I 76ers di nuovo eliminati: come portare “The Process” a vincere il titolo NBA?
Ci risiamo. La città dell'amore fraterno ribolle ancora una volta di rabbia e amarezza dopo l‘ennesima eliminazione dei Philadelphia76ers nei Playoffs NBA. L'ultima di una lunga serie, perché a ripercorrere tutte le tappe degli ultimi anni e ogni singola mossa finalizzata a costruire l'ossatura per arrivare al tanto desiderato titolo NBA, vengono i brividi. Partiamo dalla fine però: ieri notte si è giocata gara 6 della semifinale di Eastern Conference tra Philadelphia 76ers e Miami Heat. Il punteggio era sul 3-2 per la squadra di Eric Spoelstra e Phila aveva la chance davanti al proprio pubblico di impattare la serie e giocarsi tutto nella gara 7 in Florida.
Joel Embiid, che aveva miracolosamente portato in parità la serie dopo le prime 2 vittorie di Miami arrivate in sua assenza, ha giocato ancora una volta con una particolare maschera facciale per le conseguenze di una frattura orbitale riportata nel primo turno contro Toronto. In più, il centro camerunese portava con sé un problema serio al legamento del pollice destro, proprio nella mano con cui tira. Nonostante tutto ciò il desiderio di competere e provare l'impresa era prevalso e tra mille difficoltà il secondo giocatore della graduatoria MVP di quest'anno era in campo per trascinare i suoi alla finale di Conference già sfuggita sul più bello un anno fa. Il suo impegno, tuttavia, non è bastato: con un Jimmy Butler in versione MVP Miami si è imposta per 99-90 e ora attende la vincente di Bucks-Celtics.
Per Philadelphia, invece, è ora di leccarsi le ferite…di nuovo, proprio come un anno fa. E di fare i conti con un fallimento che ha radici lontane.
A metterci la faccia in conferenza stampa è ovviamente Embiid, la cui ultima apparizione dopo un'eliminazione è datata 20 giugno 2021. Era finita da poco gara 7 della semifinale di Eastern Conference, persa in casa contro gli Atlanta Hawks, e con un Ben Simmons impalpabile il numero 21 senza mezzi termini puntò il dito contro il compagno: "Ho capito che non ce l’avremmo fatta quando Simmons ha rinunciato a 2 punti facili (anziché tirare preferì lo scarico pur non avendo opposizione al ferro, ndr) e dall’altra parte Trae Young ha segnato da tre punti. ho sbagliato anche io perdendo una palla poco dopo, ma la svolta in negativo per noi è stata in quel momento lì. Pensavo fosse il nostro anno, ma non è andata bene. Ci riproveremo l’anno prossimo con gli stessi giocatori? Non lo so…"
Affermazioni di pura delusione dalle quali partirà poi tutta la querelle Ben Simmons, scaricato anche dal coach Doc Rivers e mai più rivisto in campo con la canotta di Philadelphia. Che si trova costretta a scambiarlo con un altro scontento di lusso, quel James Harden accolto con gioia e ottimismo da dirigenza e compagni ma ieri nuovo bersaglio, a pochi minuti da un'altra cocente eliminazione, sempre del giocatore simbolo della squadra. "Tutti ci aspettavamo la versione Houston Rockets di James Harden, ma quel giocatore non esiste più. Oggi è più un playmaker", che stona decisamente coi primi commenti a caldo che lo stesso Embiid fece del Barba, con un sorriso stampato in volto dopo la gara di esordio giocata assieme accompagnato da un "Non ho mai giocato in spaziature del genere" per lanciare anche una frecciata a Simmons.
L'anno prima, nel 2020, era invece toccato ai Boston Celtics vestire i panni dei giustizieri, con un sonoro 4-0 rifilato a una squadra che giocò la serie proprio senza Ben Simmons e con un Embiid in pessime condizioni fisiche e condizionato dagli infortuni. Andando ulteriormente a ritroso, la più cocente delle delusioni era arrivata nel 2019, con il tiro di Kawhi Leonard (esattamente 3 anni fa) a danzare sul ferro raffigurando nel suo lunghissimo ballo una sorta di spartiacque della storia recente della franchigia. Che dopo l'eliminazione contro i Raptors che avrebbero poi vinto l'anello si trovò davanti alla scelta di poter rinnovare a certe cifre un solo giocatore tra quel Jimmy Butler per cui si erano sacrificati due gregari di spessore come Dario Saric e Robert Covington, e l'ala Tobias Harris, optando per il secondo giocatore. Un qualcosa che stanotte Jimmy Butler appunto ci ha tenuto a rimarcare a modo suo.
