Allegri spacca la Juventus in tre gruppi: dalla sua parte sono rimasti i 4 fedelissimi
I pretoriani del tecnico all'interno dello spogliatoio della Juventus. Mai come in questo momento così delicato che sta attraversando la squadra e l'allenatore se ne avverte la mancanza. E certi atteggiamenti in campo non sarebbero stati ammessi. Anche dopo una sconfitta pesante, dura sotto il profilo emotivo, nessuno si sarebbe mai sognato di considerarsi altro rispetto ai compagni di squadra e non andare sotto la curva dei tifosi a metterci la faccia.
I ‘senatori' – come si dice in gergo – avevano spalle abbastanza larghe per reggere agli urti della stagione e personalità spiccata per tenere a bada avvisaglie di malumore. Bastavano uno sguardo e poche parole. Ti tenevano negli occhi (o per le orecchie) e indicavano la direzione da seguire, dentro e fuori dal campo, nel bene e nel male, nella vittoria e nella sconfitta.
Fino alla fine era molto più di un motto: la scintilla nell'animo che ti porta a non mollare mai, la capacità di resistere allo stress per restare sempre sotto i riflettori ad alti livelli, la mentalità giusta (necessaria) che rendeva la squadra un monolite. Quando avevi dinanzi a te la Juve di Buffon, Chiellini, Barzagli e Bonucci (unico superstite di quell'era decennale) gli avversari sapevano di dover scalare una montagna a mani nude e il resto della squadra marciava a ranghi compatti.
Lo scenario è cambiato totalmente e il campo riflette (anche) le lacune e le anime inquiete all'interno del gruppo bianconero, quella carenza di leadership che faceva da scudo al tecnico e, assieme ai risultati, lo rendeva inattaccabile dietro i suoi bastioni. Eccezion fatta per Bonucci, di quella Juve è rimasto ben poco e gli stessi fedelissimi attuali di Allegri (Danilo, Szczesny, De Sciglio citati dalla Gazzetta) non hanno la stessa influenza.
Oppure non ne hanno a sufficienza anche per spiegare al ‘fideo' che certe parole e certi concetti espressi in maniera chiarissima sotto gli occhi di tutti, certe riflessioni che un po' erodono l'autorevolezza del tecnico, è meglio tenerli per sé. E parlarne altrove, faccia a faccia.
Due cose non sono sfuggite, due istantanee di quel che è stata Juventus-Benfica, due momenti che hanno caratterizzato le note a margine della sconfitta in Coppa. Due episodi che hanno fatto rumore e alimentato perplessità sulla effettiva posizione dell'allenatore dietro le quinte. L'uno più grave dell'altro considerato il contesto.
Prima il labiale di Angel Di Maria, che chiede a Milik le ragioni del cambio deciso da Allegri: una sfumatura che lascia intravedere scorie dell'infortunio e dell'insoddisfazione da parte del calciatore per come è stato gestito (la sostituzione con la Fiorentina alla fine del primo tempo è qualcosa che non gli è andata a genio), oltre a dare un segnale di poca fiducia verso le scelte del tecnico. Confermato (perché costerebbe troppo esonerarlo) ma in bilico, per adesso sono altri a pagare per lui. Poi l'assenza dei due argentini ex Psg (l'altro è Paredes) dopo il triplice fischio, quando si rende omaggio ai sostenitori: in quel caso c'era da prendere i fischi ma loro non c'erano.
In mezzo a questo bailamme c'è una porzione di squadra, compreso qualche ‘vecchio', che un po' si sente disorientata, in balia degli eventi e di un avvio di stagione che nessuno avrebbe mai immaginato. Un inizio non da Juve.