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MVP, Rookie, Coach: i finalisti di tutti i premi di stagione in NBA
Nella giornata di ieri l’NBA ha finalmente annunciato i tre finalisti di ogni categoria per i premi stagionali. Le premiazioni avranno luogo durante i Playoffs, con la lega che pubblicherà giorno dopo giorno i vincitori di ogni singola statuetta fino all’ambitissimo Most Valuable Player. I Jazz fanno incetta di candidature, ben 4.
A cura di
Luca Mazzella
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Con l'ultima sfida del torneo di play-in da giocare per decretare l'ottava qualificata della Western Conference tra Golden State Warriors e Memphis Grizzlies, oltreoceano tiene banco la discussione accesissima sui premi di stagione regolare. Proprio ieri, l'NBA ha ufficialmente annunciato i finalisti di ogni categoria, tra sorprese, prevedibili conferme e diverse squadre protagoniste.
NBA Coach of the Year
- Quin Snyder, Utah Jazz: l'ex assistente allenatore in quel di Mosca, anno dopo anno, ha perfezionato la sua pallacanestro e la sua creatura meglio riuscita, i Jazz detentori del miglior record NBA (72.2%) e capolisti della Western Conference. Per la stagione praticamente condotta da inizio anno e il basket collettivo mostrato (6 uomini in doppia cifra di media), Snyder è evidentemente il favorito numero 1 al premio.
- Tom Thibodeau, New York Knicks: se non il vincitore ufficiale, Thibo resterà il vincitore morale di questa edizione. I Knicks praticamente rivoluzionati e diventati senza cambiare uomini (col solo Derrick Rose aggiunta sostanziale degli ultimi mesi) una corazzata difensiva sono la storia più bella dell'anno. Aver riportato la franchigia ai Playoffs con il quarto record assoluto è un risultato che va oltre ogni più rosea aspettativa anche dei tifosi.
- Monty Williams, Phoenix Suns: alle spalle dei Jazz, col secondo record della lega (70.8%) ci sono i Phoenix Suns di coach Williams e Chris Paul. Considerato il mercato fatto dal GM Jones e la leadership dentro e fuori dal campo di CP3, il miglioramento della franchigia dell'Arizona va certamente condiviso tra più teste, motivo per il quale il suo nome sembra un filo dietro gli altri due colleghi.
NBA Most Improved Player of The Year
- Jerami Grant, Detroit Pistons: da 12.0 punti a 22.3, da 3.5 a 4.6 rimbalzi, da 1.2 a 2.8 assist a partita. Se ne facciamo puramente una questione statistica, Grant è passato dall'essere uno specialista di una contender al diventare star di una delle peggiori squadre della lega. La voglia del giocatore visto anche ai Thunder di essere protagonista lontano dal Colorado gli ha dato tiri, responsabilità e punti nelle mani. Potrebbe bastare, ma l'NBA solitamente intende valorizzare anche il contesto.
- Julius Randle, New York Knicks: se non sarà il Coach dell'anno, nella Grande Mela un premio dovrebbe comunque arrivare e Julius Randle non può non essere considerato il favorito numero 1 a quello di Giocatore più Migliorato: 24.1 punti, 10.2 rimbalzi, 6.0 assist (primo giocatore nella storia dei Knicks con numeri del genere) in un'annata che l'ha consacrato definitivamente come una delle migliori ali di tutta la lega.
- Michael Porter Jr, Denver Nuggets: in prospettiva, forse il giocatore dal futuro più radioso dei 3 candidati. Dopo febbraio l'ala di Denver ha iniziato a segnare con un'efficienza paurosa, confermandosi giocatore di grande versatilità e capace di fare canestro nei modi più disparati, con grazia e eleganza da primo della classe. I punti di media sono raddoppiati, da 9.3 a 19.0, stesso dicasi per le percentuali dal campo. Con o senza premio, i Nuggets hanno trovato la terza star per diventare grandi con Jokic e Murray.
