Steve Nash e i 10.000 assist dell’uomo che ha cambiato per sempre il basket NBA
Ci sono atleti che vogliono dominare, altri che voglio essenzialmente vincere (detta così, sembra che vincere sia facile), altri che vogliono collaborare e assistere il grande campione, altri ancora che vogliono in qualsiasi modo mantenere un senso estetico che quasi li avvicina all’azione artistica. E poi c’è chi vuole cambiare il proprio sport, come ha sempre cercato di fare Steve Nash.
Oggi di lui ricordiamo il giorno dell’accesso nell’empireo, nel luogo molto piccolo in cui si sta davvero in pochi. L’8 gennaio 2013, nella partita contro gli Houston Rockets degli allora suoi Los Angeles Lakers, supera i 10.000 assist in NBA. Potrebbe essere un numero come un altro se paragonato a quello che fanno ogni sera i vari Lebron James, Stephen Curry e tanti altri. Ma a superare la soglia paradisiaca dei 10000 assist sono stati in questo momento nella storia NBA solo in cinque. Uno è il canadese e gli altri sono John Stockton, Jason Kidd, Mark Jackson e Magic Johnson, tutti campioni assoluti che hanno messo un marchio sulle loro squadre e la loro NBA.
Questo marchio lo ha stampato anche Steve Nash, il quale dopo gli inizi e le prime avvisaglie di grandezza a Phoenix, passa ai Dallas Mavericks del primo Cuban, del tedescone delle meraviglie, Dirk Novitzki e di Don Nelson. A Dallas letteralmente sboccia, diventa un All-Star, avvicina la doppia doppia di media tra punti e assist ed entra a far parte dei “big three” di Dallas proprio con Novitzki e Micheal Finley.
Arriva il 2004 e Cuban fa una scelta: va all-in su Novitzki e non pareggia l’offerta dei Phoenix Suns che rivogliono di nuovo Steve Nash. Il canadese torna a casa e trova un nuovo allenatore, Mike D'Antoni, che per lui, insieme a lui e grazie a lui cambia il gioco. L’allenatore e il suo cervello in campo aggrediscono il parquet secondo principi ancora più estremizzati del “run and gun”, nasce il gioco “Seven seconds or less” in cui a dominare è il ritmo, le spaziature ancora non coperte dai difensori avversari e il tiro dalla distanza.
Steve Nash in questo gioco fatto per lui e con lui vince due volte l’MVP nelle stagioni 2004-2005 e 2005-2006 e diventa uno degli 8 cestisti a far parte del Club dei 50-40-90, ovvero coloro che in una o più stagioni hanno tirato con il 50% dal campo, il 40% da tre e il 90% ai tiri liberi. Cerca anche di vincere, ma per colpa dei San Antonio Spurs, a quel tempo dominanti con Popovich in panchina e Tim Duncan sotto i ferri, i Los Angeles Lakers di Kobe, tanta sfortuna e spesso poca assistenza da parte della squadra, quei Phoenix Suns non hanno mai raggiunto le Finals.
Ma all’inizio parlavamo di giocatori che vogliono cambiare il gioco, non di vincenti e basta. E allora basta andare a vedere chi fa parte del club citato dei “50-40-90” per capire da dove viene Nash e dove ha portato il basket.
Insieme al canadese ci sono Larry Bird e Mark Price, entrambi bianchi e non eccessivamente fisicati, proprio come il nostro Steve, Reggie Miller, Dirk Novitzki, che gioca nello stesso periodo di Nash ed entrambi si sono influenzati sotto molto punti di vista e poi Kevin Durant, Stephen Curry e Malcolm Brogdon, tutti atleti che hanno preso a piene mani da Nash, così come a piene mani la squadra che ha fatto epoca nel nuovo millennio, i Golden State Warriors, ha preso, seguendo e migliorando alcuni concetti dei Phoenix Suns di Nash e D’Antoni.
Ecco cosa vuol dire cambiare il proprio sport. Diventare l’esempio per chi, dopo di te, sarà ancora meglio di te. Quello che ha fatto con il suo esempio Steve Nash.