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Alice Pignagnoli, la calciatrice incinta che il club non voleva pagare: “Non dovrà più succedere”

“Sono stata messa fuori squadra perché incinta”. Sono queste le parole di Alice Pignagnoli, portiere della Lucchese, che a Fanpage.it ha raccontato la vicenda che ha vissuto sulla sua pelle.
A cura di Vito Lamorte
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"Sono stata messa fuori squadra perché incinta". Sono queste le parole di Alice Pignagnoli, la 34enne portiere della Lucchese, che ha voluto far sapere a tutta Italia il modo in cui la sua società si era comportata dopo aver detto ad un dirigente che aspettava un bambino.

Nata a Reggio Emilia, in passato ha giocato per la Reggiana femminile, il Milan in Serie A e poi Torres (con Scudetto e Supercoppa Italiana 2012) ma non avrebbe mai pensato di vivere una situazione come quella che le è capitata nelle scorse settimane con il club toscano di Serie C femminile. Alice è alla seconda gravidanza e nel giugno 2020, quando giocava a Cesena, la società le aveva rinnovato il contratto al 7° mese di gravidanza scrivendo una piccola pagina di storia. Pignagnoli ha parole di affetto verso l'allenatore e le compagne ma è delusa dal comportamento tenuto dalla sua società.

La giocatrice emiliana ha parlato a Fanpage.it della vicenda e ha ricostruito tutto, con un accenno particolare alla situazione lavorativa nelle serie minori del calcio femminile.

La reazione quando ha detto ai suoi dirigenti che era incinta? 
“Quando l’ho comunicato ai dirigenti mi aspettavo una risposta del tipo ‘sei un pezzo importante della nostra squadra ma capiamo la situazione perché devi vivere una cosa bellissima’ invece è successo esattamente l’opposto. L’amministratore delegato mi ha detto: ‘Io ho puntato tutto su di te. Certo che gli impegni presi in estate andrebbero rispettati. Comunque ho già parlato con il tuo procuratore del tuo contratto'. Il mio procuratore mi ha detto che non volevano pagarmi da adesso in avanti, ma io non avevo ancora preso un euro da agosto. Loro non hanno rispettato i patti, non hanno rispettato nulla. Ma non valeva solo per me, era un discorso di squadra”.

Cosa è successo dopo. 
“Nelle settimane successive mi sono tenuta in contatto con le mie compagne e quando ho saputo che loro avevano preso l’arretrato e io no, questo è stato il primo tassello di follia. Io avevo giocato ma non avevo preso nulla. Non mi hanno dato risposte e poi sono iniziate ad arrivare delle mail che mi chiedevano la restituzione del materiale sportivo, oltre a liberare il mio posto letto. In pratica mi impedivano di restare vicina alla squadra. Questa è la parte più grave di quella economica, perché questi due mesi d’inferno non me li toglie nessuno. L’apoteosi è stata quando mi hanno chiamato per dirmi che mi stavano svincolando, ma io ho un contratto di un anno con loro e non era possibile. Io ho chiamato il mio avvocato e anche l’Associazione Calciatori, perché non sarei stata in grado di affrontare da sola una situazione del genere. Loro volevano mettermi paura, ma stamattina il mio procuratore mi ha detto che forse si sono pentiti. Probabilmente per il caso mediatico che si è creato ma se non avessi fatto tutto questo io mi sarei attaccata al tram".

È alla seconda gravidanza, cosa è successo in occasione della prima?
“La cosa che più mi ha lasciato sconvolta è questa, perché a Cesena avevamo scritto una storia bella su questo tema. Io venni svincolata, perché all’epoca era così la norma, ma la società mi è stata vicina e mi ha rinnovato il contratto: in questo modo quando ho partorito ho ricevuto lo stipendio ed è stato un percorso bello e diverso. Io poi sono tornata in campo 100 giorni dopo il parto e ho giocato facendo il mio, quindi non mi aspettavo mai una cosa del genere sapendo cosa era successo in precedenza“.

La cosa che l’ha più ferita di questa storia?
“Mi ha fatto riflettere come la mancanza di tutela dell’essere umano e la dignità minima del lavoratore dovrebbe essere garantita. Questo sistema che c’è qui da noi, per cui le società fanno quello che vogliono e le ragazze subiscono non va bene. Ora la Serie A è diventata professionista ma la situazione è un po’ migliorata solo a monte, perché per il resto è rimasto tutto uguale. In Serie B fai la pro ma ti propongono di andare ‘a giocare per 400 euro al mese’ e se dici di no ti dicono che costi troppo e vanno avanti finché non trovano una disposta a farlo”.

Il suo contratto scadrà a giugno: sarà difficile continuare con loro a meno di chiarimenti.
“Credo che sarà molto difficile se non accadrà nulla. Da svincolata poi andrò dove posso: perché sarò una ragazza di 34 anni con due figli e ci sono delle pretese. Ma qui rientriamo in un discorso un po’ già ampio”.

Ecco, appunto. Perché in Italia lo sport declinato al femminile, ma potremmo ampliare lo spettro al mondo del lavoro in generale, vive ancora queste situazioni? 
“Io credo che questo sia un problema che ha il 99% delle mamme lavoratrici; perché sul lavoro ci sono più tutele rispetto a quelle che abbiamo noi come atlete, ma ci sono state delle situazioni in cui le donne son state degradate rispetto a quello che facevano prima. È un problema del sistema lavoro e di come viene percepita la donna, perché in altre nazioni ci sono leggi che ti permettono di fare la tua vita senza metterti problemi per una gravidanza“.

C’è un messaggio che vorrebbe mandare ai dirigenti della Lucchese?
“Io sono anche disposta a perdonarli ma mi hanno fatto cose di una gravità incredibile. Io spero che loro ripensino al male e alla sofferenza che mi hanno provocato. Però quello che mi importa di più è che una donna non debba più subire quello che ho subito io, perché questa cosa non è giustificabile ed è sbagliata“.

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