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I Brooklyn Nets sono in crisi: le assenze pesano, ma per Nash ci sono altri motivi di preoccupazione

Sconfitte in serie, infortuni continui e impossibilità di vedere i Big 3 all’opera: quanto c’è di vero nella “crisi” della squadra di Nash?
A cura di Luca Mazzella
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Sei sconfitte consecutive, l'ultima a dir poco umiliante contro i Sacramento Kings stabilmente nei bassifondi della Western Conference e tornati ai livelli "abituali" di mediocrità dopo qualche lampo incoraggiante di inizio stagione. Sconfitte arrivate dal 23 gennaio a ieri notte, inciampando contro Timberwolves, Lakers, Nuggets, Warriors, Suns e appunto Kings: tante squadre di ottimo livello fatta eccezione per gli ultimi avversari, ma che non dovrebbero fare paura se ti chiami Brooklyn e puoi vantare a roster un giocatore come James Harden e, almeno per le gare in trasferta (4 di queste 6), Kyrie Irving. Il difficile momento che la squadra di Nash sta attraversando – solo 3 vittorie nelle ultime 10 e 5 nelle ultime 15 gare disputate – pur al netto dell'assenza determinante del miglior giocatore della squadra e miglior marcatore della lega Kevin Durant, inizia ora a diventare davvero preoccupante per una franchigia ormai alla seconda stagione partita coi favori dei pronostici sulla carta ma che tra infortuni, vicenda Irving e pressione sempre più asfissiante nei confronti delle star e del coach sta vivendo una pericolosa fase di involuzione. Quanto c'è da allarmarsi però?

Prima regola: mai fidarsi della regular season

Una premessa importantissima va fatta: la regular season NBA da ormai qualche anno e con la complicità di un calendario sempre più fitto dettato dal covid-19 nelle ultime 2 stagioni, va presa assolutamente con le pinze. La stragrande maggioranza delle squadre vive vittorie e sconfitte senza particolari esaltazioni e drammi e fin tanto che l'obiettivo Playoffs resta alla portata, parlare di crisi ha poco senso. Russell Westbrook, in uno slancio di eccessivo ottimismo, qualche giorno fa usava in maniera decisa l'estintore contro le critiche rivolte ai modesti Lakers di quest'anno, ricordando a tutti come in post-season si azzerino i record e si riparta – con l'aggiunta del fattore campo per chi ha chiuso la stagione regolare nella miglior posizione – dallo 0-0. Una visione fin troppo superficiale ma che nella sua follia non dista molto dalla sostanza: immaginare le 82 partite iper ravvicinate come indice di forza o debolezza di una squadra è a dir poco approssimativo e per delle corazzate che rispettano i pronostici, Phoenix Suns e Golden State Warriors su tutte, esistono i campioni NBA dei Bucks partiti a rilento e poi risaliti senza fare dei primi due mesi un dramma, o squadre come Grizzlies o Cavs che pur nelle loro rispettabilissime ambizioni non sono esattamente le contender che a maggio si giocheranno l'accesso alle Finals NBA. Tutto questo per dire che ogni sentenza lanciata ad inizio febbraio rischia di essere clamorosamente superata nel giro di poche settimane o mesi, con l'approssimarsi della fase calda della stagione.

Chi ha mai visto i Big 3 assieme?

Quando si parla di calendario ristretto e di covid-19, una considerazione diventa anche scontata: chi ha meno infortuni e meno positivi, resta in alto. E bollare i Nets semplicemente come squadra in crisi senza considerare come il roster sia nato e costruito attorno a 3 stelle che attualmente hanno giocato, delle 51 gare totali, rispettivamente 10 (Irving), 36 (Durant) e 44 (Harden, con la prima metà di queste a recuperare dall'infortunio che dal finale della scorsa stagione lo assillava), sarebbe un errore. Trascinati da Kevin Durant a inizio anno, sostenuti da James Harden dopo il rodaggio iniziale, e rafforzati dalla comunque contraddittoria decisione di riammettere a roster Kyrie Irving per le sole gare in trasferta non potendo giocare quelle nello Stato di New York, ma senza mai avere i 3 a disposizione se non in DUE occasioni quest'anno e 16 dalla trade con i Rockets di poco più di un anno fa.

Un campione davvero ridotto e che non consente di tirare in maniera definitiva le somme, se si considera che in una delle ultime (o delle prime se preferite) apparizioni dei 3, il 12 gennaio a Chicago, il 138-112 con cui Brooklyn fu in grado di sbarazzarsi di una delle migliori squadre NBA e di una delle difese più difficili da affrontare diede un segnale sufficientemente netto a tutta la lega del loro valore. La squadra non ha evidentemente un piano B rispetto alla presenza dei 3 assieme e gli ottimi risultati raggiunti anche con 2/3 del terzetto in campo sono stati a lungo soddisfacenti e preoccupanti per le avversarie, consapevoli che prima o poi si sarebbe aggiunto alla ciurma anche Irving. Un giocatore di cui si parla poco tecnicamente e molto per i tanti passi falsi off the court, ma essenziale sia per le spaziature che per la dimensione perimetrale di questa squadra, consentendo inoltre ad Harden di tornare al ruolo di point-guard a tutto tondo che tanto gli si addice. Si aggiunga che nelle 51 partite totali disputate finora anche lo specialista da 3 del team, Joe Harris, ha giocato solo 14 volte, e si intuisce quanto di fatto i Nets commentati e criticati sinora siano in realtà una squadra diversa da quella immaginata sulla carta dalla dirigenza.

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I casi Harden e Irving

Inutile girarci attorno però: se le sconfitte vanno in un certo senso pesate per le varie attenuanti in gioco, due casi spinosi si profilano all'orizzonte e hanno un collegamento diretto con le chance di successo di Brooklyn: sia Kyrie Irving che James Harden a fine stagione potranno scegliere se firmare per un ulteriore anno esercitando l'opzione presente nel contratto (per 36 e 47 milioni rispettivamente), o uscire dall'accordo per trovarne uno più lungo con altre squadre. Nel caso della point-guard campione NBA coi Cavs in realtà, tutta la polemica legata alla mancata vaccinazione sembra aver già convinto la franchigia a rinunciare a ogni estensione contrattuale lasciando in ogni caso libero il giocatore in caso anche di esercizio dell'opzione. Più complessa è la situazione legata ad Harden invece: arrivato in città per vincere l'anello il suo infortunio ha dato una prima spallata alle ambizioni di titolo del team un anno fa, e in qualche modo ne sta condizionando l'andamento anche in questa stagione. Il risultato sono partite pessime come quella di ieri notte, ma anche preoccupanti rumors sulla sua voglia di misurarsi in altre realtà e cercare strade diverse per mettere il tanto desiderato anello al dito. Nelle interviste, il mancino appare ancora molto sereno, ma se è vero che vincere aiuta a superare tutto, sconfitte pur da prendere con cautela come le ultime non contribuiscono a creare un clima sereno per discutere delle prospettive a lungo termine della franchigia. Che nel frattempo vive nella bolla costante dei media che vedono in loro la conclamata favorita e che non esitano a sollevare polemiche dopo ogni passo falso.

La patata bollente, per finire, è nelle mani di un coach appena al secondo anno di esperienza come Steve Nash, che senza il supporto del veterano oggi ai Pelicans Mike D'Antoni, suo mentore e uomo di esperienza del coaching staff lo scorso anno, si ritrova a dover gestire una situazione a dir poco complessa. Auguri a lui, ma prima di dare i Nets per finiti… attendiamo di vederli assieme ai Playoffs.

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