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I 5 candidati per il premio di Coach dell’anno in NBA

Cinque nomi, uno in fuga e quattro diretti inseguitori. La stagione 2020-21 non è ancora giunta al giro di boa ma ci sono già candidati credibilissimi al premio di Coach dell’Anno. Guida Quin Snyder, inseguono Rivers, Popovich, Thibodeau e Borrego. Chi vincerà la statuetta succedendo a Nick Nurse?
A cura di Luca Mazzella
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Giunti quasi al giro di boa della stagione 2020/21 e con l'All-Star Game alle porte (ricordiamo che quest'anno le partite di regolar season, causa calendario ridotto per il covid-19, saranno 72 e non 82 come sempre) scopriamo i candidati all'ambitissimo premio di Migliore Allenatore dell'Anno. Lo scorso anno il COY è stato Nick Nurse, coach dei Toronto Raptors, che è riuscito a mantenere i canadesi ad altissimi livelli nonostante la partenza di Kawhi Leonard. Vediamo insieme i front-runners per il premio:

Quin Snyder – Utah Jazz

Mai come quest'anno il Coach of The Year sembra avere un candidato universalmente riconosciuto come favorito al premio. Si tratta di Quin Snyder, coach degli Utah Jazz, in NBA dal 2010 dove ha ricoperto il ruolo di assistente sia per i 76ers che per i Lakers, prima di un'esperienza europea sempre come vice in quel di Mosca, al CSKA, e del ritorno in NBA con gli Atlanta Hawks, ancora una volta non da head coach. Nel 2014 i Jazz hanno affidato a lui la ricostruzione della franchigia, passata per oculate scelte di mercato e per un progetto dal gioco fortemente identitario e rinomatamente di difficile apprendimento dai giocatori. Non è un caso che le due firme più importanti dell'ultima stagione, Bojan Bogdanovic e Mike Conley, abbiano raggiunto il livello più alto di intesa coi compagni dopo un apprendistato durato più di un anno.

Oggi, con l'ex Pacers e l'ex Grizzlies nel motore, a Salt Lake si gioca il miglior basket della lega. Utah ha il primo record NBA (24-5), viene da 20 vittorie nelle ultime 21 partite, ha il secondo defensive rating, il quarto offensive rating ed è prima per net rating. Una squadra efficiente sulle due metà campo, seconda per percentuale concessa agli avversari dal campo, terza per percentuale dall'arco. Una serie di armi a disposizione di Snyder, che sta mettendo in condizione diversi giocatori di esprimersi come mai fatto in carriera, su tutti Jordan Clarkson (candidato a sesto uomo dell'anno), Mike Conley, Rudy Gobert (non è un'eresia ipotizzarlo come Difensore dell'Anno, di nuovo) e la conclamata star Donovan Mitchell, oltre a diversi specialisti dal perimetro e role-players di sicuro affidamento. Se la squadra dovesse mantenere un livello anche solo vicino a quello avuto finora, il lavoro di Snyder verrebbe senz'altro premiato con il trofeo.

Doc Rivers – Philadelphia 76ers

Per considerare nel migliore dei modi l'impatto di Doc Rivers sulla panchina di Philadelphia si devono necessariamente tirare in ballo due fattori: la salute dell'MVP della squadra e possibile MVP della lega, Joel Embid, finalmente continuo e in ottime condizioni fisiche, e il mercato, che ha privato i 76ers di una enorme contraddizione tattica di nome Al Horford e messo a disposizione dell'ex coach dei Clippers i tiratori finalmente necessari per esaltare il gioco di Ben Simmons e aprire il campo per consentire proprio ad Embid di avere larghe spaziature per giocare uno contro uno fronte a canestro (il suo pull-up jumper sta diventando sempre più il suo movimento) e in post-basso, dove il centro ha pochi eguali in NBA.

