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Steph Curry da solo non basta, i Celtics vincono 116-100 e sono avanti 2-1

La squadra di Ime Udoka gioca una partita matura e fisica e riesce a reagire anche al solito uragano di nome Steph del terzo quarto. I Celtics sono a 2 vittorie dall’anello.
A cura di Luca Mazzella
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Era già successo in 6 occasioni in questi Playoffs: sconfitta, anche rumorosa, seguita sempre da una vittoria. Aggiungiamoci quella di stanotte e lo score sale a 7/7, ma soprattutto ci permette di trarre una conclusione: questi Boston Celtics non muoiono mai e anche dopo la peggiore delle sconfitte trovano sempre e comunque motivazioni e cattiveria per rialzarsi nel giro di poche ore. É andata esattamente così in gara 3, vinta 116-100, condotta per gran parte del match in doppia cifra di vantaggio, e riaccesa solo nel solito terzo quarto di Golden State che, come spesso accade, è entrata in campo dopo il riposo lungo a velocità doppia rispetto ai suoi avversari (il differenziale del solo terzo periodo ad oggi dice 106-63 Warriors), trascinata da uno Steph Curry in formato MVP e ancora una volta eroe nella rimonta dei suoi, salvo capitolare di pura stanchezza negli ultimissimi minuti dopo una sfuriata nel terzo quarto da antologia che era valsa addirittura il vantaggio Golden State.

Pur coadiuvato alla grande da un commovente Klay Thompson (25 punti e 5 triple a segno) il nativo di Akron però ha dovuto arrendersi a una Boston che risponde al one-man-show targato numero 30 con più uomini in copertina dopo una straordinaria prova di squadra in cui spiccano certamente i 3 ventelli di Tatum-Brown-Smart (primo terzetto dal 1984 a chiudere una partita di Finals con almeno 20 punti, 5 rimbalzi e 5 assist) ma dove è stata la fisicità il vero fattore decisivo ai fini della vittoria. Con ben 47 rimbalzi catturati (15 offensivi) contro i 31 della squadra di Steve Kerr infatti, Boston ha dominato in lungo e in largo nel pitturato, guidata da una prova sontuosa di Robert Williams, migliore dei suoi con +21 di plus/minus e una prestazione totale da 8 punti, 10 rimbalzi, 3 palle recuperate e 4 stoppate, e dal solito supporto a tutto tondo di un Al Horford che pur lontano dalla sua miglior vena realizzativa, ammirata in gara 1, è riuscito a incidere in più modi ai fini del risultato finale.

E se a questo si aggiungono gli appena 16 minuti concessi da Kerr a Kevon Looney – a favore di un quintetto più piccolo e veloce ma devastato dalla potenza dei lunghi Celtics – e la prova anonima, un'altra, di quel Draymond Green ad oggi a quota 5/19 dal campo e 15 falli commessi in 3 partite, si intuisce come il gap tra le due squadre sia stato davvero troppo ampio. Al resto hanno pensato la prova matura di Tatum, abile a intuire quando attaccare il ferro e quando scaricare la palla prima del raddoppio per i tiratori sul perimetro, Smart su tutti, e la solita partita di autentica leadership silente di Jaylen Brown, che parte a razzo nel primo periodo e poi si spegne in termini di realizzazione, salvo giocare sulle due metà campo una partita di rara maturità.

Maturità è proprio la parola chiave per una squadra che, dopo ogni ostacolo, ha sempre saputo reagire. E che dal famoso mese di gennaio con il record al di sotto del 50% e le voci di rivoluzione a rincorrersi di continuo, oggi offre l'ennesima conferma di quanto sia pronta a giocarsi fino all'ultima delle sue carte per arrivare all'anello NBA. La serie è ancora lunga, ma i Celtics sembrano davvero pronti al salto finale.

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