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Nikola Jokic riscrive la storia e avvicina il titolo di MVP: nessuno incide come lui in NBA

Il serbo dei Denver Nuggets merita di vincere nuovamente il premio di Miglior Giocatore della stagione NBA. Nessuno incide come lui.
A cura di Luca Mazzella
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Pensate solo a questo dato, per iniziare. Da quando esiste l'NBA, 1946, nella lega professionistica americana sono passati oltre 4500 giocatori, alcuni dei quali titolari di record che almeno fino a qualche anno si pensavano impossibili da superare. Ecco, nessuno di questi è stato mai in grado di archiviare una stagione con uno score di almeno 2000 punti, almeno 1000 rimbalzi e almeno 500 assist: non ci è riuscito Wilt Chamberlain, mister 100 punti; non ne è stato capace il primo giocatore in grado di chiudere un'annata in tripla doppia di media, Oscar Robertson; non lo ha fatto in nessuna delle 4 stagioni chiuse in tripla-doppia di media Russell Westbrook.

A rompere questo muro, da qualche ora, è stato forse il più insospettabile degli eroi, Nikola Jokic. MVP in carica dopo un 2020-21 che aveva già posto l'asticella ad altezze proibitive in quanto a rendimento e statistiche, il nativo di Sombor è riuscito quest'anno ad elevare ulteriormente la sua pallacanestro in condizioni ancora più ostili visto il suo contorno. Né Jamal Murray, out dal finale della scorsa stagione, né Michael Porter Junior, rispettivamente secondo e terzo miglior giocatore della squadra, sono infatti finora scesi in campo per i Denver Nuggets in questo 2021/22 (MPJ è stato in realtà impiegato per le prime 10 partite salvo ricorrere all'operazione alla schiena, suo storico tallone d'Achille). È quindi facile intuire come i numeri del lungo serbo – che a breve prenderemo in considerazione – assumano una portata ancor più leggendaria se sommati alla matematica qualificazione Playoffs che la squadra ha conseguito nella notte.

Il canestro del record e la standing-ovation

Con 5 minuti da giocare nell'ultimo quarto e con i suoi Nuggets in vantaggio 114-96 contro i Memphis Grizzlies seconda forza della Western Conference (ma priva della stella Ja Morant), Jokic è entrato nella storia con uno dei suoi canestri tipici: partenza dal gomito fronteggiando il canestro, virata e appoggio morbido al ferro usando tutto il corpo per creare separazione dall'avversario. Il tutto, fa bene ricordarlo, senza salti pazzeschi o mostruosi gesti atletici.

Al classe '95 non è mai mancata però la creatività e la capacità di anticipare il movimento dei diretti avversari per sopperire a una fisicità enormemente migliorata negli anni ma ben diversa da quella tipica che accomuna tanti dei suoi pari ruolo. Poco dopo il canestro, accolto dalla solita ovazione del pubblico di casa, coach Mike Malone ha richiamato il suo pupillo in panchina per una meritatissima standing-ovation che, parole del serbo che per la prima volta è sembrato emozionato nel raggiungere un traguardo, "ricorderà per tutta la vita".

I numeri di Jokic

In America, da qualche settimana, dibattere sui numeri di Nikola Jokic e paragonarli a quelli degli altri due candidati al premio di MVP ovvero Joel Embiid e Giannis Antetokounmpo è diventato un po' lo sport (e la polemica) nazionale. Eppure tra chi ritiene che vadano prese in esame solo le statistiche "tipiche" (punti, rimbalzi, assist, palle recuperate e record di squadra) e chi invece usa a ragione anche quella avanzate per surrogare le proprie tesi, o più semplicemente chi parla per partito preso e per simpatie personali, trovare una risposta univoca nel dibattito americano su chi meriti il premio è difficilissimo, anche tra illustri giornalisti.

Qualche argomento a favore di Nikola Jokic sembrerebbe esserci, tuttavia, e da ogni prospettiva statistica lo si voglia guardare. Oltre al diventare il primo giocatore della storia NBA a chiudere una stagione con 2000 punti, 1000 rimbalzi e 500 assist come detto, la corsa-Playoffs dei Nuggets ha visto il lungo salire esponenzialmente di livello collezionando in 5 partite la bellezza di 37.8 punti, 16.6 rimbalzi e 6.6 assist di media fino a diventare il primo dai tempi di Wilt Chamberlain (e ogni qualvolta si scomoda The Big Depper per un record si intuisce quanto eccezionale questo sia) a collezionare cinque gare di fila da almeno 35 punti e 12 rimbalzi. Jokic guida inoltre la lega per triple doppie e per gare da 35 punti e 10 rimbalzi, dieci in totale.

Andando però su quello che dovrebbe in un certo senso far pendere l'ago della bilancia verso l'uno o l'altro giocatore ovvero quanto questo incida nell'economia di una squadra, il lungo guida i Nuggets per punti, rimbalzi, assist, palle recuperate, stoppate, tiri segnati dal campo, percentuale dal campo, true shooting, PER (il Player Efficiency Rating, metrica avanzata che unisce tutte le voci statistiche per capire in che modo un giocatore incida in ogni aspetto del gioco per la sua squadra, e in questo Jokic sta registrando il miglior risultato della storia su singola stagione), box plus-minus difensivo e offensivo (impatto, sempre in metrica avanzata, del giocatore su attacco e difesa secondo i punti che la squadra guadagna/perde con lui in campo).

E, infine, la sua sola presenza in campo migliora Denver di 47 vittorie rispetto a quando lui è fuori: in poche parole il suo rendimento renderebbe i Nuggets una squadra da 62 successi stagionali, mentre se lui non ci fosse la squadra collezionerebbe la miseria di 15 vittorie, stazionando in zona lottery agli ultimi posti della Conference. Joel Embiid, per nominare il suo rivale numero 1 (che ha parlato di "odio" nei suoi confronti laddove non dovesse vincere il premio) "migliora" i 76ers di 29 vittorie con la sua sola presenza in campo: un'enormità, se non ci fosse l'alieno col numero 15.

Una NBA sempre più a trazione internazionale

Cos'hanno in comune i tre candidati MVP, ai quali ci permettiamo di affiancare la superstar dei Dallas Mavericks Luka Doncic che pur lontano dalla continuità di Jokic, Embiid e Antetokounmpo finirà verosimilmente molto in alto nella graduatoria del premio? Sono tutti giocatori non statunitensi: un serbo MVP in carica e favorito a bissare il premio, in lotta con un camerunese, un greco e uno sloveno. No, non è più la lega americano-centrica di qualche decennio fa: i confini sono caduti da un pezzo e se prima un giocatore non USA veniva visto come un'eccezione, oggi negli States hanno capito che tra i giocatori citati, il pluri-premiato difensore dell'anno Rudy Gobert, francese, e una folta schiera di europei pronti a sbarcare nel giro dei prossimi anni (su tutti la quasi sicura prima scelta 2023 Victor Wembanyama, un autentico crack su cui tanti sono pronti a scommettere), considerare il basket un affare di pochi non è più possibile.

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