di Lione…
"Una serata bellissima di Champions League. Sono riuscito a fare quel gol molto bello, ma facevo parte di una squadra che giocava molto bene e si divertiva. Appena è arrivata la palla lì ho pensato solo che dovevo superarlo e dopo otto doppio-passo ho dribblato Reveillere e di sinistro ho messo la palla sotto l’incrocio".

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All’Inter pochi acuti e tanta panchina. Cosa non andò con Mourinho?
"Il primo anno bene ma poi lui ha cambiato modulo e mi ha messo fuori. Io non stavo bene e questo non ha aiutato. Sono cose che accadono nel calcio, io pensavo che potesse andare diversamente ma è stata un’esperienza anche quella. Mister Mourinho per me è un allenatore forte e per me è stata una crescita professionale".

Giocò al Milan per sei mesi: che esperienza fu quella in rossonero?
“Mi ha voluto Leonardo ed era quasi un anno che non giocavo. Subito in campo e mi faccio male. Il Milan era una grande società e un grandissimo club. Anche quella è stata una tappa che mi ha fatto capire tanto, perché sono stato in mezzo a tanti campioni che mi hanno dato tanto”.

Tornò in Brasile da dove era partito: l’Atletico Mineiro. Vinse il titolo nel 2012 e poco dopo si ritirò: fu la chiusura di un cerchio per lei?
"Sì, torno a casa mia. Nella squadra dove sono cresciuto e ho iniziato la mia carriera. Ho vinto il campionato ma la testa era un po’ stanca e ho deciso di ritirarmi e iniziare con nuovi progetti. Però volevo finire la carriera dove ho iniziato e ci sono riuscito".

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Chi è il calciatore più forte con cui ha giocato?
"Ho giocato con tanti calciatori fortissimi. Ronaldo il Fenomeno, Ronaldinho, Totti, Ibrahimovic, Adriano, Vieira… sono davvero tanti e sono stato molto fortunato in questo“.

Fabio Capello, Luciano Spalletti e José Mourinho. Chi è l’allenatore che le ha dato di più e quello a cui si ispira.
"Capello lo ringrazierò per tutta la vita perché lui mi ha dato subito l’opportunità di giocare con la Roma e non mi ha mai tolto. Sono stato un suo giocatore di fiducia. È un generale ed è bravissimo a gestire una rosa di tanti campioni. Mourinho è uno che ti entra dentro, lavora molto sulla mente perché capisce di calcio ed è un vincitore ma Luciano Spalletti è quello che sul campo mi ha dato di più perché mi ha aiutato a posizionarmi, a giocare meglio, fase difensiva-offensiva. Il migliore allenatore della mia carriera è stato sicuramente Spalletti".

Il manifesto di presentazione della prima partita di footvolley di Mancini.
Il manifesto di presentazione della prima partita di footvolley di Mancini.

Quando ha iniziato la carriera da allenatore ha avuto un’esperienza molto particolare a Foggia: è verp che si dimise dopo un allenamento alle 6 del mattino deciso dalla società in seguito ad una sconfitta?
"Stavo facendo corso Uefa ma mi serviva la pratica più che la teoria. Mi chiamarono a Foggia e subito lì ho iniziato a conoscere l’ambiente, mi piaceva la squadra e i tifosi. Ebbi un impatto strano con qualche dirigente e dopo che perdemmo la partita d’esordio misero l’allenamento alle 6. Sembrava di stare sotto l’esercito. Una cosa che a me non piace e quindi mi dimisi subito".

Da suo ex compagno, si aspettava un De Rossi così pronto per la panchina della Roma?
"Non me l’aspettavo che diventasse allenatore ma sta dimostrando che può diventare un grandissimo. Ha fatto bene e deve essere lui il futuro della squadra giallorossa. Secondo me è il nome giusto per crescere".

Il suo nome è Alessandro Faiolhe Amantino ma da tutti è conosciuto come ‘Mancini': è vero che questo pseudonimo glielo diede Tonino Cerezo in onore di Roberto Mancini?
"Non è vera questa cosa che circola, anche se tutti dicono così. Quando giocavo all’Atletico Mineiro mi chiamavano ‘mansinho’ perché ero tranquillo, ma un allenatore mi disse che per un calciatore non andava bene e così iniziarono a chiamarmi Mancini. Poi sono arrivato in Prima Squadra e c’era Cerezo che parlava spesso di Roberto Mancini, ma non nasce da lui".

Qual è il sogno di Mancini per il prossimo futuro?
“Adesso sono qui all’Aymorés come dirigente, ma un domani posso tornare a fare l’allenatore. Al momento quella cosa lì è in stand-by perché mi piace stare vicino alla famiglia e sono molto più felice".

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