NBA Rookie of The Year
- Lamelo Ball, Charlotte Hornets: il rookie delle meraviglie, volto scelto dalla lega come uno dei giocatori cardine del futuro in NBA, vedi endorsement della classifica ESPN sui migliori under 25 in circolazione. L'infortunio al polso ha abbassato e di molto le chance di vittoria, scontata prima del ko, ma l'ultimo aggiornamento pubblicato su nba.com lo ha visto di nuovo davanti a tutti. Lamelo ha cambiato l'inerzia perdente di una franchigia mediocre da anni col suo gioco esuberante e i suoi immaginifici passaggi. L'uscita a dir poco umiliante di Charlotte dal play-in resta però una pecca che toglie la ciliegina sulla torta da una stagione che resta notevolissima.
- Anthony Edwards, Minnesota Timberwolves: a proposito di giocatori cardine, i T'Wolves hanno trovato il volto della franchigia per i prossimi anni. Nell'attesa di sbloccare definitivamente Karl Anthony Towns, le cui stagioni da anni ormai sembrano avere sempre lo stesso incostante andamento, la guardia 19enne ha approfittato del cambio in panchina col neo coach Finch e della sosta ai box di Ball per salire di colpi e inanellare una serie di partite di livello sul piano realizzativo. Ancora acerbo in alcune letture, personaggio fuori dal comune off the court, Edwards ha dimostrato sin da giovanissimo di trovarsi a proprio agio palla in mano e tiri, tanti, a disposizione. Farlo maturare in un contesto vincente resta la vera sfida della franchigia, che ha trovato finalmente il suo punto di svolta.
- Tyrese Haliburton, Sacramento Kings: il più pronto della rookie class e giocatore per distacco più maturo. Potrebbe sembrare un punto a favore, ma paradossalmente immaginare i margini di miglioramento di un Haliburton già così "inquadrato" è molto difficile. Niente che incida sulla valutazione per il premio di ROY, ovviamente. Anche se l'infortunio di fine stagione e i soliti Kings abituati a stagnare nella mediocrità incideranno più del dovuto nella valutazione.
NBA Defensive Player of the Year
- Rudy Gobert, Utah Jazz: il nome del centro francese è certamente uno di quelli che maggiormente riesce a dividere la critica e i tifosi. Tra chi ne contesta la capacità di difendere su più ruoli (assunto mai preso in considerazione per un premio che non valorizza la versatilità del difensore ma la capacità di incidere in un sistema) e chi, a ragione, porta avanti numeri difensivi con pochi eguali nella storia NBA, Gobert è per distacco il giocatore capace di influenzare maggiormente gli attacchi avversari, alla larga dal pitturato con lui in campo. Senza addentrarsi in statistiche avanzate, il riscontro visivo di una qualsiasi partita di Utah renderebbe onore all'annata di Rudy: contro i Jazz si gioca per non finire nelle sue grinfie.
- Ben Simmons, Philadelphia 76ers: ecco il grande nome che porta a suo favore il concetto della versatilità, appunto. L'NBA sul premio si spacca, i giocatori non sono però da meno. E Ben Simmons adora cavalcare (e far cavalcare) questa narrativa: in quanto capace, sulla carta, di difendere su 5 ruoli diversi, non c'è dubbio che il premio spetti a lui. Ma se il most valuable player non è il giocatore certo in grado di segnare in più modi diversi, anche il difensore non va premiato per la capacità di accoppiarsi a ogni tipo di avversario.
- Draymond Green, Golden State Warriors: provate a interpellare il giocatore della Baia a riguardo e avrete sempre la stessa domanda: zero dubbi sul fatto che sia lui, o meglio che si senta lui, il migliore in circolazione. Tra i due poli contrapposti Gobert-Simmons, il numero 23 di Golden State mette d'accordo tutti sia per incisività su un sistema difensivo (che si poggia interamente sulle sue letture e sui suoi posizionamenti) che per difensiva individuale, vedi clinic offerto su Anthony Davis nella recente partita di play-in. Per mille ragioni, vedi attenzioni dei media su Steph Curry, sembra il nome meno esposto dei tre, ma è probabilmente la prima scelta di ogni coach nel dover pronti-via disegnare il suo quintetto di difensori ideali.
