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Alessandro Melli: “I primi stipendi da calciatore li davo ai miei genitori. Oggi lavoro in ufficio”

A Fanpage.it Alessandro Melli ha parlato del suo rapporto con Parma e con il Parma, ha ripercorso alcune tappe fondamentali della sua carriera e ci ha spiegato perché era più difficile fare l’attaccante in Serie A qualche anno fa.
A cura di Vito Lamorte
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Alessandro Melli ha legato il suo nome, a doppia mandata, alla storia di Parma e del Parma Calcio. Un unione che è iniziata nelle giovanili gialloblù ed è proseguita a suon di gol dalla Serie C fino alle vittorie europee di un club che, a cavallo degli anni '80 e '90 dello scorso secolo, cambiò il suo status da provinciale a realtà aperta continentali.

Figlio di Emilio Melli, anche lui calciatore, Alessandro diventa il simbolo dei Ducali in campo, con gol importantissimi come quello della promozione in Serie A nella stagione 1989-90 o nella finale di Coppa delle Coppe a Wembley; e fuori, ricoprendo il ruolo di Team Manager del club per dieci stagioni.

In carriera ha vestito anche le maglie di Sampdoria, Milan, Perugia e Ancona ma è sul prato dello stadio Ennio Tardini che ha dato il meglio nonostante ci sia voluto un po' di tempo per convincere i tifosi più critici. Nessuno è profeta in patria.

A Fanpage.it Alessandro Melli ha parlato del suo rapporto con Parma e con il Parma, ha ripercorso alcune tappe fondamentali della sua carriera e ci ha spiegato perché era più difficile fare l’attaccante in Serie A qualche anno fa.

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Cosa fa oggi Alessandro Melli?
"Sono responsabile dell’ufficio acquisti di un’azienda che assembla macchine alimentari e farmaceutiche a Parma. In pratica, compro il materiale che serve per assemblare, costruire, queste macchine. Sono molto contento ed è completamente nuova per me, ormai sono sette che sono qui e mi piace. È un lavoro d’ufficio, che non dà l’adrenalina come il calcio, ma mi piace".

Gioca ancora a calcio o pratica altri sport?
"Io gioco a calcio con il Parma Forever, la squadra delle Leggende del club ducale, e gioco a padel".

Lei a Parma è passato da provinciale a club di livello europeo: che momento era per la città e come lo avete vissuto voi?
"C’è stato un passaggio epocale in quel periodo per una città di provincia, con una buona qualità di vita e molta tranquillità. Nello sport si eccelleva nella pallavolo e nel baseball: la Serie A non si era mai vista e nessuno si aspettava una scalata del genere. Siamo partiti pian piano e dopo essere arrivati in A è nato qualcosa difficile da descrivere. Si era creato un connubio molto forte tra noi, la società e la gente, un forte senso di appartenenza e di condivisione, e questo ha aiutato a raggiungere obiettivi importanti. Naturalmente la squadra era composta da giocatori molto forti, non si vince solo con l’ambiente, e anno per anno sono stati inseriti innesti per migliorare. Senza stravolgere mai la base della squadra e del gruppo".

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Cosa non ha funzionato nella sua breve esperienza al Milan?
"Non ha funzionato perché sono arrivato in prestito, ero metà del Parma e metà della Sampdoria, e questo condizionò molto chi doveva fare le scelte e me. Per fare un esempio: alla pari tra me e un compagno di proprietà rossonera, sceglievano sempre lui. L’altra motivazione era dovuta al fatto che io non ero pronto ancora a stare in un club che doveva vincere sempre: la partita di campionato, in Europa e in amichevole. A livello mentale dovevo fare quel salto. Alla fine dell’anno Fabio Capello aveva anche espresso la volontà di tenermi in rosa ma i club non si misero d’accordo e tornai a Parma".

Qualche mese fa parlò di Perugia-Juventus, partita che decise lo Scudetto in favore della Lazio, e si sono scatenate polemiche enormi…
"Preferirei non parlare di nuovo di questa cosa perché qualcosa è stato un po’ strumentalizzato e qualcosa forse ho sbagliato pure io nella comunicazione. L’unica cosa che mi sento di dire è che ho ricevuto messaggi di tutti i tipi. Si tratta di cose andate tutte in prescrizione ma non pensavo che avrebbe aperto una discussione a distanza di tanto tempo. Ne ho parlato in maniera innocente e mai avrei pensato di ricevere una montagna di insulti il giorno dopo. Mi fermo qui".

