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Aldo Serena a Fanpage: “Napoli da Scudetto, Kvaratskhelia giocatore di un’altra epoca”

Aldo Serena è uno dei pochi che hanno vinto lo Scudetto con tre diverse società, di lotta per il titolo ne sa qualcosa: a Fanpage.it ha parlato della corsa al tricolore, del momento della Nazionale e dei giovani italiani.
A cura di Vito Lamorte
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"Per la vittoria finale vedo bene Napoli e il Milan, ma non taglio ancora completamente fuori dai giochi Inter e Juventus". Aldo Serena è uno dei sei calciatori italiani che hanno vinto lo Scudetto con tre diverse società (Juventus, Inter e Milan) ed è assolutamente titolato per poter esprimere il suo pensiero sulla lotta per il campionato. L’ex attaccante e ora opinionista tv è convinto che la lunga sosta per la Coppa del Mondo in Qatar potrebbe essere decisiva per il cammino verso la vittoria finale: "Nessuno è preparato ad una situazione del genere, perché è la prima volta nella storia che accade. Chi saprà reagire meglio dopo il lungo stop avrà certamente un grande vantaggio". 

Il ‘centravanti con la valigia’, come si definisce, è uno dei sei calciatori italiani ad aver segnato sia ad un Mondiale che ad un'Olimpiade ma i ricordi con la maglia azzurra non sono sempre facili da affrontare e il rigore sbagliato nella semifinale di Italia ’90 ci ha messo un po’ ad andare via da suoi pensieri: "Con l’andare avanti del tempo la delusione è scemata ma un brivido lo provo sempre quando torno a Napoli e mi nominano quella serata".

A Fanpage.it Aldo Serena ha parlato della sua carriera, ben raccontata nel libro ‘I miei colpi di testa’ appena uscito per Baldini+Castoldi, e si è soffermato anche sulle vicende attuali del calcio italiano, tra la Serie A e la Nazionale di Roberto Mancini.

Si definisce ‘il centravanti con la valigia' e tutti i tifosi dei club in cui ha giocato la ricordano con affetto: ci svela il suo segreto?
"Io ho fatto tutto con grande amore per lo sport e per il calcio, che è sempre stata la mia grande passione. Ho sempre cercato di sintonizzarmi con le lunghezze d’onda di ogni società dove giocavo. Sono stato fortunato perché ho giocato in squadre che hanno una storia luminosa e volevo assolutamente inserirmi in quei contesti. A volte ci sono riuscito di più e altre meno, ma ho sempre provato a fare tutto con la buona volontà e tanto lavoro".

Lei ha fatto una gavetta importante con Bari e Como: quanto è importante prendersi il tempo giusto per acquisire conoscenze senza bruciare le tappe?
"Per chi non ha le stigmate del campione è molto importante fare esperienza e trovare continuità. Quelle due esperienze mi hanno aiutato. A Como non ho giocato molto ma partecipai alla vittoria del campionato di Serie B e la formazione forte l’ho fatta a Bari, in un contesto diverso da quello a cui ero abituato. Ero un ragazzo di provincia introverso e ho dovuto fare cose che non avevo mai fatto prima. Tornai a Milano più strutturato e quelle tappe mi aiutarono tanto per il prosieguo della mia carriera. I giovani hanno bisogno di tempo per maturare e anche di sbagliare, perché attraverso gli errori si cresce".

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È uno dei sei calciatori, insieme a Filippo Cavalli, Giovanni Ferrari, Sergio Gori, Pierino Fanna e Attilio Lombardo; che hanno vinto lo Scudetto con tre diverse società: che sensazione si prova ad essere parte della storia del calcio italiano?
"Le dirò, lo guardo con rammarico perché avrei potuto essere l’unico a vincerlo con quattro squadre diverse: col Torino nel 1985 arrivammo secondi e sciupammo diverse occasioni per portare a casa il titolo. Sono tra quei sei, e mi fa piacere, ma un po’ con rammarico".

Quante volte ha ripensato al rigore contro l’Argentina: lo tirerebbe ancora o a distanza di tempo direbbe di no?
"Avevo trent’anni e mi sentivo un giocatore maturo, avrei messo in difficoltà il mister se avessi rifiutato perché non sapeva da che parte andare. La mia storia con Vicini è stata molto particolare, perché io ero un giocatore specializzato e lui voleva attaccanti completi: il nostro rapporto è iniziato un po’ in sordina e in ritiro è cresciuto man mano. Mi mise in campo con l’Uruguay e con l’Argentina, quindi mi sarei sentito male a dirgli di no. I primi mesi dopo l'eliminazione è stata dura e lo spettro era sempre lì. Con l’andare avanti del tempo è scemata ma un brivido lo provo sempre quando torno a Napoli o mi nominano quella serata".

Detiene il singolare primato di aver giocato i derby di Milano e di Torino con tutte le 4 maglie: quali sono quelli che ricorda con più piacere
"Ce ne sono almeno quattro, perché i derby sono sempre speciali. Con il Milan in un Mundialito nel 1982, c’erano 90mila persone e credo di non aver mai visto San Siro così pieno: feci due gol, di cui uno molto bello al volo sul quale Zenga non potè fare nulla. Con la maglia dell'Inter, nell’anno dello Scudetto, vincemmo con un mio gol di testa e fu davvero una bell'azione: spesso e volentieri sui social i tifosi ancora oggi mi mandano la foto di quella partita, che ormai è entrata nell’album di famiglia. Sui derby di Torino ho due ricordi molto ravvicinati: col Toro vincemmo grazie ad un mio gol nel finale dopo essere stati sotto per tutta la partita e l’anno dopo segnai in maniera fortunosa su un tiro di Cabrini che mise fuori causa Martina. I tifosi granata mi avevano preso di mira prima della partita e continuarono anche dopo in maniera incessante".

