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Il dominio totale di Giannis Antetokounmpo nei Playoffs NBA

Modificando progressivamente il suo gioco nel corso dei Playoffs, il due volte MVP della lega è riuscito a “sbloccare” la sua versione definitiva e probabilmente più potente mai vista. Sfruttando al meglio corpo e atletismo e rinunciando all’ossessiva ricerca del tiro da fuori, Giannis è diventato il più dominante giocatore della lega.
A cura di Luca Mazzella
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Sono serviti anni di lavoro, di sacrifici, di delusioni e anche di brusche cadute, ma nelle Finals tra Bucks e Suns attualmente sul 2-1 per Chris Paul e compagni sembra che tutti, ma davvero tutti, stiano finalmente riconoscendo il livello assoluto di Giannis Antetokounmpo. Parlare in questi termini del due volte MVP, dell'MVP dell'All-Star Game di quest'anno, di un 5 volte All-Star, 3 volte primo-quintetto NBA, Defensive Player of the Year 2019, sembra quasi grottesco, eppure la strada che Giannis ha dovuto e sta tutt'ora percorrendo per scalzare i vari LeBron James, Kevin Durant, James Harden, Steph Curry nella lista dei giocatori non solo migliori, ma anche più amati della lega è stata spesso tortuosa e accompagna da critiche feroci e ingrate.

L'oggetto del contendere, quando si parla del greco, è sempre lo stesso: il tiro. E guardando le percentuali dall'arco (28.7% in carriera) o dalla lunetta (71.7%) le sue difficoltà in questo specifico fondamentale emergono oltre ogni evidenza. Eppure, nonostante un modo di sfruttare le sue lunghe leve, il suo atletismo e la sua coordinazione fuori dal comune in modi a dir poco anticonvenzionali (in principio fu Jason Kidd, coach prima di Budenholzer, a vedere in lui la point-guard del futuro, sulla scia dell'ossessiva ricerca del nuovo LeBron James), i Playoffs 2021 assomigliano tanto alla definitiva presa di coscienza della reale dimensione di Antetokounmpo, sia nella sua totale consapevolezza di limiti e pregi, sia nella collettiva accettazione di avere davanti un giocatore per il quale l'uso dell'aggettivo "irrisolvibile" non sembra più così campato in aria.

Dopo le prime gare giocate con i Brooklyn Nets alla ricerca, immotivata, della conclusione da fuori (soluzione lasciata pressoché libera da ogni difesa avversaria), il 34 ha cambiato registro, e senza che fosse Mike Budenholzer a decriptare nel modo più funzionale possibile l'arsenale a sua disposizione, ha iniziato a limitare le triple, avvicinarsi progressivamente a canestro, sfruttare le braccia chilometriche per catturare o provare a catturare ogni singolo rimbalzo offensivo, giocare in post-basso e, naturalmente, diventare non più il palleggiatore ma il bloccante nel "pick and roll", tagliando verso il ferro e riuscendo abilmente a trasformare in punti comodi la ricezione di potenza e dinamica dopo il passaggio. Perché se ne facciamo realmente una questione di potenza è evidente che siamo davanti a un simil-Shaquille O'Neal, di stazza diversa e con un bel numero di chili in meno, ma capace di controllare il corpo allo stesso modo e entrato finalmente nella piena padronanza dei suoi mezzi fisici. Senza più l'assillo di dover diventare il "giocatore totale", capace di giocare in 5 ruoli, bravo sia spalle che faccia a canestro. Semplicemente restando Giannis, e lavorando sul diventare la versione più potente di se stesso per poi sprigionare tutto nel più devastante dei modi nelle Finals.

Quelle nelle quali, pur essendo sotto 2-1, ha messo assieme due partite consecutive da 40 punti e 10 rimbalzi, e che nemmeno avrebbe dovuto giocare considerata l'iperestensione al ginocchio di due settimane fa, con una torsione innaturale che aveva fatto temere il peggio. Dallo spettro di vedere la sua Milwaukee priva di lui sul più bello, a diventare un enigma impossibile da risolvere per la difesa di Phoenix. Di gara in gara, fino all'ultima in cui su 41 punti totali, Giannis è riuscito a metterne 28 nel solo pitturato salendo in totale a 30/38 "in the paint" nelle tre gare giocate, con un 78.9% che rappresenta ad oggi la miglior percentuale negli ultimi 30 anni di realizzazione nei pressi del ferro alle Finals, era-Shaq compresa quindi.

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Una volta capito, lui e i compagni, dove e come acquisire vantaggio contro la difesa dei Suns (in questo caso strettamente dipendente da DeAndre Ayton, non a caso in panchina con falli nel terzo quarto che ha deciso l'ultima sfida), Antetokounmpo non si è più fermato, cercando soluzioni ravvicinate e rinunciando alle conclusioni da mid-range e perimetro che tanto fanno felici i suoi avversari. Una tendenza come detto iniziata già nel primo turno, ma che sembra finalmente aver trovato la sua definitiva via. Rendendo il due volte MVP quella macchina instoppabile che solo un errato utilizzo e una sanguinosa impostazione da esterno stavano rischiando di non farci vedere mai al meglio del suo potenziale.

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