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James Harden si prende i Nets: mai così forte in carriera?

James Harden si sta dimostrando, una volta di più, un giocatore unico. Passato dal one-man show di Houston al ruolo di co-protagonista a Brooklyn al fianco di Kevin Durant e Kyrie Irving, il mancino di Los Angeles sta forse esprimendo la miglior pallacanestro della sua carriera, non più basata sugli isolamenti ma molto più altruista.
A cura di Luca Mazzella
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Per anni James Harden, MVP della stagione 2017/18, è stato probabilmente uno dei giocatori più odiati della lega. Il suo stile di gioco, esasperato dal ricorso sistematico ad isolamenti poco apprezzati da chi ama il gioco corale e le superstar più altruiste capaci di coinvolgere al massimo i compagni di squadra, non ha mai realmente fatto breccia nel cuore dei fan NBA. E, allo stesso tempo, il dover competere negli anni della dinastia Warriors scontrandosi sistematicamente con una franchigia troppo più forte e attrezzata, ha fatto crescere in modo esponenziale il club degli haters del Barba, frettolosamente etichettato come egoista e perdente da chi ha dimenticato il suo contributo all'ascesa dei Rockets e il fatto che solo i texani siano stati in grado di portare quella Golden State a un passo dal baratro.

Il resto, purtroppo, lo hanno fatto gli infortuni e una serie di casualità che non hanno mai sorriso al mancino ex Thunder. Che però oggi, dopo aver forzato la mano e richiesto a gran voce la trade, sta dimostrando una volta di più di essere un giocatore senza eguali nella storia del gioco.

Il nuovo James Harden

Passare dal one-man show di Houston al doversi inserire in una nuova franchigia dove peraltro ci sarebbero già due super-star nel peak delle rispettive carriere (e mentre a tal proposito non c'erano grossi dubbi su Kyrie, Kevin Durant sta dimostrando di essere rientrato dopo 18 mesi di stop in uno stato psico-fisico oltre che tecnico superiore a quello visto prima dell'infortunio), non era semplicissimo sulla carta. A maggior ragione considerando che ai Nets, alle spalle dell'esordiente coach Steve Nash, c'è proprio quel Mike d'Antoni che in Texas ha contribuito a portare all'estremo la tendenza di James Harden all'isolamento offensivo, creando un basket per certi versi innovativo ma che a conti fatti non ha portato i risultati sperati per tutti i fattori già menzionati. Nonostante questo, però, già la sola convivenza con KD e Irving ha messo una volta di più in evidenza la straordinaria capacità di mutare il proprio gioco del mancino nativo di Los Angeles. Harden viene da 3 stagioni a 30.4, 36.1 e 34.3 punti di media con rispettivamente 20.1, 24.5 e 22.3 tiri a partita. Gli assist, con l'aumentare dei tiri, sono in questi anni scesi dagli 11.2 della stagione 2016-17 agli 8.8 e 7.5 (per due volte) delle ultime 3 annate, in cui lo stile di gioco ricercato in primis dallo staff tecnico di Houston ha ulteriormente snaturato un giocatore capace di vestire diversi abiti nel corso della carriera e sempre con risultati straordinari.

James Harden è passato dall'essere un difensore eccelso e un sesto uomo devastante ai Thunder al diventare forse il miglior scorer NBA degli ultimi 10 anni (l'altro grande indiziato gioca in squadra con lui oggi, per capirci), con in mezzo l'edizione CP3 dei Rockets in cui è riuscito a convivere con la point-guard oggi ai Suns dimostrando di saper giocare senza necessariamente avere la palla tra le mani. Una versatilità che oggi ci sta regalando l'ennesima edizione del Barba, forse la più completa.

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Non solo scorer

La versione Nets di James Harden tira 7 volte in meno a partita rispetto allo scorso anno, è passata dai 34 abbondanti a partita agli attuali 23.9, ma alla voce assist troviamo uno straordinario 11.3 a notte, miglior risultato in carriera e primo nella lega. Non è un caso che Kyrie Irving, la point-guard designata della squadra, abbia proprio specificato che in questo momento il playmaker di Brooklyn sia Harden, che si sta dimostrando capace di rinunciare a quel ruolo di protagonista unico nella metà campo offensiva prediligendo invece un gioco che coinvolga molto di più i compagni e riesca a servirli coi tempi giusti. Del giocatore bollato come egoista e incapace di giocare in un sistema non c'è più nemmeno l'ombra.

Oggi Harden cerca il passaggio con più insistenza, tende a fermare meno la palla e sembra determinato a rispondere ai suoi storici detrattori mettendosi al servizio delle altre due superstar del team pur di raggiungere un titolo solo sognato con la canotta di Houston ma mai realmente avvicinato. Se questo basterà o meno dipende da molti fattori, prima di tutto la profondità di un roster che oggi deve aggiungere difensori e role players per allungare le rotazioni e non patire troppo nella metà campo difensiva. Ma la sensazione di essere in ogni caso di fronte alla versione più matura di James Harden resta. E tra i tanti candidati al premio di MVP, la sua ennesima metamorfosi meriterebbe maggiore considerazione.

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