Steph is back! Curry ai livelli del 2015-16 (da MVP)
Il titolo è volutamente provocatorio, ma nemmeno tanto. Si, perché la stagione 2020/21 di Wardell Stephen Curry rischia davvero di essere un'altra annata memorabile e paradossalmente ancora più da ricordare viste le difficoltà di Golden State. Steph sta viaggiando a numeri visti solo nell'anno 2015/16, quello in cui chiuse da MVP all'unanimità, il primo nella storia a mettere d'accordo tutti. Una serie di fattori contribuiscono però a inquadrare ulteriormente la straordinarietà di quello che il figlio di Dell sta combinando stavolta.
Il primo: Golden State sta giocando senza Klay Thompson, in una stagione iniziata con proclami da titolo e subito compromessa dopo l'infortunio dell'altro Splash Brother, per il quale si prevede un rientro solo nel 2021/22. Meno bocche da fuoco, maggiore intensità difensiva nei suoi confronti, squadre avversarie che di fatto preparano interamente le partite per arginarlo. E in questo, il rientro Draymond Green in campo è riuscito, quantomeno, ad alleggerire questa pressione e a ritrovare un compagno di quelli con cui Steph si intende al buio, utilissimo non solo a coprirne le spalle in difesa, ma anche a servirlo coi tempi giusti, liberarlo con granitici blocchi o metterlo in ritmo con i suoi soliti hand-off consegnati alla velocità della luce.
Il secondo: Steph Curry rientrava quest'anno da una stagione passata interamente ai box dopo la frattura alla mano sinistra arrivata appena alla quinta partita della R.S. 2019/20. Nessuno poteva ipotizzare che fosse da subito così pronto a imporsi.
I numeri di Steph
Passiamo alle cifre: quest'anno Curry sta viaggiando a 27.7 punti di media (sesta in NBA e seconda migliore media in carriera), è primo in assoluto per punti totali (554), ha all'attivo la miglior prestazione della stagione coi 62 punti contro i Portland Trail Blazers, suo career high. Come se non bastasse, è arrivato anche il sorpasso ai danni di Reggie Miller al secondo posto della classifica dei migliori tiratori da tre nella storia NBA, nella partita poi persa contro Utah. Inoltre, Steph ha ritrovato quella continuità fisica fondamentale per il suo basket – basti ricordare i primi anni di carriera coi frequenti infortuni alle caviglie a rallentarne l'esplosione – e sta dimostrando di avere una pazienza enorme e una marcata leadership anche nella gestione del resto del gruppo, su tutti i rookie, tra i quali il nostro Nico Mannion.
Può bastare per l'MVP?
Arriviamo alla fatidica domanda: possono bastare questi numeri per inserire Steph nella lotta per il Most Valuable Player 2020/21? Da un lato la risposta immediata sarebbe ovviamente positiva: Curry sta trascinando praticamente da solo una squadra che diversamente navigherebbe nei bassifondi della classifica ad Ovest e questo per molti sarebbe anche sufficiente nell'accezione che l'NBA dà al premio al concetto di Most Valuable Player. Chi invece non include Steph tra i candidati guarda il record di squadra, ad oggi l'ottavo della Western Conference, che varrebbe "solo" il torneo play-in per raggiungere l'ottavo posto ai Playoffs e che nella storia, salvo rarissime eccezioni, non è mai stato accompagnato dalla statuetta. L'NBA ha sempre guardato con attenzione al record di squadra, prima di prendere in rassegna i numeri dei singoli giocatori.
Più probabile, MVP o meno, che l'annata 2020/21 servirà a restituire definitivamente a Steph Curry quella fiducia persa guardando la scorsa stagione interamente da caso e a gettare le migliori basi per un 2021/22 che, col rientro di Klay, la conferma di Draymond Green e soprattutto un anno in più di esperienza NBA per il fenomenale rookie James Wiseman, promette di restituirci un'edizione dei Warriors finalmente da anello, di nuovo.
Nell'attesa che questo avvenga possiamo comunque dirlo: Steph is back.