Philadelphia attualmente ha il miglior record della Eastern Conference e forse i migliori uomini in ottica potenziale scontro con i Brooklyn Nets, la corazzata per tutti favorita ad arrivare in fondo. La presenza di specialisti difensivi come Ben Simmons, Danny Green e Mathisse Thybulle fa ben sperare contro il terzetto di Steve Nash, col vantaggio di avere poi un lungo immarcabile dal 99% dei pari-ruolo NBA. Non stupitevi di vedere i 76ers almeno in finale di Conference e Doc Rivers premiato come coach dell'anno, soprattutto se Utah dovesse perdere forza sulla distanza.

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Gregg Popovich – San Antonio Spurs

Sesti e a una partita e mezza di distanza dal quarto posto di Portland: per una squadra che da anni dovrebbe rifondare e finire nelle retrovie della Conference non è che l'ennesimo miracolo targato Gregg Popovich. Il coach di Team USA (col quale disputerà le prossime Olimpiadi), pur non avendo delle reali superstar è riuscito comunque a tirare fuori il meglio dal roster giovanissimo a disposizione, sfruttando allo stesso tempo nel migliore dei modi la voglia di rivalsa del veterano DeMar DeRozan (usato in una interessante variante tattica da ala grande in quintetti undersize) e il raggio di tiro di LaMarcus Aldridge, a cui Popovich sta chiedendo di estendere la sua pericolosità sul perimetro così da giocare, praticamente, la stessa pallacanestro che proprio il coach per anni ha ostracizzato, fatta di tiratori e con i lunghi classici in via d'estinzione.

Dopo anni dalla fine della dinastia e i ritiri di Tim Duncan, Manu Ginobili e Tony Parker in tanti ritenevano concluso il ciclo di San Antonio (5 titoli conquistati in totale con Pop) e consideravano la franchigia pronta a stagioni di sconfitte per ottenere scelte alte al draft. Ma fin quando dall'ex agente CIA si riescono a ottenere giocatori come Murray, White o il sorprendente Keldon Johnson, gli Spurs continueranno a competere subito a ridosso delle corazzate.

Tom Thibodeau – New York Knicks

A inizio stagione, a Las Vegas, i Knicks erano visti tra le scommesse di settore come i candidati numero uno al peggior record NBA e si ipotizzava per loro un'annata da 22 vittorie. Con meno di metà regular season giocata, New York è settima nella Eastern Conference ad appena 6 vittorie dalle 22 previste dagli scommettitori e ritenute il massimo ottenibile anche da diversi analisti NBA.

New York è la squadra che concede meno punti agli avversari ogni sera (103.6 di media) e ha il terzo defensive rating di tutta la lega. Il merito è di Tom Thibodeau, che nella Grande Mela sta compiendo un piccolo miracolo: Julius Randle sta giocando a livelli da All-Star (poche sere fa è arrivato il suo career high con 44 punti e 7 triple) e i giovanissimi Immanuel Quickley (rookie) e RJ Barrett (al secondo anno, scelta altissima della franchigia da cui ci si aspettava molto sin da subito) sembrano aver trovato grande sintonia col coach, che ha ricreato un gruppo e una cultura vincente in una franchigia reduce danni e anni di mediocrità. Se a fine anno dovessero realmente arrivare i Playoffs, per Tom Thibodeau vincere il premio di COY non sarebbe così impossibile.

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James Borrego – Charlotte Hornets

Appaiati ai Knicks di Tom Thibodeau troviamo, a mezza gara di distanza, gli Charlotte Hornets dell'ex allievo di Gregg Popovich, James Borrego. Il coach ex assistente agli Spurs e con alle spalle l'esperienza da primo in quel di Orlando, dove nel 2015 ha chiuso subentrando a stagione in corso col record di 10-20, si sta togliendo grosse soddisfazioni con un gruppo giovanissimo capeggiato dall'estro di LaMelo Ball e reso concreto da Gordon Hayward, la grande firma dell'estate, che sta mettendo al servizio dei suoi compagni la sua dimensione sulle due metà campo e sta producendo i migliori numeri in carriera.

Resta da capire se, quando e con che prospettive questa squadra possa ambire ai Playoffs, ma se la post-season dovesse essere centrata la stagione di Charlotte diventerebbe un piccolo capolavoro e Borrego l'artefice principale della rinascita dei calabroni.

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