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Tra Boston Celtics e Golden State Warriors è scontro generazionale: stanotte partono le NBA Finals

Da questa notte, alle ore 3:00, prendono il via le NBA Finals. Una sfida, quella tra le squadre allenate da Ime Udoka e Steve Kerr, che mette in palio presente e futuro della lega.
A cura di Luca Mazzella
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Da stanotte si fa sul serio. Alle ore 3.00 (diretta su Sky Sport Uno, Sky Sport NBA e NowTv), al Chase Center di San Francisco, si alzerà la prima palla due delle NBA Finals 2022 tra Boston Celtics e Golden State Warriors, campioni di Eastern e Western Conference dopo aver battuto rispettivamente i Miami Heat di Jimmy Butler e i Dallas Mavericks di Luka Doncic. Una sfida che racchiude al suo interno una serie di storie e di confronti che promettono di rendere memorabile la serie.

Passato, presente e futuro che si incrociano

La copertina del match, come prevedibile, è tra i due simboli delle squadre, Steph Curry e Jayson Tatum, vincitori tra l'altro del premio di MVP delle rispettive finali di Conference. Due fenomeni in due momenti diverse delle carriere e sui quali il giudizio in caso di sconfitta potrebbe essere radicalmente diverso. Se da un lato abbiamo infatti degli esordienti assoluti nei Boston Celtics (0 gare di Finals giocate da tutti i componenti del roster), il gruppo di Steve Kerr può ormai dirsi abituato a certi livelli dal momento che parliamo delle seste Finals su otto stagioni della sua gestione. Non sorprendono quindi le 123 gare complessive giocate alle Finals dal gruppo Warriors, abituato alle pressioni e non a disagio nelle vesti di favoriti nominali della serie. È anche per questo che se da un lato il 24enne Jayson Tatum può, al primo tentativo, vedere il suo nome inserito in una lista di assolute leggende per precocità in caso di successo, la legacy di Steph Curry non potrà che accrescere ulteriormente se per il figlio di Akron dovesse arrivare il quarto anello dopo quelli vinti nel 2015, 2017 e 2018. Una "finestra" che si allungherebbe a 7 anni, praticamente un ponte tra passato e presente con un occhio al futuro che più di ogni altro argomento consentirebbe di definire dinasty l'epopea di Golden State. Di contro, il nuovo che avanza, con una squadra che al netto del veterano Al Horford si affaccia alle Finals nel fiore proprio alle porte del suo prime e con tutti i migliori giocatori ancora giovanissimi nonostante le tante serie di Playoffs giocate sin dagli albori di questo roster. Per dei Warriors che vogliono allungare la loro timeline iniziata nel 2015, dei Celtics pronti a iniziare il proprio ciclo.

Mentalità simili, difese al top

104.9 è un numero chiave, comune a entrambe le squadre. Rappresenta infatti il defensive rating del 2021/22 di Golden State e Boston, il migliore di tutta l'NBA. Fedelissime quindi al motto dell'attacco che vende i biglietti e della difesa che vince le partite, non sorprende che tutti gli ostacoli incontrati finora nei Playoffs, con Nikola Jokic, Ja Morant e Luka Doncic sulla strada dei Warriors e Kevin Durant, Giannis Antetokounmpo e Jimmy Butler, siano stati superati da due roster ricchi di specialisti difensivi, con meccanismi e rotazioni collaudati e elementi come Marcus Smart, Robert Williams, Draymond Green, Derrick White o Gary Payton II – solo per citare i più famosi – in grado di incidere pesantemente sugli attacchi avversari sia a livello perimetrale che a difesa del ferro. Di solito un eccellente attacco batte un'ottima difesa: incuriosisce vedere quanto e come le due squadre saranno in grado di annullarsi a vicenda.

