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L’insopportabile e ingenerosa polemica sulle rinunce di Belinelli e Datome all’ItalBasket

Le scelte della guardia campione d’Italia con la Virtus Bologna e dell’ex capitano della Nazionale di non unirsi al roster che proverà a qualificarsi per Tokyo 2021 tramite il preolimpico, arrivate dopo stagioni fisicamente estenuanti, hanno scatenato sterili polemiche e discussioni alla solita ricerca del capro espiatorio.
A cura di Luca Mazzella
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Carte di identità, prima di tutto: Marco Belinelli, nato il 25/03/1986 a San Giovanni in Persiceto, e Luigi Datome, nato il 27/11/1987 a Montebelluna. 35 anni compiuti il primo, 34 a breve il secondo. Partite disputate con la maglia della Nazionale Italiana di Pallacanestro: Marco Belinelli 154 (e 2258 punti, quarto miglior marcatore nella storia Italbasket), Luigi Datome 175 (e 1579 punti). Due storie, quelle con la Nazionale Maggiore di Marco e "Gigi", partite nel 2006 e nel 2007, certamente povere di soddisfazioni se ne facciamo una mera questione di trofei di squadra, ma fatte di assoluta dedizione alla causa e costante partecipazione.

Eppure, nonostante tutto, quando nel giro di pochissimi giorni sono arrivati i comunicati ufficiali in cui i due campioni hanno ufficialmente annunciato di non poter rispondere alla convocazione di coach Meo Sacchetti in vista del preolimpico che potrebbe portare l'Italbasket a Tokyo, la doverosa gratitudine rispetto ai quasi 15 anni di ininterrotta partecipazione a ogni tipo di competizione con la maglia azzurra si è trasformata in una sterile polemica quasi a voler trovare – con largo anticipo – i bersagli da colpire in caso di (probabilissima) mancata qualificazione. L'Italia dovrà infatti superare la Serbia, corazzata che pur al netto delle defezioni (su tutte quella dell'MVP Nikola Jokic, quest'ultima arrivata senza alcuna astiosa replica da parte della Federazione) resta superiore sulla carta e dotata di maggior esperienza a certi livelli, motivo per cui il torneo di qualificazione si trasformerà, pur con l'ambizione di vincerlo, nel primo banco di prova di quella che sarà la nuova generazione di talenti tricolori, ai quali contiamo di aggiungere Paolo Banchero – oggi bloccato da Duke – per toglierci soddisfazioni e tornare finalmente a medaglie nelle competizioni che contano.

Il 2020/21 di Marco Belinelli, che a inizio anno ha ufficialmente detto addio all'NBA per tornare a Bologna dove nemmeno due settimane fa si è consacrato campione d'Italia, è stato un anno fisicamente estenuante e diverso da quanto ci si aspettava, con la Virtus impegnata fino all'ultimo episodio di Playoff LBA e giunta fino alle semifinali di Eurocup, dove è stata eliminata dal Rubin Kazan. 60 partite in totale, qualche acciacco fisico lungo il percorso, un minimo di rodaggio prima di entrare in pianta stabile nelle rotazioni di Sasha Djordjevic. L'annata di Gigi Datome è stata anche peggiore sotto questo punto di vista: 90 partite ufficiali da agosto a oggi, Milano arrivata in fondo in Supercoppa, in Coppa Italia, ai Playoffs e alle Final 4 di Eurolega.

Fornire spiegazioni ulteriori per la loro rinuncia, mai come in questa estate, sembrava superfluo, eppure sia Belinelli che Datome hanno formalmente comunicato  (il primo con una nota ufficiale della Federazione, il secondo con un post Instagram) e motivato la loro decisione. "Non sarò in Nazionale questa estate, la stagione a livello fisico è stata molto impegnativa. Ho diversi problemi, in particolare agli adduttori. Devo fermarmi per un periodo, devo riprendere un lavoro mirato in estate, per essere pronto al 100% a settembre”, le parole della guardia campione NBA con gli Spurs. "Purtroppo non sarò al Preolimpico. Dire di no per la prima volta dopo 19 estati in Azzurro, proprio quando ci giochiamo un pass per le Olimpiadi dispiace anche più del normale, ma l'appuntamento arriva in un momento in cui non posso più spingere il corpo così oltre. Faccio un in bocca al lupo ai ragazzi e a Meo per questo cammino che spero sarà luminoso e farò il tifo da casa per la (mia) Italia. Forza, prendiamoci questa Olimpiade!" le parole di Datome arrivate pochi giorni dopo.

