I Golden State Warriors sono campioni NBA 2022: è il trionfo di Steph Curry
Ora si che sono nella leggenda. Quarto titolo in otto anni, sei Finals disputate, un'impronta indelebile nella storia del Gioco. Con il 103-90 a domicilio in casa dei Celtics, i Golden State Warriors chiudono la serie di Finale 4-2 e sono ufficialmente Campioni NBA. Miglior giocatore, nemmeno a dirlo, Steph Curry, che segna 34 punti con 6 triple e si porta a casa anche il premio di MVP delle Finals, il primo di una carriera memorabile. Decisivi anche i contributi di Draymond Green, che flirta con la tripla doppia (12 punti, 12 rimbalzi, 8 assist, 2 palle recuperate e 2 stoppate) e Andrew Wiggins (18 punti, 6 rimbalzi e 5 assist) in un successo che tolto il primo parziale Celtics (14-2 in apertura di primo quarto) e la rimonta di puro orgoglio tra finire del terzo periodo e inizio dell'ultimo, la squadra di Steve Kerr – al nono anello della carriera tra giocatore e coach – ha pienamente meritato con una prova di autorevolezza su un parquet per nulla facile. Per i Celtics non è però una bocciatura: la crescita da gennaio in poi della squadra di Udoka merita comunque applausi e tutti gli errori di inesperienza emersi durante queste Finals saranno corretti nei prossimi mesi. Per Jaylen Brown e Jayson Tatum il tempo sarà galantuomo e la sconfitta maturata stanotte sarà carburante nelle motivazioni di un gruppo giovane ed egregiamente allenato di cui abbiamo solo visto la superficie finora.
Una partita di parziali
Come detto Boston era partita come meglio non si poteva: 14-2 dopo poco più di 4 minuti con Brown e Tatum ispiratissimi. Il primo canestro "di flusso" di Golden State arriva da Wiggins con una tripla, seguito poi dal jumpero di Klay Thompson per il 14-7. I Celtics in attacco sono molto precisi e muovono bene la palla, arrivando al ferro senza grossi problemi. Una piacevole sensazione per la squadra di Udoka che tuttavia dura pochissimo. Arrivano tre triple di fila di Draymond Green, Steh Curry e Jordan Poole, che recuperano lo svantaggio e portano addirittura i Warriors in vantaggio a fine primo quarto. Il contro-break di risposta di Golden State al 14-2 iniziale è di 35-8, con in mezzo un mortificante 21-0 per il 37-22 che dà la prima grande spallata al match e ridimensiona l'entusiasmo dei tifosi presenti al TD Garden, che intuiscono che tipo di serata sarà. Dal time-out di Udoka Boston esce reagendo di puro orgoglio con un 7-0 chiuso da una schiacciata di Robert Williams III, ma è una reazione isolata che capitola davanti alla tripla di Andrew Wiggins a cui fa compagnia l'ennesimo tiro pesante di Curry che portano sul 51-33 la squadra di Kerr, che per lunghi tratti del secondo quarto gioca forse la sua miglior pallacanestro di stagione. Al punto che il 54-39 con cui si chiude il primo tempo sembra quasi un affare per i Celtics per quanto subito. Nel terzo quarto arriva la reazione di Boston in apertura, guidata da Al Horford, ma Golden State ha tutte le armi per rispondere: due triple di Otto Porter, altra tripla di un Green in serata di grazia in attacco, e per finire canestro da distanza siderale di Curry che regala l'istantanea della partita, mostrando la mano a cui mettere l'anello a fine gara.
Proprio assistere al trionfo anticipato del più temibile avversario sembra risvegliare però tutto d'un colpo l'orgoglio di Boston. Parte una furiosa rimonta con un parziale di 16-4 per chiudere il quarto che lima lo svantaggio a 10 punti e che a inizio ultimo periodo arriva anche in singola cifra. Ci pensa allora ancora il numero 30, supportato da Green e Wiggins, a mandare i titoli di coda sul match. Golden State festeggia il suo quarto anello in 8 anni, il più inaspettato visto il fallimento delle ultime due stagioni e le tante incognite che accompagnavano la squadra a inizio stagione: il recupero di Thompson, l'inesperienza di Poole, la ricerca della giusta dimensione di Wiggins, la carenza di centimetri sotto canestro, l'età di Curry reduce da due travagliate annate in termini di infortuni.
Tutto spazzato via, tutto dimenticato. L'anello è a dir poco meritato, in un trionfo che pur mettendo Steph in copertina andrebbe esteso a tutti i protagonisti di questa cavalcata, dal regista della più divertente macchina offensiva mai vista Steve Kerr al rinato Wiggins, fino alla sorpresa Poole e a quel Gary Payton II che un anno fa chiedeva di unirsi alla franchigia come coordinatore video, e che oggi è diventato un membro fondamentale del roster in difesa. Ci sarebbero da nominare davvero tutti, da Klay Thompson fuori 3 anni per il doppio gravissimo infortunio e protagonista delle Finals a Draymond Green tanto bistrattato nei primi episodi della serie quanto osannato nel suo essere indispensabile da gara 4 in poi, passando per Kevon Looney, Otto Porter, Jonathan Kuminga: tutti hanno messo il loro mattoncino, tutti si sono dimostrati utili e indispensabili al progetto. Che ora dovrà essere mantenuto a certi livelli in una off-season che per ragioni salariali (vedi estensione di Poole e gli oltre 300 milioni attualmente pagati tra stipendi e tasse) si preannuncia molto complessa. Quando però una franchigia è così culturalmente attrezzata a costruirsi in casa le proprie fortune, anche eventuali cessioni si superano senza grossi problemi. Non dimentichiamoci che questo roster, dopo aver vinto con Kevin Durant, è stato in grado di tornare sul tetto del mondo anche senza l'attuale ala dei Nets. Motivo in più per osannare mentalità e progettazione di una squadra che è già nella storia del Gioco. Per fare i conti però c'è tempo, ora è solo tempo di congratularsi coi nuovi campioni NBA, i Golden State Warriors.