“La sua miglior partita in carriera”. Steph Curry è leggendario: 43 punti per battere Boston
43 punti, 10 rimbalzi, 4 assist, 7 triple mandate a segno. Una partita for the ages, da ricordare negli anni. É così che negli Stati Uniti definirebbero, anzi stanno definendo in queste ore, la gara 4 giocata nella notte da Stephen Curry contro i Boston Celtics, che ha consentito ai suoi Golden State Warriors di imporsi per 107-97 al TD Garden riprendendo il controllo delle Finals e dando ora alla squadra di Steve Kerr la possibilità di giocare 2 delle prossime 3 partite tra le mura amiche per issarsi ancora una volta sul tetto della NBA. La point-guard nativa di Akron ha preso per mano i suoi proprio nel momento più delicato della sfida, una battaglia avvincente e contraddistinta da 10 situazioni di parità e 11 diversi vantaggi, fino a quello decisivo dei Warriors che dopo essersi rialzati dall'ennesimo mini-parziale Celtics hanno portato a casa la vittoria in un ultimo quarto da antologia. In più di un’occasione infatti il match sembrava aver preso definitivamente la direzione di Boston, apparsa a lungo più solida e difensivamente resa ostile dall’impressionante presenza in area di Robert Williams III, troppo più grande a rimbalzo e in grado di avere vita facile contro un attacco che ha praticamente regalato un uomo a Ime Udoka per tutta la gara, visto il Draymond Green ai minimi storici di fiducia e di rendimento e mai pericoloso.
In tutti i piccoli strappi di Boston tuttavia Golden State ha sempre trovato il cuore e la forza per restare a contatto, fino a prendere il largo nella seconda parte del quarto periodo (finito 28-19) e dopo il terzo quarto di furia offensiva di Steph che non aveva tuttavia dato alla squadra la solita spinta che in questa serie aveva sempre reso il rientro dagli spogliatoi una sorta di incubo per Boston. E quindi, esaurita la potenza di fuoco del terzo quarto marchio di fabbrica e che da anni contraddistingue la truppa di Kerr, l’ultimo periodp stava per diventare una passerella dei Celtics davanti al proprio pubblico, che mai avrebbe previsto che un solo uomo potesse rimettere in piedi un match che a un certo punto sembrava poter condurre i padroni di casa su ad un 3-1 che avrebbe chiuso la serie: tranne nel 2016 infatti – e sarebbe stato beffardo pensare che solo i Warriors facciano eccezione alla regola – nessun team sul 3-1 ha mai perso le Finals. Curry invece, sul palcoscenico più importante, ha sfoderato quella che il suo compagno Klay Thompson non ha esitato a definire “La sua miglior partita giocata in carriera”, con una pioggia di triple accompagnata dalla bellezza di 10 rimbalzi, proprio contro la squadra che più di tutte è avvantaggiata per stazza contro Golden State, e nonostante la marcatura asfissiante del Difensore dell’Anno Marcus Smart, spesso aiutato anche dai compagni in raddoppi e situazioni in cui Steph è stato addirittura triplicato senza però mai tremare, nonostante la carta d’identità dica 34 anni abbondanti e una Run Playoffs finora incredibile, a colmare l’assenza di un vero e proprio secondo violino a dargli supporto sui 48 minuti.
L’altro zampino decisivo è arrivato dalla panchina, dove Steve Kerr ha ruotato con intelligenza i quintetti prima forzando la mano col quintetto piccolo provando a togliere ai Celtics le certezze che la coppia Horford-Williams stava dando praticamente da inizio Playoffs, poi facendo sedere un evanescente Draymond Green per lanciare il quintetto Curry-Thompson-Poole-Wiggins-Looney, e poi rimettendo in campo nel finale proprio il suo numero 23 che con un rimbalzo e un assist per Looney ha dato un contributo cruciale negli ultimi secondi e anche nella peggior gara della sua carriera.
Supporting cast
Nel momento del bisogno e con un Green come detto quasi impaurito di attaccare il ferro, Steph ha trovato aiuto in Klay Thompson (13 dei suoi 18 punti nel secondo tempo e una serie di difese fenomenali nell’ultimo quarto), Andrew Wiggins (16 rimbalzi, alcuni dei quali fondamentali in attacco) e Kevon Looney, il cui +21 di plus/minus spiega meglio di ogni altra cosa l’impatto positivo avuto da lungo partito questa volta in panchina. Ossigeno puro risultato decisivo nel 107-97 finale.
Incubo clutch per Boston
Ricordate le tante occasioni in cui, durante la regular season, si era parlato delle difficoltà nel clutch time dei Boston Celtics? Stanotte è andata esattamente nel peggiore dei modi, con la squadra di Udoka che ha smesso di eseguire nei momenti più delicati della gara, ricorrendo eccessivamente ad isolamenti e attacchi con scarsissimo movimento di palla, e subendo un parziale di 15-0 dagli ospiti se si sommano tutte le situazioni in cui il margine è stato entro i 5 punti negli ultimi 5 minuti, appunto il famigerato clutch. Male Tatum in questo senso, poco incisivo Horford, eccessivamente impreciso e testardo Smart. Boston aveva l'occasione della vita e ora sa che per laurearsi campione NBA dovrà battere almeno una volta Golden State a domicilio e vincere la gara 6 in casa. Missione non impossibile per quanto visto finora, ma rialzarsi dalla batosta di stanotte non sarà facile a livello emotivo. Tra lunedì 13 e martedì 14 sapremo la verità.