Alberto Paloschi: “Avevo paura nello spogliatoio del Milan. Ho visto calciatori guadagnare 1200 euro”
18 secondi per entrare nella storia. Questo il tempo che Alberto Paloschi ci ha messo, dal suo ingresso in campo, per segnare il suo primo gol in Serie A. Era il 10 febbraio del 2008 e il giovane attaccante nato a Chiari, in provincia di Brescia, era al Torneo di Viareggio con la squadra giovanile del Milan: Ancelotti era senza attaccanti di riserva e lo ha convocato per la gara col Siena a San Siro. Parte in panchina, il resto è storia.
Questo attaccante classe 1990, con un innato senso del gol, è stato subito bollato come ‘predestinato' e ha segnato più di 100 reti tra i professionisti: quest'anno è sceso per la prima volta in Serie D e veste la maglia del Desenzano, con cui si sta giocando i play-off per la promozione. Un lusso per la categoria.
Ha girato tanto Paloschi, da Parma a Genoa, dal Chievo all'Atalanta passando per la Spal, il Cagliari, il Siena e con un'esperienza in Premier League allo Swansea City: "Tutte le esperienze mi hanno lasciato qualcosa, sia a livello di vita che di calcio. Alcune sono andate meglio, altre meno. Ma è così che va la vita". La scorsa estate è rimasto svincolato dopo una stagione da 13 gol in Serie C col Siena: il club toscano non si è iscritto al campionato e da svincolato Paloschi ha scelto di ripartire con una nuova avventura sulle sponde del Garda.
A Fanpage.it Alberto Paloschi ha riavvolto il nastro della sua carriera, da quel gol che gli ha cambiato la vita col Milan fino alla sua attuale esperienza in Serie D col Desenzano.
Paloschi, come va la sua esperienza al Desenzano?
"Dopo il fallimento del Siena volevo un ambiente dove ci fosse una società seria, dove si potesse lavorare tranquillamente e vivere solo di calcio. C’è stata questa occasione di venirmi ad allenare con il Desenzano in attesa di trovare una squadra: il direttore mi ha permesso di lavorare e di prendere un po' di condizione. Dopo una settimana, vedendo l'ambiente e la serietà del presidente e tutti i componenti della società, ho deciso di sposare questo progetto".
È la prima volta che scende in Serie D dopo anni di pro: quali sono le differenze principali?
"I primi mesi è stato un po' difficile. Non arrivavano i risultati e io avevo iniziato un po' in ritardo ad allenarmi rispetto al resto del gruppo. Dopo aver smaltito qualche problema muscolare e con il cambio di mister abbiamo iniziato a fare risultati positivi. Nel girone di ritorno abbiamo fatto numeri importanti, che ci hanno permesso di arrivare fino alla penultima giornata a giocarci la promozione diretta. Mister Contini, da quando è subentrato, ci ha dato consapevolezza nei nostri mezzi e tramite lavoro quotidiano ci ha permesso anche di fare partite importanti e di migliorare fisicamente. Abbiamo fatto un filotto di risultati utili consecutivi e di prestazioni dove abbiamo meritato la vittoria senza mai rischiare quasi nulla. Adesso affrontiamo questi play-off consapevoli che abbiamo fatto una buona cavalcata nella seconda parte e che negli scontri diretti in campionato abbiamo fatto la nostra parte".
10 febbraio 2008: era al Viareggio, la chiamata di Ancelotti e il gol al Siena a San Siro. Il mondo che cambia in un attimo: a distanza di tempo che ricordi si porta di quegli istanti?
"Quel pomeriggio lì sembrava veramente il sogno perfetto, da cui speri di non svegliarti mai. Fino a poco tempo prima vedevo i grandi campioni che componevano il Milan allo stadio, l'anno prima mi era capitato di andare a vedere ogni loro partita di Champions in casa. Trovarmi lì l'anno dopo, giocare in Primavera e stare a contatto ogni giorno con loro, allenarmi e aver la fortuna anche di esordire, è stato veramente una cosa indescrivibile. Quell'anno lì mi ha insegnato molto perché vedevo grossi campioni da vicino, sono riuscito a capire che oltre alle qualità sportive sono lì anche perché hanno qualità umane: fanno capire ai più giovani che senza sacrificio non si può arrivare a vincere tanto e ad essere sempre sulla cresta dell'onda. Ti insegnano fin dal principio che senza lavoro non puoi ottenere niente".
