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La cura Thibodeau funziona: che belli questi Knicks

Per anni zimbelli della lega, i New York Knicks la scorsa estate hanno scelto il tanto chiacchierato Tom Thibodeau come head coach. E quella che per molti addetti ai lavori si sarebbe rivelata una scelta sanguinosa, sta in realtà regalando tante soddisfazioni a tutti i tifosi di una delle franchigie più nobili dell’NBA.
A cura di Luca Mazzella
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Di tutte le sorprese che ci sta riservando finora la stagione NBA 2020-21, guardando le classifiche, ne balza immediatamente una agli occhi: i New York Knicks, la franchigia che negli ultimi anni si è sempre negativamente distinta per una progettualità vicina allo zero accompagnata da pessimi risultati e ancor peggiori sessioni di mercato, sono ottavi nella Eastern Conference. In un'annata normale, se finisse oggi, entrerebbero addirittura ai Playoffs. Purtroppo per loro però il mini-torneo "play-in" indetto dalla lega nella bolla e riproposto quest'anno li condannerebbe invece alle ulteriori fatiche di doversi giocare la qualificazione, assieme alla squadra che occupa la settima posizione, con nona e decima. Ma il discorso relativo ai Knicks in realtà prescinde da questa stagione e dall'eventualità di giocarsi la post-season. È nella cultura di una franchigia tristemente abituatasi ai fallimenti che le cose stanno cambiando.

L'era Thibodeau

Torniamo indietro al 30 luglio 2020. Reduci da un'annata chiusa con un misero 21-45 di record, il 12esimo della Eastern Conference, iniziata sotto la guida tecnica di David Fizdale e proseguita con Mike Miller, i Knicks scelgono Tom Thibodeau, fermo da un anno e reduce dalle esperienze ai Bulls, resi grandi grazie a Derrick Rose e a un impianto difensivo unico nella lega, e ai Minnesota Timberwolves, dove non è mai scattata la scintilla in primis con il giocatore-franchigia Karl Anthony Towns.

Per quanto ben fatto a Chicago con un roster ricco di giocatori carismatici e perfettamente in linea con la sua idea di pallacanestro, e per come invece non sia riuscito a risollevare le sorti di una Minnesota forse troppo acerba per seguire i suoi dettami, la scelta di "Thibo" per la panchina di New York ha subito suscitato critiche. Una squadra giovanissima e da costruire nel tempo senza la pretesa immediata di competitività ad alti livelli, sembrava tutto tranne che sposarsi con la sua guida esigente e mirata a vincere più partite possibili, o quantomeno a provarci. Troppo scontata la similitudine tra la sua ultima esperienza e la nuova: i più giovani difficilmente lo avrebbero seguito, questa la previsione.

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I risultati, dopo qualche mese, ci dicono invece che questa è diventata una squadra perfettamente in sintonia con il suo allenatore. I Knicks sono sesti in NBA per efficienza difensiva: lo scorso anno finirono 23esimi. Concedono 104 punti a partita agli avversari, migliori in NBA, contro i 112.3 dello scorso anno (18esimi). Sono la squadra che concede la minor percentuale agli avversari sia dal campo (43.7%) che da tre (31.8). Non segnano con facilità, non hanno tanto talento puro e punti nelle mani, eppure alcuni giocatori stanno vivendo la miglior stagione della loro carriera. Su tutti Julius Randle (che viaggia a 22.7 punti, 11.0 rimbalzi e 6.0 assist di media) e il redivivo RJ Barrett, lo scorso anno schiacciato dalle aspettative, pronto a essere scambiato, e oggi finalmente protagonista. In più, e anche questo va in netta controtendenza rispetto alle abitudini, i Knicks hanno trovato nei bassifondi del draft (25esima scelta del primo giro) un ragazzo dal talento cristallino come Immanuel Quickley, da Kentucky, che sta facendo innamorare tutti a furia di floaters, il suo marchio di fabbrica. E come ciliegina sulla torta, è arrivato un fido scudiero di Thibodeau in queste ore, pronto a diventare il leader emotivo di questo gruppo, come Derrick Rose.

La firma di Derrick Rose

Nel tardo pomeriggio di ieri è arrivata l'ufficialità: Knicks e Pistons hanno concluso uno scambio che ha portato nella Grande Mela Derrick Rose, ex MVP e simbolo della lega e ormai a disagio nel disastro tecnico e tattico della attuale Detroit. Con Thibodeau, Rose non ha solo vinto il premio individuale più ambito ma si è prima consacrato come giocatore pronto a raccogliere la sfida del gigante LeBron James che stava definitivamente mettendo le mani sulla Eastern Conference e sull'NBA, ma dopo una serie infinita di infortuni e operazioni è rinato proprio a Minnesota, sempre con il "suo" coach. Che ha ben pensato di concedergli l'ulteriore possibilità di risalire la china in una squadra che oggi deve pensare ai team che la precedono e non più a chi c'è dietro. In un gruppo così giovane e in un ruolo così delicato come quello di point-guard, l'innesto di Rose concederà ulteriore ossigeno alla gestione del talento di Barrett e Quickley, liberi di crescere senza eccessivi riflettori puntati contro, e rappresenterà una voce importante in uno spogliatoio dove forse manca un personaggio così carismatico. Il tutto senza trascurare quanto il connubio tra lui e Thibodeau potrebbe arricchirsi di un ulteriore, bellissimo, capitolo. Che darebbe ulteriore slancio alla risalita di Rose e nuova linfa a un progetto che sembra finalmente pronto a decollare.

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