Il fallimento dei Los Angeles Lakers ora è completo: fuori dai Playoffs NBA, annata desolante
This is the end. Con il 121-110 subito nella notte contro i Phoenix Suns e la contemporanea vittoria dei San Antonio Spurs ai danni dei Denver Nuggets cala, ufficialmente, il sipario sulla stagione 2021-22 dei Los Angeles Lakers. Un'annata che definire fallimentare è poco, iniziata coi proclami da anello subito dopo la trade che ha portato in California Russell Westbrook e da lì precipitata in una spirale di bruttissime figure accompagnate da infortuni e polemiche dentro e fuori dal campo.
I Lakers, dal primo giorno e fino alla sirena della gara di stanotte, sono sembrati ancor prima che una squadra disfunzionale in attacco, priva di giocatori all'altezza in difesa, mal allenata e mal assemblata, un gruppo privo di rabbia, cattiveria, spirito di sacrificio. Ad ogni loro sussulto d'orgoglio, quasi sempre coincidente con prestazioni monstre di LeBron James, è sempre seguita una congenita incapacità di dare continuità alle prestazioni, di giocare con maggiore agonismo, di non ricadere nel piattume che ha regalato ai tifosi un anno totalmente da dimenticare, forse il peggiore nella storia recente della franchigia.
Record e record
Mai nelle 19 stagioni di LeBron James in NBA, dall'approdo nel 2003-04 ai derelitti Cleveland Cavaliers, una squadra del nativo di Akron era riuscita a perdere 48 partite, numero peraltro peggiorabile nelle 3 gare ancora a disposizione. Un triste primato che cozza con un'annata in cui LBJ ha dimostrato di poter ancora incidere, come testimoniano i 30.3 punti di media a 37 anni, la chance tutt'ora in piedi di poter diventare il più anziano di sempre a vincere la classifica dei marcatori NBA, il sorpasso a Karl Malone per punti in stagione regolare, quello a Kareem Abdul-Jabbar se si sommano sia in punti in RS che quelli ai P.O., le tante partite in cui è stato utilizzato addirittura da centro mostrando un'ulteriore evoluzione del suo gioco.
Le ultime settimane, tuttavia, sono sembrate proprio una sfrenata rincorsa ai record più che una ricerca ossessiva di riportare oltre la linea di galleggiamento la squadra, lasciando a molti l'impressione che una volta trovati i responsabili "mediatici" della debacle, Westbrook su tutti e Frank Vogel a ruota, sia stato fin troppo semplice nascondersi dietro i due volti più criticati e chiudere senza particolare interessi l'annata all'insegna dei mirabolanti numeri mostrati quando in campo, non ultimi i due cinquantelli poco prima di infortunarsi alla caviglia.
Un disastro che parte dalla off-season
Il sacrificio economico e tecnico per assecondare le volontà della coppia James-Davis (a quanto pare voci di spicco nel famoso meeting che avrebbe dato l'ok al passaggio di Russell Westbrook in giallo-viola) è valso prima di tutto il quarto monte salari dell'intera NBA a quota 164 milioni, destinato a non scendere di molto se si pensa che ad oggi in vista della prossima stagione ci sono sotto contratto proprio LeBron e AD per 44 e 38 milioni, oltre a Talen Horton-Tucker per 10, ma con Westbrook e Kendrick Nunn (mai visto in campo quest'anno) pronti a esercitare le rispettive opzioni da 47 e 5 milioni di dollari restando quindi a Los Angeles, ma soprattutto un roster totalmente lacunoso nella metà campo difensiva, privo di centimetri per sopperire alla solita sequela di infortuni di Anthony Davis, affidato alla sola capacità di creare dal palleggio del "Re" e senza un singolo tiratore.
