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Acerbi: “Se sentiamo tutto diventano condannabili gli insulti ai serbi”. Ma per regolamento lo sono già

Nell’intervista al Corriere della Sera c’è un passaggio che alimenta ancora grandi perplessità intorno al calciatore dell’Inter: è la risposta al riferimento sul campo che anche nella lotta al razzismo non dovrebbe essere zona franca.
A cura di Maurizio De Santis
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Francesco Acerbi adesso si sente libero. L'assoluzione dall'accusa di razzismo decretata dal giudice sportivo per la denuncia di Juan Jesus gli ha evitato una squalifica che sarebbe stata esiziale per la sua carriera, la sua immagine e quella dell'Inter. Adesso potrà tornare a giocare anche in Nazionale, dalla quale era stato escluso in attesa fosse formulata la sentenza.

Non c'erano prove sufficienti (né testimonianze né video) per confermare la deposizione del calciatore del Napoli: erano le sue affermazioni contro quelle dell'avversario interista che di rimando s'era difeso sostenendo la tesi dell'equivoco e dell'errata interpretazione.

Il brasiliano ha capito male, è la versione brandita a spada tratta e che, in assenza di materiale probatorio certo, hanno agevolato il "confortevole convincimento" che anche le scuse fatte subito in campo fossero compatibili con l'espressione minacciosa ("ti faccio nero" e non "vai via nero, sei solo un negro") confessata da Acerbi.

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Caso chiuso (almeno al punto di vista legale) ma la vicenda insegna come le parole (che non sono gusci vuoti) se usate male possono far danni oltre che generare spiacevoli malintesi e rappresentare un boomerang. Nell'intervista al Corriere della Sera ce ne sono alcune che alimentano (ancora) grande perplessità intorno al giocatore. E questa volta non sono state sussurrate in uno stadio che rimbomba per il tifo, né c'è brusio che ne disturba la percezione, ma scritte su carta. Non dovrebbe esserci rischio di fraintendere.

Acerbi risponde così al riferimento sul campo che anche nella lotta al razzismo non dovrebbe essere zona franca: "Non dovrebbe esserlo, ma si sente un po’ di tutto, anche se ci sono quaranta telecamere. Se l’arbitro dovesse scrivere con carta e penna tutto quello che sente, dovrebbe correre con lo zaino. Però finisce sempre lì, altrimenti diventa tutto condannabile, anche gli insulti ai serbi, agli italiani, alle madri".

Poco prima Acerbi aveva definito il razzismo una cosa seria e non roba da presunto insulto. Ecco perché nella scala degli esempi espressi, menzionati e messi in fila, vien da chiedergli anzitutto quanto li consideri gravi (visto che addirittura li accomuna a mo' di citazione) e soprattutto se ha contezza del fatto che l'espressione "altrimenti diventa tutto condannabile", come giustificazione al fatto che tutto dovrebbe restare entro i confini del campo, altro non fa che negare proprio il senso della riflessione sottopostagli.

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E lo espone di nuovo al rischio, qualora qualcuno lo denunciasse (sostenuto da prove tangibili e intellegibili certe), di ritrovarsi dinanzi al Procuratore federale con la possibilità di vedersi punito per effetto di quello stesso articolo 28 del Codice di Giustizia Sportiva al quale è scampato. E forse è il caso che Acerbi dia una ripassata al testo oppure che qualcuno gli ricordi/spieghi che:

"Costituisce comportamento discriminatorio ogni condotta che, direttamente o indirettamente, comporta offesa, denigrazione o insulto per motivi di razza, colore, religione, lingua, sesso, nazionalità, origine anche etnica, condizione personale o sociale ovvero configura propaganda ideologica vietata dalla legge o comunque inneggiante a comportamenti discriminatori".

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