Nulla che non meritasse, soprattutto dopo una stagione del genere, un caloroso ringraziamento o quantomeno la sapiente scelta di evitare ogni tipo di pubblica accusa. Per quello che è stato il rapporto dei due giocatori con la Nazionale e anche per l'onestà di mettersi da parte se fisicamente non in grado di fare la differenza come voluto. Niente di tutto ciò è arrivato, in realtà. Il Presidente della Federazione Gianni Petrucci ha affidato a La Gazzetta dello Sport la sua replica (che già di per sé fa riflettere visto che il rapporto con due veterani e senatori avrebbe imposto quantomeno un confronto privato e non la pubblica lapidazione), accusando nemmeno troppo velatamente i due giocatori e portando la discussione al parallelo sempre inopportuno col mondo del calcio:

"Guardate la Nazionale di calcio con quale trasporto gioca e canta l’inno di Mameli. Ha riportato entusiasmo tra gli italiani. E, guardando al passato, voglio ricordare l’esempio di Totti al Mondiale 2006 quando, infortunato, chiese al c.t. Lippi di portarlo comunque in Germania. Il suo gol all’Australia è stato determinante per diventare campioni del mondo e io, allora ero presidente del Coni e sono saltato in campo per abbracciare Francesco. Il basket italiano si riempie la bocca di NBA, di Eurolega e del campionato, ma non capisce che l’Olimpiade vale molto di più come immagine. E aggiungo che si diventa campioni solo inseguendo il sogno olimpico. Non entro nel merito delle motivazioni e non voglio accusare i due giocatori. Ho provato a convincerli, ma sono rimasti sulle loro posizioni. Però, mi chiedo come mai il riposo e gli interventi chirurgici vengono sempre programmati in coincidenza con le attività della Nazionale. Se Beli e Gigi avessero dovuto giocare la finale scudetto fino a gara-7 si sarebbero risparmiati?”

A Petrucci ha fatto eco Malagò, Presidente del CONI, che a gamba tesa si è dichiarato sinceramente dispiaciuto affermando di sapere benissimo dei problemi fisici dei due, ma in difesa di tricolore e dei cinque cerchi olimpici si sarebbe aspettato altro.

Una polemica alimentata poi sui social e spenta sul nascere da Nick Melli, capitano della Nazionale vista l'assenza di Datome, che ha dribblato ogni inutile discussione rimarcando quanto proprio ai due ex compagni di Nazionale non si possa certo rimproverare un mancato sacrificio per la maglia in questi anni:

Al netto delle tante frasi a effetto ("I veri campioni inseguono il sogno di andare ai Giochi", ha detto Petrucci), derubricare a meri capricci le rinunce di due giocatori di 35 e 34 anni che proprio per assoluta dedizione alla Nazionale non si sono mai tirati indietro dal 2006-2007 ad oggi, è quanto di più sbagliato si possa fare. Pur sapendo di non avere due giocatori al top della condizione, con problemi fisici importanti emersi nel finale di un'annata estenuante, e consapevoli del fatto che questo lascerà spazio a ragazzi più freschi, meno appannati e più pronti fisicamente ad inseguire il sogno Olimpico (questa sì, una scelta da campioni), si è preferito alimentare una sterile guerra che ha voluto a monte individuare in Belinelli e Datome i responsabili di un risultato sportivo che potrebbe non essere quello sperato. E a farlo sono state proprio le istituzioni che negli ultimi 15 anni (l'Italbasket non vince una medaglia da Atene 2004) si sono comodamente "sedute" sui 4 giocatori andati oltreoceano (Belinelli e Datome appunto, ma anche Bargnani e Gallinari) usandoli come parafulmine all'occorrenza e medaglietta da esibire come frutti di un movimento più volte etichettato come in salute ma che necessita da tempo immemore di riforme strutturali che vadano ben oltre il talento estemporaneo di chi, solo e esclusivamente grazie ai suoi sacrifici, si è spinto oltreoceano facendo la differenza e ha continuato a farlo in Europa.

Il basket italiano, per bocca dei suoi vertici, ha invece preferito usare i 4 tenori come frutti di un lavoro pluriennale di pianificazione che avrebbe dovuto troncare sul nascere ogni discussione sulle lacune di infrastrutture, sulle necessarie riforme dei campionati, sui settori giovanili da valorizzare e sui quali investire. Chiudendo poi il giro puntando il dito contro gli stessi ragazzi usati come manifesto per anni, senza mai un'ammissione di colpa ma sempre alla ricerca dei responsabili terzi. Anziché usare l'estintore rispetto a questa inutile caccia all'uomo, gran parte della stampa italiana ha preferito cavalcare la medesima retorica del parallelo calcistico (c'è chi ha testualmente affermato che "Un giocatore non lo farebbe mai, dal primo dei fenomeni all'ultimo degli scarponi") e puntare il dito contro la decisione dei due, con Belinelli bersaglio numero 1 e esposto senza pietà sull'altare dei grandi perdenti di questa generazione (tecnicamente l'unico italiano ad aver vinto un anello in NBA).

Un atteggiamento distruttivo, ingrato e anche inopportuno, che ha preferito sin dai comunicati dei due atleti forse più rappresentativi dell'ultima generazione azzurra (assieme a Danilo Gallinari, che da stanotte sarà impegnato nella Finale di Eastern Conference con i suoi Atlanta Hawks) trovare in loro i responsabili e non ammettere motivazione alcuna alla folle scelta di preservare il corpo e dire stop per il bene stesso della maglia azzurra. Dei quali – di questo siamo ancora più sicuri – Marco e Gigi saranno i primissimi tifosi a partire dal 29 giugno.

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