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La mano dei due allenatori

Sebbene si parli di un coach che ormai si può definire veterano della lega a confronto con un assoluto esordiente come avversario, sia Steve Kerr che Ime Udoka hanno dato un'impronta al gioco delle due squadre ben evidente su entrambe le metà campo. Il gioco offensivo Warriors, fatto di continui movimenti, passaggi e tagli a sfruttare da un lato la gravity (la capacità di condizionare con la propria presenza in campo la difesa, tutta "collassata" dal lato del giocatore più pericoloso) di elementi come Curry e Poole dall'altra le abilità di passatori di tutto lo starting five, è ormai il tratto distintivo della squadra allenata dall'ex giocatore dei Bulls che ha recentemente ritrovato in Klay Thompson l'ingranaggio mancante e in grado di elevare in maniera definitiva la funzionalità del quintetto di Golden State. Dall'altra parte, la vera rivoluzione avviata da Udoka, che come Kerr ha un passato da assistente di Gregg Popovich in quel di San Antonio, sta dando i suoi frutti in un attacco che – al netto di blackout ancora presenti ma con mino frequenza – ha imparato a giocare insieme, a far stagnare meno la palla nelle mani delle sue star, a coinvolgere maggiormente i giocatori sugli scarichi. Il limite storico di una Boston che pochi mesi fa si interrogava sulla compatibilità tecnica tra Jayson Tatum e Jaylen Brown sembra infatti superato, ed è solo sulla scarsa lucidità nella gestione dei possessi finali in cui alcune cattive abitudini non sono ancora del tutto state superate, che deve soffermarsi il già finora incredibile lavoro del coach subentrato a Brad Stevens, che dall'altra parte ha invece creato un sistema difensivo fatto di protezione del ferro e cambi sistematici che ha cementato i Celtics successo dopo successo.

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Il mix di esperienza e giovani

Se da un lato i lunghi Al Horford e Draymond Green fungono da chioccia dei due roster, è innegabile notare come l'ossatura dei Warriors abbia un chilometraggio decisamente più alto di quella Celtics. Jayson Tatum, Grant Williams e Payton Pritchard (1998), Robert Williams (1997), Jaylen Brown (1996) hanno tutti meno di 25 anni. Steph Curry (1988), Draymond Green e Klay Thompson (1990) sono invece i pilastri di una Golden State che ha però saputo costruirsi in casa e tramite il draft un esercito di giovanissimi che nell'ombra sono diventati, partita dopo partita, sempre più importanti per le gerarchie di Kerr, con Jordan Poole (1999) e la coppia di rookie composta da Jonathan Kuminga e Moses Moody (entrambi 2002) già pienamente entrata nelle rotazioni dei 3 volte campioni NBA. È anche sulla loro freschezza che l'allenatore conterà per sfruttare il maggior riposo dei suoi rispetto a una Boston reduce da due serie consecutive arrivate a gara 7, che inevitabilmente si faranno sentire sulle gambe di Tatum e compagni.

Risorgere dopo una stagione fallimentare

C'è un altro elemento che accomuna e di molto le due pretendenti al titolo: l'aver fallito appena un anno fa, finendo nel vortice delle polemiche per una squadra ritenuta a fine corsa – i Golden State Warriors – e un'altra  – i Celtics – per la quale la pazienza di dirigenza e tifosi sembrava ormai agli sgoccioli. Da un lato la squadra della Baia, reduce da un 2020-21 chiuso con un record poco sopra il 50% di record e con la doppia sconfitta contro Lakers e Grizzlies al torneo play-in, troppo avanti nell'età nei suoi leader e troppo acerba nei suoi giovani per prevederne una risalita a stretto giro, e con il futuro troppo incerto di Klay Thompson a complicare ulteriormente ogni previsione. Dall'altra, i Boston Celtics che venivano eliminati al primo turno contro i Nets per 4-1 arrivando a licenziare Brad Stevens per riporre tutto nelle mani di un allenatore esordiente, partito a rilento e subito nell'occhio del ciclone. Nel giro di 12 mesi, tuttavia, entrambe le squadre sono riuscite a risalire letteralmente dall'inferno arrivando al penultimo gradino prima dell'anello NBA. Evitiamo, nelle prossime due settimane, di far dipendere il giudizio sul loro 2021-22 dall'eventuale vittoria o sconfitta: Boston e Golden State, per dove sono arrivate e per il come lo hanno fatto, meritano solo applausi. Buone Finals a tutti.

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