NBA Sixth Man of The Year
- Jordan Clarkson, Utah Jazz: con Snyder e Gobert, la guardia ex Cavs rischia di essere il terzo premiato della franchigia di Salt Lake nella stagione 2020/21. Clarkson si è definitivamente consacrato come secondo miglior marcatore di Utah e vero fattore in uscita dalla panchina, ruolo nel quale emergono maggiormente le sue doti di realizzatore e di giocatore di impatto. Per molti il favorito senza discussioni, ma c'è una storia che scalda il cuore dei più romantici e scala posizioni giorno dopo giorno…
- Derrick Rose, New York Knicks: infortuni, voci di ritiro, abbandono totale in quel di Detroit e rinascita, l'ennesima. La favola di Derrick Rose, rinato a New York sotto la guida del suo mentore storico coach Thibodeau, merita un lieto fine che collegherebbe in astratto il premio di MVP di 10 anni fa alla stagione attuale. Dalla panchina, Rose si è rivelato fondamentale in tutti i finali di gara di New York, nelle vesti nuove di clutch player pronto a gestire la palla nei possessi finali. Oltre ogni numero e impatto statistico, che restano di assoluto rispetto, la sua candidatura è supportata a furor di popolo da ogni romantico amante dell'NBA moderna.
- Joe Ingles, Utah Jazz: il miglior modo per valutare la stagione di Utah e la bontà del progetto tecnico di Quin Snyder sta tutto qui. Con Clarkson, la squadra può vantare ben due candidati a Sesto Uomo dell'Anno, assieme al probabile coach e miglior difensore della stagione. Ma l'australiano sembra decisamente dietro il compagno di squadra e Rose.
NBA Most Valuable Player
- Nikola Jokic, Denver Nuggets: per molti, primo secondo e terzo candidato senza possibilità di appello. Il centro serbo ha giocato una stagione di incredibile costanza e su rendimenti mai visti per un centro, disputando tutte le 72 partite a disposizione (unico dei 3 candidati) e trascinando la squadra al terzo record della Western Conference. Per continuità, zero dubbi sul fatto che il suo nome sia l'unico realmente spendibile del lotto.
- Joel Embiid, Philadelphia 76ers: 28.5 punti, 10.6 rimbalzi, miglior percentuale in carriera da tre, dal campo e ai liberi. Potrebbe bastare, vero, ma 51 partite su 72 sono davvero troppo poche per parlare di favorito. Che sia valuable è fuori discussione, che sia l'x-factor di Philadelphia anche, ma i problemi fisici mai realmente accantonati del centro camerunese restano uno dei motivi per cui finora il suo nome non è mai stato estratto come vincitore finale del premio. La maturità raggiunta sulle due metà campo però resta assolutamente degna di candidatura tra i migliori della stagione.
- Steph Curry, Golden State Warriors: il vincitore morale del premio. Senza Klay Thompson, in un contesto tecnico fatto di esordienti, giocatori mai trovatisi prima in una franchigia con ambizioni importanti e una forte cultura vincente, con il solo Draymond Green e un miglioratissimo Andrew Wiggins scudieri di livello, Curry ha trascinato a suon di partite da 40 e 50 punti Golden State fino all'ottavo posto della Western Conference, e tra poche ore si giocherà l'accesso al tabellone principale dei Playoffs contro i Grizzlies. Se una delle mille accezioni di valuable è quella di giocatore capace di incidere maggiormente sulle sorti della sua squadra, è anche inutile ribadire che questi Warriors senza Steph sarebbero stati una squadra da lottery. L'ottava piazza resta però un limite probabilmente invalicabile nelle valutazioni che saranno fatte ai fini del premio.
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