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Lei vinse l’Europeo Under 21 nel 1992 e nella finale di ritorno si ritrovò a fare il terzino: che ricordi ha di quello battaglia a Växjö?
"Ho fatto una buona parte della partita il terzino perché Cesare Maldini mi disse che aveva bisogno lì in quel momento: stavamo perdendo 1-0, dopo aver vinto 2-0 all’andata, e dovevamo chiudere così per poter vincere il titolo. Per l’ultima mezz’ora giocai da terzino e dopo tante corse, calci e un po’ di sofferenza riuscimmo a vincere il titolo".

Era più difficile fare l’attaccante qualche anno fa in Serie A?
"Passerò per nostalgico ma una volta era più difficile fare gol. Penso che questa sia una cosa oggettiva. Prima vincevano la classifica cannonieri anche a meno di 20 gol gente come Maradona, Platini, Baggio etc etc mentre ora si arriva 30 e più gol. La marcatura a uomo non c’è più e i difensori sono molto svantaggiati rispetto a qualche anno fa. Anche i palloni, se vogliamo sono diversi (l’altro giorno ho parlato con Taffarel e mi ha detto che oggi ‘le palle sono delle fionde’). Per gli attaccanti è più semplice far gol anche per la mentalità degli allenatori, che cercano di andare a giocare anche in trasferta mentre prima andavi a fare le barricate e forse ti capitava un tiro in porta in 90’. Per non parlare della differenza dei campi. Il fuorigioco, il VAR…sono cambiate molte cose nel calcio e credo che ad averne tratto vantaggio sian stati sopratutto gli attaccanti. Io credo che alcuni difensori della mia epoca oggi non finirebbero una partita, per come erano abituati e per quello che facevano".

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Ci dice il difensore più duro che ha affrontato in carriera?
“Pietro Vierchowod“.

Il giocatore più forte con cui ha giocato?
“Zola e Mancini nelle squadre di club. In Nazionale ho giocato con Roberto Baggio, che era un gradino sopra agli altri”.

E l’avversario più forte?
"Senza dubbio Diego Armando Maradona. Il giocatore più forte della storia del calcio. Non è paragonabile a nessuno”.

C’è un gol che ha più significato per lei.
"Il gol che mi emoziona di più è quello della promozione in Parma-Reggiana. Dico quello perché segnato nel derby, al 90’ e per il valore che ha".

Esistono ancora i ‘bomber di provincia’?
"Secondo me è una razza in via di estinzione. Una volta anche in B o in C, c’erano calciatori che erano dei veri e propri simboli. Sauro Frutti a Modena, Vito Chimenti del Palermo, Gigi Marulla a Cosenza, Barbuti a Parma e potrei andare avanti… tutti calciatori che erano delle istituzioni nelle loro città nonostante fossero categorie inferiori. Oggi è difficile un calciatore che stia tanto tempo in una città. Un altro esempio può essere Tullio Gritti, che è il secondo di Gasperini, a Brescia. Non ci sono più questo tipo di calciatori ed è un peccato perché era bello identificarsi. Se tu mi chiedessi quale carriera preferiresti tra quella di Cristiano Ronaldo e quella di Totti io non avrei dubbi: la seconda. Non c’è paragone. Io ho avuto un legame molto forte con Parma e per certi versi è stata una fortuna ma per altri una sfortuna, perché quando mi allontanavo non rendevo allo stesso modo. Io qui stavo benissimo con i tifosi, città, società e non riuscivo ad avere lo stesso equilibrio fuori”.

Si ricorda cosa ha pensato quando ha guadagnato il primo stipendio da calciatore? Si è regalato qualcosa?
"Io firmai il mio primo contratto quando avevo 16 anni e davo i soldi ai miei genitori: io feci un contratto di cinque anni all’età di 16 anni. Prendevo 20 milioni di lire all’anno. Non saprei dirti come li hanno spesi. Ho iniziato ad avere una indipendenza tra i 18-19 anni ma prima li gestivano loro".

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