Ha diviso lo spogliatoio con calciatori clamorosi e un allenatore che ancora oggi scrive la storia del calcio: ci racconta come si viveva nello spogliatoio di quel Milan di fenomeni?
"Avevo quasi paura ad entrare in quello spogliatoio perché entravi a contatto con giocatori immortali, che li vedevi fino a poco tempo prima in tv. Devo dire, però, che loro cercavano sempre di metterti a tuo agio soprattutto se non sbagliavi l’atteggiamento in allenamento: potevi sbagliare una palla o un passaggio ma non l'attitudine, la voglia di imparare, di recuperare la palla sbagliata. In quel caso non dicevano mai niente, anzi, ti incoraggiavano perché capivano che ce la stavi mettendo tutta".
Ancelotti sta per giocarsi l'ennesima finale di Champions: è davvero amico dei giocatori come tanti lo descrivono?
"È veramente incredibile. A livello sportivo non si può dire niente, perché i risultati sono sotto gli occhi di tutti, ma soprattutto a livello umano lui trasmette questi valori ad ogni persona del gruppo: io ricordo anche persone che giocavano meno ma che non hanno mai detto una parola sbagliata o avuto un comportamento fuori posto. È una cosa bella".
Da un allenatore italiano ad un altro. Ci racconta il suo anno con l'Atalanta di Gasperini?
"È stata un'annata personale difficile perché per un attaccante non far gol è dura. Per l'Atalanta fu un'annata importante, con la qualificazione in Europa e tanti giovani lanciati. È lì che è iniziato il progetto Gasperini. Secondo me il mister per quello che sta dimostrando, e per quello che faceva già all'epoca, è uno che insegna calcio nel vero senso della parola: tu arrivi la domenica che sai cosa fare, sai dove puoi mettere in difficoltà l'avversario e poi fisicamente stai bene perché vai ad aggredire a 2000 mila all'ora ogni avversario. Può esser l'ultima della classe in Serie A o la prima, giocano allo stesso modo: questa penso che è la forza anche di Gasperini perché dà consapevolezza ai suoi giocatori e loro credono in quello che lui dice.
Parma. Parentesi fondamentale per il suo percorso di crescita, che le ha permesso di vincere il "Premio Silvio Piola”. In cuor suo, però, non sperava sempre di tornare al Milan per dimostrare il suo valore?
"Certe volte ci sono dinamiche di mercato che non sono molto semplici, ma io della mia carriera non rimpiango niente perché ho sempre fatto il massimo ogni anno e ho sempre dato tutto me stesso. Al Parma era la prima esperienza lontana dal Milan, perché in rossonero avevo esordito e avevo fatto tutto il settore giovanile: andai lì in Serie B, dove feci un anno importante con 12 gol che aiutarono per raggiungere la promozione diretta. L’anno dopo ho avuto un infortunio al flessore che mi ha tenuto fuori un po' di tempo e non riuscii a ripetermi".
Con la maglia del Genoa ha segnato la sua prima doppietta in Serie A, se la ricorda?
"Certo, impossibile dimenticare quella partita. Dopo il primo tempo stavamo perdendo 3-0 contro la Roma: io entrai a 25 minuti dalla fine e feci il gol del 3-2 e del 4-3 sotto la curva del Genoa. In quel momento lì Marassi era una bolgia, è stata una partita indimenticabile anche quella".
Ha giocato in Premier League, lasciando anche lì il segno. Che periodo è stato quello allo Swansea?
"Sei mesi positivi con mister Guidolin. Sono stati molto intensi: dovevamo salvarci e poi siamo arrivati a metà classifica. Ho dei bellissimi ricordi".
C'è così tanta differenza tra il calcio inglese e il calcio italiano?
