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No NBA, il torneo play-in così non ha davvero senso. La formula è da rivedere

Introdotto per evitare che squadre troppo lontane dalle posizioni post-season potessero “mollare” anzitempo falsando la stagione, il torneo play-in presenta qualche criticità di troppo.
A cura di Luca Mazzella
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Che l'NBA, storicamente ma soprattutto negli ultimi anni, si sia sempre dimostrata una lega capace di aprirsi alle innovazioni correggendo strada facendo eventuali criticità o elementi in grado di compromettere o in qualche modo limitare l'appetibilità agli occhi del pubblico della competizione, è ormai un dato di fatto. I cambi di regolamento, in un trend che ha favorito negli anni una sempre maggior spettacolarità delle partite, hanno da sempre ricevuto una prima riluttante reazione da parte dei fan di tutto il mondo, salvo essere poi metabolizzati ed apprezzati fino a giungere all'assetto attuale.

Nella logica di continua emulazione, almeno nelle intenzioni, di ciò che rende la National Basketball Association un campionato modello, non ultima usata come riferimento nei discorsi circa la necessità di introdurre (per l'ennesima volta) un salary cap o di organizzare le superpotenze del calcio europeo in una "Superlega" che prenda esattamente spunto dai professionisti americani, capita talvolta che sia però l'NBA stessa a fare proprio qualche meccanismo tipico dei campionati del vecchio Continente per migliorare in aspetti che nelle ultime stagioni possono aver evidenziato qualche preoccupante falla.

Preservare la competitività su 82 gare

Uno dei problemi di cui si dibatte più spesso, su una stagione di 82 partite molte delle quali finiscono logicamente per non essere giocato al massimo livello agonistico possibile (il prezzo da pagare per commercializzare un prodotto è anche questo, d'altronde) riguarda la ricerca di una costante competitività infra-stagionale e i tentativi di non vivere più annate a correnti alterne, con primi mesi e ultimi mesi caratterizzati da scempi che anziché avvicinare finiscono col dissuadere i tifosi dal seguire una poco competitiva regular season. Il torneo di metà stagione, in stile Coppa Italia, è d'altronde uno dei tanti esempi di come l'NBA stia pensando di mutuare un rituale tipico dei nostri campionati per offrire un premio anche a chi, senza l'obiettivo di disputare i Playoffs a fine anno, può trovare motivazioni per portare a casa un trofeo al giro di boa di stagione. Ma non è l'unico.

Dalla bolla di Orlando in poi, date le circostanze totalmente emergenziali dettate dalla pandemia, Adam Silver annunciò l'introduzione di un torneo play-in che mettesse in palio l'ultima posizione della post-season tra ottava e nona classificata laddove però quest'ultima finisse la stagione regolare a meno di 4 partite di distanza dalla squadra meglio piazzata, il tutto in una mini-serie di 3 sfide (che in quel caso si giocò solo nella Western Conference tra Memphis Grizzlies e Portland Trail Blazers, con i secondi a trionfare disputando quindi i Playoffs).

Dopo gli ottimi riscontri per la novità introdotta, sebbene già allora critica in alcuni suoi aspetti (i Phoenix Suns vinsero 8 partite su 8 non riuscendo comunque ad agganciare nona o ottava piazza: che senso ebbe portarli a Orlando dal momento che alcune squadre non furono nemmeno invitate per la classifica pre-pandemica?) anche nel 2020-21 la lega optò per riproporre il formato dei play-in estendendolo addirittura a nona e decima classificata, per dare a squadre non abbastanza scarse da puntare alla lottery ma non sufficientemente attrezzate per la qualificazione immediata alla post-season, la chance di giocarsi fino alla fine un prestigioso piazzamento Playoffs. Celtics, Wizards, Pacers e Hornets da un lato e Lakers, Warriors, Grizzlies e Spurs dall'altra si diedero quindi battaglia per settimo e ottavo seed.

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Il play-in versione 2021-22

Ai nastri di partenza del 2021-22, con la stagione tornata finalmente a 82 partite senza ulteriori riduzioni legate alla pandemia, l'NBA ha quindi annunciato nuovamente la presenza del torneo playin tra settima, ottava, nona e decima classificata. Il rendere più dinamico il limbo esistente tra ottavo posto e undicesimo/dodicesimo di ogni Conference con squadre totalmente demotivate e già in vacanza da marzo sembrava la giustificazione più sensata per riproporre gli spareggi. Ma nello strutturare la fase di scontri diretti di fine anno alla lega più evoluta del mondo è mancato il passaggio che aveva invece reso la prima edizione del play-in, ad Orlando, poco contestabile. In quel contesto infatti essendoci più di 4 partite di margine tra gli Orlando Magic ottavi e gli Charlotte Hornets noni, ad Est non si disputò alcuno spareggio a differenza della Western Conference dove il record praticamente uguale (34-39 contro 35-39) di Grizzlies e Blazers rese oltremodo giusto giocarsi faccia a faccia la post-season.

E mentre lo scorso anno il gap tra le partecipanti ha riproposto come opportuna la possibilità di uno spareggio sebbene allargato a quattro squadre oggi, tuttavia, la Western Conference (dove la criticità è più evidente dato che a Est tra Cleveland Cavaliers settimi e i Brooklyn Nets decimi ballano appena 3 vittorie di differenza) vede la squadra al settimo posto e quindi obbligata a disputare il play-in, i Minnesota Timberwolves, distante 2 partite dal quinto posto (qualificazione diretta) dei Denver Nuggets e con un margine di 11.5 gare dal decimo posto dei San Antonio Spurs, con il rischio che "indovinando" due partite secche, la squadra di Popovich possa quindi disputare i Playoffs a scapito di una squadra che perdendo la prima sfida (settima contro ottava, quindi contro i Los Angeles Clippers) e la seconda (contro la vincente della sfida tra nona e decima classificata), chiuderebbe anzitempo una stagione da 45 o più vittorie vedendo entrare invece nel tabellone una squadra da 35.

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Il tutto, potendo ancora ambire alla quinta piazza a 3/4 partite da fine anno ma col rischio di perdere in due partite ad eliminazione diretta (che resta qualcosa di estremamente avvincente e di unico in un sistema che contempla serie al meglio delle 7 partite prima di decretare i vincitori) un anno intero. Escludendo almeno per ora i fallimentari Lakers che cadendo stanotte contro i Phoenix Suns e in caso di successo di San Antonio contro i Denver Nuggets saluteranno anzitempo il loro 2021-22, ha quindi senso che un'annata da poco più di 30 vittorie possa riscattarsi in 96 minuti e nello stesso lasso di tempo, perdendo sia il primo scontro tra settima e ottava che il secondo, un team che ha a lungo stazionato immediatamente a ridosso delle prime 3/4 posizioni della Conference possa perdere i Playoffs? Siamo sicuri che al Commissioner Adam Silver quest'ennesima crepa del sistema non sia sfuggita. E sperando di non assistere a clamorose ingiustizie nelle prossime settimane, siamo certi che dal prossimo anno il torneo play-in, la cui ratio resta assolutamente sensata e condivisibile, torni ad essere più "giusto" rispetto a quello attuale.

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