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I Boston Celtics sono fermi nella terra di mezzo in NBA

Il progetto tecnico dei Boston Celtics continua a vivere di clamorosi alti e bassi. Scelte avventate sul mercato, sfortuna e una snervante attesa di una mossa decisiva che ormai viene percepita dallo stesso roster come una scusante. Il prossimo anno è sempre quello buono, ma per quanto varrà ancora?
A cura di Luca Mazzella
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"I Celtics sono pronti a prendersi la Eastern Conference".

Una frase che qualsiasi appassionato NBA, negli ultimi anni, ha sentito e risentito decine di volte. Il problema è che mentre la squadra del Massachusetts veniva indicata da molti come futura padrona dell'Est, i progetti dei Bucks, degli Heat, dei Raptors e infine dei Brooklyn Nets in poche ma significative mosse sono riusciti a prendersi il palcoscenico lasciando finora i ragazzi di Brad Stevens con la sensazione di essere sì forti, ma sempre in cerca dell'ultimo tassello necessario per vincere. La storia recente dice esattamente questo.

Stagione 2017-18: guidati dal rookie Jayson Tatum, forti dell'esplosione di Terry Rozier e aggrappati alla leadership di Al Horford, i Boston riesce ad arrivare fino a gara 7 della Eastern Conference Final contro i Cleveland Cavaliers della versione forse più dominante di LeBron. La sconfitta, a detta di molti, è comunque l'inizio di una dinastia che porterà grosse soddisfazioni negli anni. Il tempo di recuperare il grosso colpo di mercato, quel Gordon Hayward arrivato come pedina mancante del team e infortunatosi alla prima partita di stagione regolare, e la squadra sarà pronta a decollare.

Stagione 2018-19: Gordon Hayward è recuperato ma solo nominalmente. L'ex Jazz fatica a ritrovare lo smalto di un tempo. Nel frattempo la convivenza tra Kyrie Irving, stella della squadra, e i due astri nascenti Jayson Tatum e Jaylen Brown diventa complessa. E dopo aver giurato fedeltà eterna alla squadra, è l'ex compagno di LeBron James a salutare il team per approdare ai Brooklyn Nets. L'uscita per 4-1 in semifinale di Conference rappresenta un passo indietro e il fallimento della scelta di puntare su Kyrie. A fine stagione, anche Al Horford saluta firmando un accordo coi Philadelphia 76ers.

Stagione 2019-20: Kemba Walker è il nome importante che arriva per non far rimpiangere Kyrie Irving. Dopo quanto fatto vedere agli Hornets e pur essendo un giocatore di livello inferiore alla point-guard attualmente ai Nets, il suo profilo sembra andare esattamente nella direzione più complementare a quella degli altri esterni di talento in squadra. Non un accentratore come Kyrie, ma un giocatore predisposto a giocare coi compagni, con i quali scatta da subito il feeling giusto. Ma anche in questo caso il progetto tecnico non decolla. Il resto lo fanno problemi fisici che più o meno ciclicamente si ripropongono, la carenza di un vero e proprio lungo non essendo stato rimpiazzato Al Horford e una crescita ancora intermittente del designato franchise-player Jayson Tatum. Ancora una volta la squadra arriva all'appuntamento che precede le Finals, ma 6 partite sono sufficienti ai Miami Heat ad avere la meglio. Il sipario cala nel peggiore dei modi ma è in offseason che arrivano le peggiori notizie. Dopo un lungo tira e molla non arriva l'accordo per l'estensione con Gordon Hayward, che prima firma poi viene scambiato con gli Charlotte Hornets. Dalla free-agency le "toppe" rispondono al nome di Jeff Teague e Tristan Thompson, ma il GM Danny Ainge conserva in dote quella che viene definita trade exception, da utilizzare entro 12 mesi dalla cessione di Hayward. Avendo ricevuto in cambio dalla franchigia di MJ "solo" due scelte senza che fossero pareggiati i salari (condizione indispensabile se entrambe le squadre sono al limite della capienza del monte salari, ma non necessaria se una delle due può assorbire un contratto senza superare le soglie stabilite per gli ingaggi), per Boston arriva un "gruzzolo" di 28.5 milioni da utilizzare come vero e proprio asset sul mercato. É evidentemente questa la chiave per rendere la squadra definitivamente competitiva.