"No, si parla sempre di questa differenza ma alla fine le italiane sono arrivate in fondo in Europa e le inglesi no. Ci sono differenze sì perché sono due campionati molto diversi tra loro: il campionato italiano è più tattico, si spreca molto più tempo sui dettagli, invece quello inglese è molto improntato sull’intensità, sull’aggressività".
Chi è stato il partner d’attacco con cui si è trovato meglio?
"Ho giocato con tanti attaccanti molto forti, se ti devo dire uno con cui mi trovavo bene è Riccardo Meggiorini. Mi viene in mente l'assist di tacco che mi fece contro la Lazio o le cose che abbiamo fatto insieme negli anni importanti al Chievo. Era uno che sotto porta non faceva tanti gol, ma lavorava molto per la squadra e metteva in condizione l'altro compagno di reparto di fare bene e segnare. Correva molto, ti metteva la palla giusta, capiva le tue caratteristiche e con i movimenti che faceva ti serviva sempre, Aveva quasi più voglia di farti l'assist che di fare gol. Se devo dirne uno, dico lui".
A Siena avete vissuto una situazione tragica e alla fine è arrivato il terzo fallimento in nove anni: cosa vuole dire vivere una situazione del genere?
"È brutto per un calciatore arrivare al campo e parlare di altro. A me piace parlare di calcio, della squadra… eravamo un bel gruppo, ma gli ultimi mesi a Siena si arrivava al campo e non si parlava di calcio per i problemi che c'erano. Arrivavi lì, c’era un'aria pesante e non era per nulla facile lavorare così. Ecco perché ho scelto Desenzano, perché volevo ritornare a parlare solo di calcio una volta arrivato al campo e non pensare ad altro. Questo è quello che ho fatto da quando ho iniziato a giocare e mi piace fare così ancora oggi. Sinceramente lì avevamo un bel gruppo, che alla fine sul campo ci era guadagnato i playoff e meritavamo di giocarli".
Questo cozza con l'idea che i calciatori siano solo dei privilegiati e pieni di soldi…
"Spesso si parla senza sapere in che modo scendono in campo i giocatori e quanto guadagnano. Ci sono ragazzi che guadagnano veramente 1200-1400 euro al mese e non a pagare neanche l'affitto per stare lì a giocare. Non è che tutti guadagnano grosse somme, e lì diventa un bel guaio. Spero che con la nuova proprietà il Siena ritrovi stabilità e faccia cose importanti, perché negli ultimi dieci anni i tifosi hanno già vissuto momenti come l'anno scorso e mi auguro possano ritornare in categorie importanti".
Quali sono gli attaccanti che le piacciono in Serie A?
"Uno degli attaccanti più completi penso sia Lautaro. Se ti devo fare un nome, io ti dico sempre Immobile perché fa proprio i movimenti d'attaccante vero. Magari ora si prende le critiche e si parla di annata fallimentare, ma ha fatto 12 gol, questo perché ci ha abituato ai 30-35 a stagione. I numeri che ha avuto negli ultimi anni sono numeri che non esistono, sono cifre da grandissimo attaccante".
Ha giocato in tutte le Nazionali dalla U17 alla U21, con annesso stage nella Nazionale A: si parla sempre di un problema di attaccanti nel movimento calcistico italiano.
"Ma il calcio è una cosa generazionale, magari questo è un periodo in cui non è così facile esplodere per un attaccante italiano e per questo siamo in difficoltà. Spalletti farà le scelte migliori e penso che il collettivo risalterà anche gli attaccanti, come accaduto negli ultimi Europei".
Però come ci spieghiamo il fatto che tanti ragazzi fanno benissimo nelle giovanili e al momento del salto si ferma il percorso?
"È complicato. Spesso non si ha la pazienza di aspettare un giovane e si preferisce andare a prendere un giocatore straniero perché magari è più pronto. Si vuole tutto e subito. È più difficile aspettare un giovane e farlo crescere che prendere un giocatore già fatto e finito. Bisognerebbe avere un po' più pazienza e dare più fiducia ai giocatori che si hanno in casa, nelle giovanili, per ritornare ad essere competitivi a tutti i livelli. Io penso che i giovani alla fine ci sono, come ci sono sempre stati, quindi è una questione di aspettarli e riuscire ad avere pazienza".