LaMarcus Aldridge dice addio agli Spurs: a chi può fare comodo in NBA?
Dopo 6 anni nella fila dei San Antonio Spurs, siamo giunti ai titoli di coda dell'avventura tra LaMarcus Aldridge, lungo 35enne ex Portland Trail-Blazers, e la franchigia texana. Nel pre-partita contro i Mavs, ieri notte, è stato il coach Gregg Popovich e ufficializzare l'addio, figlio di una scelta di entrambe le parti che considerano questo il momento migliore per la separazione. Il 25 marzo infatti scadrà il termine ultimo per effettuare trade e l'unica possibilità che San Antonio ha per scambiare il suo contratto in scadenza per 24 milioni complessivi era quella di uscire allo scoperto, consci di quanto questo comunicato rischi di abbassarne considerevolmente il valore di mercato soprattutto visto il rendimento appena sufficiente avuto finora.
Per Aldridge, approdato agli Spurs nell'estate 2015 con un quadriennale da 80 milioni (ritoccato nel 2017 e esteso, appunto, fino all'estate 2021) dopo 9 stagioni ai Trail-Blazers, si aprono ora le porte di un finale di stagione e di carriera in una contender, quello che San Antonio non era più da anni ormai. Attualmente 47esimo per punti segnati nella storia NBA (uno dei 6 in attività in top 50) e terzo, tra i giocatori attivi, per canestri realizzati in carriera, LaMarcus ha perfettamente capito che, sin dalla bolla di Orlando quando Popovich ha iniziato a pensare a un gioco diverso che non contemplava la sua presenza prediligendo una small-ball e un assetto composto da 4 tiratori e un rimbalzista puro, il suo posto in squadra era ormai a rischio. Questo senza mai alzare la voce e pretendere spazio, sintomo di una serietà e di una professionalità che sono sempre state apprezzate nell'organizzazione.
Le parole di Popovich in tal senso mostrano tanto del rispetto e della consapevolezza reciproca del momento: "Abbiamo raggiunto la decisione che sia meglio per entrambi cercare una soluzione condivisa. LaMarcus ha sempre fatto tutto quello che gli abbiamo chiesto, ora è giusto che si faccia qualcosa che vada bene soprattutto per lui, perché se lo è meritato. Stiamo lavorando alla migliore soluzione possibile e da oggi in poi non farà più parte del nostro roster". Allo stesso tempo, come detto, espongono pericolosamente la franchigia al rischio di buy-out, ovvero che a mercato chiuso si sia costretti a trovare un accordo per una buonuscita senza ricevere nulla in cambio, rischio concreto e da evitare visto l'appeal in generale di un mercato davvero poco ambito dai top free-agents NBA. San Antonio, come sta già emergendo in queste ore, proverà a offrire Aldridge a diverse squadre in cerca di un giocatore di impatto immediato (cosa che il lungo può assolutamente offrire per almeno 1-2 stagioni ancora) in cambio di giovani o scelte future che consentano di ripartire pescando dal draft, dove la franchigia si è sempre contraddistinta scegliendo talenti dal sicuro avvenire.
A quali squadre farebbe comodo?
Contender, appunto. I Los Angeles Lakers a caccia di un rimpiazzo di sicuro affidamento dopo i problemi fisici di Anthony Davis; i Los Angeles Clippers che aggiungerebbero volentieri un ulteriore lungo proprio per fronteggiare i campioni NBA togliendolo alla loro disponibilità; un romantico ritorno a Portland che in quel ruolo si trova a fasi alterne a dover fare a meno del talento bosniaco Nurkic; i Milwaukee Bucks e i Boston Celtics nella Eastern Conference, con gli Heat leggermente defilati, e squadre di livello inferiore ma con diversi giocatori messi sul mercato.
Le caratteristiche tecniche di Aldridge, mai realmente in grado prima delle ultime due stagioni di estendere il range di tiro oltre l'arco come richiesto nell'NBA moderna (oggi tira col 36% dall'arco dopo il 39% dello scorso anno) e decisamente negativo in difesa, non fanno immediatamente colpo ma l'esperienza a certi livelli e la militanza a San Antonio ne hanno fatto un veterano di assoluto rispetto e nella giusta consapevolezza di disporre di poche, ulteriori chance per portare a casa un anello. Prospettiva che non si materializzerebbe invece in caso di approdo in altre squadre interessate semplicemente ad assorbirne il contratto in scadenza (per poi liberare i 24 milioni tra pochi mesi e poter attrarre free agents). È bene precisare che mentre per alcuni di questi team, squadre los-angeline su tutte, la situazione salariale consentirebbe di firmare Aldridge solo dopo una rescissione e quindi al minimo contrattuale (situazione simile a quella di Blake Griffin), mentre diversamente franchigie come Cleveland (che potrebbe offrire Andre Drummond), Chicago (con Otto Porter), Orlando (offrendo Aaron Gordon) o gli stessi Boston Celtics (che devono spendere, ricordiamolo, una trade excpetion generata dalla trade per Hayward agli Hornets di 28 milioni di dollari e potrebbero quindi assorbire il contratto di Aldridge senza sacrificare nessun giocatore) avrebbero qualcosa da offrire a San Antonio e da accorpare, necessariamente, alle pedine di sicuro avvenire che la franchigia desidera avere per continuare il rebuilding.
A differenza di Blake Griffin però, l'impressione è che il giocatore, con tutte le premesse fatte, non abbia perso lo smacco di un tempo e sia ancora tecnicamente in grado di valere la 3-4a opzione di un team che punta a vincere. Soprattutto se dovesse accettare di partire dalla panchina e guidare la second-unit. Un lusso che in pochi potrebbero permettersi.