Sono solo alcune delle scelte scellerate di una squadra che per anni ha scelto l'accumulo massivo di talento, con una serie di stagioni perdenti finalizzate a ottenere scelte alte e posizioni privilegiate al draft, sfociate però in una serie di fallimenti tecnici, professionali e umani. La "trade up" per ottenere la scelta dei Celtics e selezionare Markelle Fultz al posto di Jayson Tatum, col primo entrato poi in una spirale di infortuni gravissimi e finito agli Orlando Magic; la scelta di Mikal Bridges scambiato poi per Zaire Smith con i Phoenix Suns, giocatore poi tagliato. La rinuncia a Jimmy Butler, scambiato in sign-and-trade con Miami per Josh Richardson, e l'acquisizione di Al Horford poi ceduto agli Oklahoma City Thunder e oggi decisivo per i Boston Celtics nella serie contro i Milwaukee Bucks. The Process prima ha fatto e disfatto, tutto da solo.
Che strada seguire ora?
Un mix di giovani promesse finite nel dimenticatoio o inopinatamente cedute, improvvise e rischiose mosse di mercato per accelerare il processo di costruzione di un roster vincente scegliendo giocatori pronti al posto di gregari, carriere che anche extra-campo hanno subito repentini crolli – vedi Ben Simmons – e una serie di eventi che per tre stagioni di fila hanno costretto Embiid a giocare la post-season da infortunato, con la complicità quest'anno di un Doc Rivers che ha tenuto il giocatore in campo nella gara 6 abbondantemente finita contro i Raptors, valsa poi sul +30 il contrasto di gioco che ha messo fuori uso il centro. E come se non bastasse, l‘acquisizione disperata di James Harden a febbraio al posto dell'invisibile Simmons, vincente nelle prime settimane e oggi pietra tombale sull'eliminazione contro Miami, dopo una serie giocata a bassa intensità e ben lontano dalla sua miglior versione anche a causa di un problema muscolare che ormai perdura da oltre un anno.
Alle porte, c'è proprio una scelta da fare sul Barba, che eserciterà la player option (da 47 milioni) restando quindi un ultimo anno, ma eleggibile per un'estensione di 250 milioni che lo legherebbe fino ai 37 anni alla squadra di Doc Rivers…per ora. Si, perché anche il coach è giustamente sul banco degli imputati dopo diverse annate in cui a fronte di una grossa compattezza mostrata dai suoi gruppi in situazioni di emergenza hanno fatto da contraltare una sequela di decisioni tattiche – a roster completo – che hanno lasciato a dir poco perplessi, tra assenza di un piano B contro difese pronte a ingolfare l'area contro Embiid e scarso coraggio nello sperimentare nuove soluzioni proprio in assenza del centro.
Un'estate cruciale
L'estate che si prospetta davanti ai Philadelphia 76ers non è che l‘ennesimo crocevia di una franchigia disperatamente alla ricerca della mossa giusta per vincere. Rinnovare Harden e costruire un sistema in grado di completarne la sua attuale versione ovvero quella di un giocatore ancora oggi superstar per letture e conoscenza del gioco, ma lontano in maniera irreversibile dallo scorer ammirato ai Rockets, è la prima decisione da prendere. Provare a scambiare Tobias Harris, 37 e 39 milioni fino al 2024, un obiettivo difficile da conseguire ma necessario. Separarsi da Doc Rivers, di cui ormai l'ambiente pare saturo, l'altro elemento da cui far partire l'ennesima rivoluzione con obiettivo titolo.
The Process è finito da tempo, ma ora a Philadelphia devono dimostrare di saper fare molto più di stagioni perdenti per primeggiare al draft o avventati scambi per andare all-in e puntare all'immediato giocandosi il tutto per tutto. Servirà razionalità, pazienza e idee, tutte doti che non mancano al GM Daryl Morey: partire da Joel Embiid è un vantaggio non da poco, il giovane Tyrese Maxey una perla da blindare affidandogli le chiavi del gioco offensivo della squadra, ma per gettare le basi dei successi servirà indovinare davvero tutto stavolta.