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Che campionato di Serie A ha visto in queste prime 9 giornate?
"Un torneo molto incerto, con le favorite Inter e Juve in difficoltà, ma ci sono altre realtà che si stanno ritagliando uno spazio importante. L’Atalanta non è più una novità ma la squadra gioca in maniera diversa rispetto al passato mentre c’è l’Udinese che sta maturando e sta facendo bene sotto il profilo tecnico e tattico. Per la vittoria finale vedo bene Napoli, che per me è la candidata numero uno perché gioca molto bene ed è in grado di mettere in difficoltà anche le grandi d’Europa; e il Milan, che nonostante qualche problemino continua ad essere lì. Credo che il duello possa essere questo ma Inter e Juventus non le vedo fuori dai giochi perché sarà una stagione molto particolare e non si sa come si ritroveranno le squadre a gennaio. Il lungo stop per il Mondiale condizionerà certamente".

Gli uomini copertina sono Leao e Kvaratskhelia: chi incide di più sul risultato della sua squadra? 
"Si tratta di due calciatori che fanno lo stesso ruolo ma in maniera diversa e condizionano molto le loro squadre. Kvara mi sembra meno legato all’umore rispetto a Leao, che è riuscito a crescere e prendersi il suo spazio. Il portoghese è stato bravo, anche grazie a Pioli che gli ha permesso di migliorare, e adesso è un cigno meraviglioso dopo essere stato un brutto anatroccolo: ha trovato anche lucidità sotto porta ed è devastante. Kvara è un calciatore d’altri tempi, direi degli anni ’70-’80, con il suo dribbling e le sue giocate che ti lasciano sul posto. È bello da vedere perché può andare su entrambi i piedi e ha quelle sterzate che i difensori hanno difficoltà nella lettura".

La vittoria contro il Barcellona può essere stato il punto di svolta della stagione dell’Inter?
"Ho visto la partita allo stadio e ho visto lo spirito e il sacrificio, contro una squadra più strutturata sotto il profilo del gioco. Per tentare di vincere non basta quello ma ci vuole una crescita anche dal punto di vista offensivo: sotto il profilo morale può aiutare ma c’è da migliorare in diverse situazioni e evitare gli errori fatti nelle gare passate, come le palle da fermo e le marcature in fase difensiva. C’è un bel lavoro da fare".

Alla Juventus basterà ritrovare tutti gli infortunati per giocarsi le sue carte per lo Scudetto?
"Dipende molto da come rientreranno. Pogba e Chiesa sono molto forti e Di Maria ha giocato a singhiozzo, ma sono tutti calciatori che possono aiutare a migliorare a vincere le partite".

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Come ha visto la Nazionale con tanti volti nuovi dopo le difficoltà della scorsa primavera: quanto pesa la seconda qualificazione mancata ai Mondali?
"Mancini sta provando a fare l’impossibile, cercando anche ragazzi in Serie B con delle prospettive. Prima era il contrario, perché bisognava dare le garanzie per poter vestire l’azzurro mentre ora appena c’è un lumicino il CT cerca subito di farlo crescere. Li convoca, li vuol conoscere e cerca di capire che impatto possono avere. Adesso c’è un ragazzo come Raspadori, che sta crescendo in maniera esponenziale, per come gioca oltre ai gol: può essere davvero un punto fermo di questa Nazionale".

Crede che ci sia davvero così tanta carenza di calciatori bravi in Italia o semplicemente non emergono perché non hanno lo spazio adeguato.
"Entrambe le cose. Di attaccanti non ce ne sono tanti, stiamo attraversando un periodo di magra, però ci sono dei ragazzi giovani e interessanti che non vedono molto il campo: se penso al centrocampo con cui il Barcellona si presentato a Milano con Pedri e Gavi che hanno una tranquillità ma allo stesso tempo la sfrontatezza nel giocare partite così, mi viene da pensare su quello che facciamo noi. Questo non arriva in maniera automatica, ma da tutto l’ambiente e la struttura. Anche noi ne avremmo ragazzi così ma bisogna dargli spazio".

Come considera questa guerra ideologica tra giochisti e risultatisti.
"Questo dibattito va avanti da quanto Sacchi è arrivato al Milan, e ha dato una direzione di un certo tipo alle sue squadre. Io credo che ci siano allenatori bravi a fare delle cose e alcuni a farne altre. Ci sono tecnici bravi a lavorare su gruppi già formati e poi ci sono allenatori didattici, che però non restano quasi mai nello stesso posto perché hanno una richiesta maggiore sotto tutti i profili e spesso logorano i loro calciatori. Quindi, creatori e gestori. Un esempio dei primi può essere Guardiola e dell’altro direi Ancelotti. Un conto è avere delle idee ma non è facile trasferirle, e non tutti ci riescono".

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