Nikola Jokic, una stagione da MVP (ma in totale solitudine)
Diciamoci la verità: quando lo scorso anno i Denver Nuggets sono riusciti a issarsi per due volte dall'1-3 prima contro i Jazz e poi contro i Clippers, per poi capitolare davanti ai Lakers futuri campioni NBA di LeBron e Anthony Davis, in tanti avevamo pensato che la franchigia del Colorado avesse raggiunto il suo punto più alto. E che, con lei, Nikola Jokic fosse arrivato ai suoi livelli massimi e non ulteriormente ritoccabili verso l'alto.
La sua cattiva predisposizione al lavoro sul fisico, una metà campo difensiva totalmente trascurata e i troppi blackout nel corso della partita bastavano per ipotizzare una battuta d'arresto nella crescita del lungo serbo, messo di fronte alle sue irreversibili lacune. Ma così non è stato, anzi i Playoffs hanno definitivamente sbloccato questo ragazzo che oggi, complice una post-season praticamente accorpata alla pre-season e la mancanza fisica di tempo per trascurare il corpo come suo solito, si è presentato ai nastri di partenza della stagione 2020/21 al top. E da allora, non si è più voltato indietro.
MVP Season
Oggi, non fosse per un record di squadra di Denver (ottava con 15 vittorie e 13 sconfitte) nettamente al di sotto delle aspettative, il nome di Nikola Jokic sarebbe il primo della lista per vincere il premio di MVP della regular season. Il serbo ha visto aumentare in modo esponenziale tutte le sue statistiche individuali, passando a 27.4 punti dopo i 19.9 dello scorso anno, e a 11.1 rimbalzi e 8.6 assist (venendo rispettivamente da 9.7 e 7.0 di media). Non solo: Jokic ha visto aumentare finora anche le stoppate, le palle recuperate, la percentuale dal campo, da tre e dalla lunetta.
In poche parole, ha scalato l'ultimo gradino per entrare definitivamente nel ristretto lotto dei migliori giocatori della lega e sul podio dei migliori lunghi, assieme a Anthony Davis e Joel Embiid. La candidatura di Jokic è stata rafforzata da alcune prestazioni storiche: 50 punti (con 23 nel solo ultimo quarto) più 12 assist contro i Kings, 47 ai Jazz contro il miglior lungo difensivo della lega Rudy Gobert, 43 contro i Celtics due sere fa, 29 con 22 rimbalzi contro i Suns, 6 triple-doppie, 25 doppie-doppie e sopra quota 20 punti in 22 partite su 28.
Dov'è il supporting cast?
Con un giocatore del genere a disposizione, vedere il record appena positivo di Denver solleva più di qualche interrogativo sulla competitività della squadra di Malone. Che proprio dopo la sconfitta contro Boston ha evidenziato la totale assenza di supporto al lungo da parte dei compagni: "Stiamo giocando in back-to-back e ogni sera Nikola scende in campo e prende letteralmente la squadra sulle spalle. Serve che altri lo aiutino e facciano un passo in avanti".
Il messaggio nemmeno troppo celato non può che essere rivolto alle due delusioni di inizio stagione, quel Jamal Murray uscito dalla bolla di Orlando con ambizioni da superstar per ora non rispettate (contro Boston ha chiuso con 21 punti e 9 palle perse, stanotte nella sconfitta contro Washington ha mostrato una netta inversione di tendenza con 35 punti e soprattutto prendendosi 25 tiri dal campo), e il giovanissimo Michael Porter-Junior, sulla cui crescita la franchigia si è trovata improvvisamente a scommettere dopo l'addio di Jerami Grant e di Torrey Craig, che tanto hanno tolto non solo in attacco ma anche nella metà campo difensiva, nella quale in questo momento Denver non ha un singolo specialista della materia. L'aggiunta di Campazzo, giocatore dall'elevato IQ cestistico e molto vicino al basket e alle intuizioni di Jokic, non si può certo considerare l'upgrade necessario per elevare ulteriormente il livello dei Nuggets, così come non hanno spostato di molto le conferme di Paul Millsap e di Gary Harris, parente lontano del giocatore ammirato fino a un paio di stagioni fa.
Di sicuro, in questo momento, la squadra sta dimostrando di non poter fare a meno di Jokic: tutti gli indici di rendimento della squadra crollano col serbo in panchina, in primis l'offensive rating con uno spread di 19 punti su 100 possessi quando lui è in campo o fuori. Dati allarmanti che indicano già la direzione che Malone dovrà seguire per portare la squadra ai Playoffs, anche se spremere oggi il serbo potrebbe poi avere conseguenze negative in ottica post-season. E per una squadra che stenta a trovare soluzioni alternative al suo leader ma al contempo non riceve risposte dai comprimari, il mercato potrebbe essere l'unica relazione soluzione.