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Michael Jordan non invecchia grazie al suo desiderio di persistere in un presente eterno

Oggi Michael Jordan compie 58 anni e su di lui continuano a infuriare i dibattiti sul GOAT, rinfrescati dal prodotto mediale del 2020, “The Last Dance”. Michael Jordan è tante cose ancora oggi ma per noi e forse anche per lui la sua figura vive ancora in quel presente eterno in cui è in volo per tre secondi verso il canestro. Il suo è l’unico caso di persistenza che va oltre i confini dell’esistenza nel qui e ora.
A cura di Jvan Sica
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Ci sono un sacco di “si dice” intorno a “The Last Dance”, forse il prodotto cinematografico più interessante e discusso dell’anno pandemico 2020. Il primo riguarda il momento in cui è stato dato il Sì definitivo da parte di Michael Jordan per il progetto. Erano anni che tutte le grandi case di produzione americane corteggiavano Jordan per realizzare un documentario di qualsiasi tipo. La cosa fondamentale è che ci fosse lui in persona e voce, evento che non accade molto spesso nonostante oggi sia il proprietario dei Charlotte Hornets e quindi ancora un personaggio pubblico.

Aveva sempre rifiutato ma un evento, si dice, lo ha convinto ad accettare la proposta di ESPN e Netflix. Il 19 giugno 2016 i Cleveland Cavaliers guidati da uno strepitoso Lebron James vincono le Finals contro i Golden State Warriors, considerati imbattibili fino a quel momento. James urla al mondo non solo il suo epico “Cleveland, this is for you!”, ma anche la voglia di essere considerato il GOAT per quanto riguarda il basket.

Si dice quindi che Jordan abbia detto di sì a “The Last Dance” proprio per rinnovare la sua aura, dargli una rinfrescata, immetterla in circuiti (i social media ad esempio) che sarebbero serviti a proporla a un pubblico troppo giovane per averlo anche solo visto giocare nella sua parentesi finale con i Washington Wizards e per ribadire che se c’è un più grande, quel più grande doveva essere lui.

L’altro “si dice” interessante che riguarda la serie è il veto che lo stesso Jordan ha messo alla serie dopo che era stata realizzata. Non si è capito mai con precisione se non piacevano dei passaggi, e di passaggi controversi la sua storia di cestista e uomo è piena, oppure voleva un momento in cui il mondo fosse completamente focalizzato su quel prodotto e quindi sulla sua figura. “The Last Dance” resta ai box per un po’ e, a causa della pandemia, in un mondo bloccato in casa e immobile davanti a uno schermo, parte subito con la quinta ingranata e diventa il fenomeno mediale del 2020, riportando Michael Jordan dove lui vuole che stia, sopra qualunque paragone possibile.

Questa lunga premessa sull’ultimo vero fatto globale che ha riguardato Michael Jordan per sottolineare ancora una volta la sua straordinaria genialità, unita a una voglia di competere sfibrante e devastante, ma forse devastante per gli altri ma non per lui.

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Oggi che compie 58 anni cerchiamo in qualsiasi modo di capire Jordan, analizzandolo da punti di vista classici, a cui ci hanno abituati altri enormi campioni sportivi del Novecento, come Muhammad Alì, Diego Armando Maradona, Kareem Abdul-Jabbar nel basket prima di lui. Jordan invece sfugge sempre all’inquadramento di eroe sportivo che dimostra la sua grandezza cercando e desiderando un impatto sociale sulla sua comunità e sul mondo intero. Michael Jordan resta un mistero insondabile perché tutto quello che è davvero immenso è dentro di lui e non riusciremo mai a decifrarlo. Perché ha una voglia così folle di competere? Perché non riesce ad accettare un altro “come lui”? Perché non gli importa di dover dimostrare qualcosa ora che non può fare gran parte del lavoro da solo?

Jordan ha sempre voluto tutto su di sé e non riesce a rappresentarsi se non come un unicum senza precedente e senza eredi. La storia che scorre gli dà tremendamente fastidio, vorrebbe esserci sempre in un presente eterno in cui salta e letteralmente vola per tre secondi in aria verso il canestro. Nel discorso della sua entrata nella Hall of Fame piangeva proprio per questo. Non era il passato a commuoverlo, era un presente che non si poteva più marchiare con la sua eternità del gesto, per questo dirà a tutti quelli che sorridevano sotto i baffi che non dovevano ridere se lui a 50 anni sarebbe per caso tornato a giocare.

Senza basket giocato Jordan sembra non avere casa, non avere idee, non avere desideri. Parliamo senza viverlo, per questo di sicuro a vanvera, ma è una sensazione che si percepisce nel suo non voler esserci nei confronti che il tempo ti impone. I rinvii continui prima e dopo la realizzazione di “The Last Dance” dicono proprio questo: io voglio che gli altri semplicemente ammirino e non confrontino. L’immensità interiore di cui scrivevamo non è una partita che potrà mai giocare in un one-to-one. Ma tutto questo non ne sbreccia la mitologia, anzi addirittura la amplifica. Jordan il totem vuole soltanto persistere, esistere (quindi nel tempo e in un luogo specifico) è qualcosa che lascia agli altri.

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