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Il presente non sorride… ancora

Arriviamo al presente. Dopo poco meno di 40 partite di stagione regolare Boston galleggia e di poco oltre il 50% di vittorie, ha l'11esimo offensive rating NBA e il 21esimo defensive rating. Una squadra con gravi problemi nella propria metà campo che, contemporaneamente, non brilla in quella offensiva. Colpa delle defezioni, viene da dire. Kemba Walker ha saltato 1/3 delle partite a disposizione, Jayson Tatum ha avuto il covid-19, Marcus Smart si infortuna al polpaccio e da fine gennaio a circa una settimana fa non è arruolabile. Il problema è più profondo di questo però. Boston è evidentemente ferma in un limbo dove il mercato (leggasi appunto trade exception e nomi ciclicamente associati alla squadra: Harris Barnes, Andre Drummond, LaMarcus Aldridge, Buddy Hield e tanti altri), lo stato di salute di Kemba, il terzo max-player che non risponde alle aspettative (per colpe non sue, è vero, ma sinistramente simile di Kyrie Irving e Gordon Hayward),  l'evidente assenza di alternative sotto le plance con giocatori molto simili tra loro come Daniel Theis, Tristan Thompson e Robert "Time Lord" Williams, concorrono tutti assieme come fattori capaci di disinnescare il pur grosso potenziale offerto dalla coppia Tatum-Brown. A questo si aggiunge la totale impalpabilità di Jeff Teague, ormai lontano parente da anni del giocatore ammirato agli Hawks qualche anno fa, la riluttanza di coach Stevens a giocare con 4 esterni e un unico lungo (l'assetto sognato e mai realmente assaporato al meglio con Kemba-Brown-Hayward-Tatum) e il gioco è fatto. Questa Boston non riesce a dare una reale svolta a quanto intrapreso nel 2017-18. Ma mentre da allora i giovani al tempo designati sono effettivamente cresciuti e Smart si è consacrato come vero leader del gruppo, è stato tutto il contorno a peggiorare gradualmente senza mai toccare nel complesso il livello della squadra che portò LeBron James a sudare 7 camicie prima di trionfare.

Da quella edizione dei Celtics, che godeva della difesa, dell'esperienza e delle innate capacità di playmaking di Al Horford (per le cui mani passava praticamente ogni azione offensiva della squadra) si è passati a essere una delle squadre che meno si passa la palla in NBA, (27esimi per media di assist a partita) e proprio nella fluidità di un gioco in cui troppo spesso si ricorre ad isolamenti (settimi nella lega) è da ricercarsi l'ennesimo fattore "tossico" di una reale incapacità di scalare l'ultimo gradino. Questo, ovviamente, ogni oltre dichiarazione dello stesso Ainge che continua a prendersi le colpe per un mercato di fatto inesistente, una pessima gestione della free-agency in entrata e in uscita e un roster non all'altezza delle altre contender consegnato nelle mani di Stevens.

Futuro: mercato o perenne attesa

Boston si trova, ancora una volta, al bivio dinanzi al quale si è già trovata ogni anno nelle ultime 3 stagioni: intervenire sul mercato sfruttando gli asset a disposizione (ieri le scelte, oggi la trade exception), non dilapidare l'ennesimo patrimonio tecnico e economico non valorizzato a dovere come Kemba Walker (tenendo allo stesso tempo un occhio aperto per eventuali offerte) e capire anche in che misura può essere davvero Brad Stevens il coach che può portare questo gruppo alla vittoria. Se da un lato però il coach sembra ancora ben saldo al suo posto, per Kemba Walker le voci di trade sono ormai incontrollabili, a maggior ragione considerando la totale mancanza di continuità dell'ex Hornets, tutt'oggi fondamentale nelle vittorie (in cui segna più di 22 punti a partita con il 45% da tre e guida il team in box plus-minus, davanti a Tatum e a Brown) e decisivo nelle sconfitte (dove crolla al 27% dall'arco e a -9.1 di box plus-minus). Nel frattempo, i tanti lunghi di cui si discute in prospettiva trade denotano un occhio vigile anche sul fronte big-men e le varie rassicurazioni che il front-office ciclicamente offre non bastano a definire come tranquilla una situazione che a volte sembra sull'orlo dell'implosione.

Boston, in poche parole, attende la giusta occasione per espiare i suoi peccati e rimediare di nuovo ai tanti errori fatti, per rinascere e innovarsi. Mettendo a dura prova, nel frattempo, la pazienza dei tifosi e lasciando sufficiente margine alle rivali, Nets e Sixers su tutte, di indovinare in poche mosse i giusti asset, a roster o al front-office (vedi Morey per Philadelphia), per avvicinarsi a un anello che solo formalmente è stato vicino nelle due finali di Conference raggiunte nel giro di 3 anni, ma che in sostanza è ancora troppo lontano.

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