A riempire una squadra partita col piede sbagliato, le firme di veterani a fine corsa come DeAndre Jordan – poi scambiato – Trevor Ariza, Wayne Ellington, Kent Bazemore e anche Carmelo Anthony (dal quale era tuttavia lecito attendersi esattamente questo genere di rendimento in attacco e in difesa) e l'aggiunta dell'unica nota lieta di stagione assieme al rookie Austin Reaves ovvero Malik Monk, pescato dalla free agency e rivelatosi uno dei pochi giocatori salvabili di un gruppo apparso a fine corsa ancora prima di iniziare. La possibilità di acquisire via sign-and-trade Kyle Lowry dai Toronto Raptors, coinvolgendo proprio Horton-Tucker, è stata mesi fa respinta dalla dirigenza, che a stretto giro ha poi preferito il prodotto di Iowa al rinnovo contrattuale di Alex Caruso, altra sanguinosa perdita. Il tutto contribuendo a creare il disastro attuale.
Un futuro difficilissimo da prevedere: scelte assenti, veterani e Vogel alla porta
A gettare ulteriori ombre sul destino di questa squadra c'è inoltre la spada di Damocle delle zero prime scelte al draft, sacrificate negli ultimi anni per allestire questo roster ed arrivare alle stelle richieste da James, che vanificano anche una stagione così sorprendentemente negativa che poteva, in forza dell'ottavo peggior record NBA, portare almeno a una pick alta che aggiungesse freschezza e entusiasmo al roster. Nulla da fare, dal momento che la scelta in questione finirà ai Memphis Grizzlies via New Orleans Pelicans, che avevano aquisito il diritto alla chiamata giallo-viola nella trade per Anthony Davis.
Considerati i veterani in scadenza e il blocco-giocatori praticamente sotto contratto, gli unici margini all'orizzonte per migliorare la squadra arrivano comunque dalla stessa free-agency da cui sono stati pescati i rincalzi di un anno fa. In più, ancora prima di stanotte, i rumors attorno al licenziamento di Frank Vogel, a dire il vero emersi più volte nelle ultime settimane, si sono intensificati fino a dare per certo il suo esonero a favore di una lista di candidati che vedrebbe, tra gli altri, gli attuali head coach di 76ers e Jazz ovvero Doc Rivers e Quin Snyder.
L'era LeBron a L.A.
Playoff mancati nel 2019, titolo nel 2020, eliminazione al primo turno lo scorso anno e Playoff sfumati di nuovo da qualche ora. In 4 stagioni, lo score di LeBron James in gialloviola è tutt'altro che positivo. I più maligni tendono anche a precisare come l'anello 2020 sia "con asterisco" dal momento che è arrivato nella bolla di Orlando in condizioni diverse dall'ordinario, senza tifosi e quindi secondo qualcuno più facile da conquistare. Guardando invece ai restanti 3 anni deve invece necessariamente far riflettere come il giocatore più forte dell'NBA moderna, capace ancora a 37 anni di guidare la lega per punti segnati a partita nonostante le stagioni nelle gambe siano 19, abbia gettato alle ortiche la chance di avvicinare ulteriormente i 6 anelli di Michael Jordan regalandosi un'esperienza certamente affascinante, stimolante nel raccogliere la legacy che fu di Kobe Bryant, storica nel riportare sul trono la franchigia di Los Angeles proprio nell'anno della scomparsa del Mamba, ma troppo deludente nelle restanti 3 annate per non avere il rammarico di aver dilapidato uno stato di forma ancora invidiabile.
A differenza delle grandi star nella storia del Gioco infatti, ultimi proprio Kobe Bryant e Tim Duncan ma lo stesso MJ ai tempi dei Wizards poteva definirsi un giocatore ben lontano dalla sua miglior versione, il LeBron 2021-22 ha dimostrato di poter essere ancora uno dei migliori se non il migliore in circolazione, e sprecare l'opportunità di vincere ancora o anche solo di competere per farlo per assumere un ruolo centrale nella costruzione – errata e sconsiderata – della squadra, non fa che aumentare i rimpianti e sollevare l'annosa questione di quanto il Re sia figura ingombrante e fin troppo invadente nelle scelte dirigenziali e di mercato delle sue squadre. Se il futuro dirà ancora Lakers (e anche su questo teniamo aperti la porticina seppur clamorosa del ritorno ai Cleveland Cavaliers) una cosa è certa: LeBron deve essere giocatore a 360 gradi e fidarsi della dirigenza. Voler scegliere coach, stelle e rincalzi è stato troppe volte il suo limite più grande.