Gli Utah Jazz sono la squadra più calda dell’NBA
A parlare potrebbe già essere solo il record, il miglior in NBA: 20 vittoria, 5 sconfitte, con una striscia di 16 successi nelle ultime 17 partite. Gli Utah Jazz, alla miglior partenza nella storia della franchigia, non sono più una semplice sorpresa ma molto di più. La partita di stanotte contro i Boston Celtics non è che l'ennesima dimostrazione di solidità di un team che, ritrovati tutti i suoi migliori giocatori dopo l'avventura nella bolla rovinata dalle defezioni di Mike Conley e Bojan Bogdanovic, non deve più nascondersi, e che nel sistema orchestrato dal sempre più favorito al premio di coach dell'anno Quin Snyder sta trovando le migliori risposte per chi, dopo l'eliminazione della scorsa stagione al primo turno, non li ha sufficientemente presi in considerazione al via del campionato.
Le triple
Banalmente il gioco dei Jazz di inizio anno si potrebbe riassumere così: 4 tiratori disposti lungo l'arco e un lungo dalle spiccate caratteristiche difensive che raccoglie una valanga di rimbalzi sulle due metà campo. Più tiratori equivale a più triple, non solo tentate. Utah segna la bellezza di 17.0 tiri da tre a partita (51 punti, per intenderci) su poco più di 42 tentativi in media, con una percentuale del 40% che spaventa una lega che eppure ha già visto coi Warriors degli Splash Brothers un utilizzo così sapiente e letale del tiro dalla distanza. Nelle 25 gare giocate finora, le triple di squadra segnate sono sempre state almeno 10, la seconda miglior partenza di sempre (a 41 ci sono i Rockets 2019-2020, altra squadra che delle triple ha fatto un mantra). Una squadra votata alla metà campo offensiva, quindi? In realtà no, perché i Jazz hanno il quarto miglior dato della lega per efficienza difensiva e sono terzi per punti totali concessi agli avversari. Basti pensare a come la squadra sia stata capace di tenere appena 48 ore fa gli Indiana Pacers a 95 punti, per poi strapazzare la difesa Celtics stanotte segnandone 122. Giganti in attacco, giganti in difesa quando la palla entra meno. E le ultime due vittorie appena citate sono arrivate, peraltro, senza Mike Conley, il miglior giocatore della lega per plus/minus che mai come stavolta meriterebbe una convocazione all'All-Star Game mai arrivata in carriera. Il pregio di Utah però è quello di saper andare oltre i singoli pur essendo ricca di ottimi giocatori dall'elevata produttività. Una collettività che trova certamente nelle statistiche il riscontro più evidente, ma che poi si trasferisce su un campo in cui tutti i giocatori sembrano in simbiosi tra loro, cercandosi ripetutamente e caricandosi l'uno con l'altro dietro la leadership dei veterani Joe Ingles e Mike Conley e dell'astro nascente Donovan Mitchell. Il risultato? 6 uomini in doppia cifra di media, col secondo miglior marcatore addirittura in uscita dalla panchina, ovvero Jordan Clarkson. Conferma cercata con insistenza dalla dirigenza su indicazione di Snyder, che per lui ha ritagliato il perfetto ruolo di sesto uomo che oggi lo vede candidato anche allo speciale premio dedicato a chi in uscita dalla panchina si dimostra più incisivo di tutti.
Il leader: Donovan Mitchell
Come ogni squadra che si rispetti, Utah ha il suo simbolo. La carta di identità dice 7 settembre 1996, il livello di gioco raggiunto ci parla invece di un assoluto veterano. Per la quarta stagione di fila dall'ingresso NBA, Donovan Mitchell sta segnando almeno 20 punti a partita (23.5 quest'anno), mostrandosi pronto anche a giocare all'occorrenza da point-guard, come fatto contro i Celtics nella notte, messi ko da una sua tripla a poco più di un minuto dalla fine. Cambiare ruolo per il prodotto di Louisville non è un problema, lo dicono i numeri delle ultime 4 gare giocate al posto di Mike Conley: 57-30-27-36 punti. A dispetto dell'età e di quanto sostenuto dagli analisti ed ex giocatori, Mitchell si è dimostrato già nei playoffs della scorsa stagione il giocatore capace di elevare il suo livello quando le partite contano di più, senza timore di prendersi più tiri, più responsabilità, più centralità nel gioco della squadra.
I Jazz sono una contender?
Il tranello in cui si rischia di cadere davanti a numeri del genere è sempre lo stesso: Utah è una contender o no? I Jazz oggi hanno tutto per essere considerati una candidata quantomeno a giocarsi le semifinali di Conference (quindi migliori 8 squadre NBA). L'accesso alle finale, a Ovest, passerebbe quasi sicuramente per l'eliminazione di una delle due squadre di Los Angeles, le cui superstar (LeBron e Davis da un lato, Kawhi Leonard e Paul George dall'altro) sembrano essere ancora un passo avanti. Questo però non deve sminuire o sottovalutare il livello di Utah, che come dice Rudy Gobert è quello, attualmente, di squadra candidata a vincere il titolo NBA. Le prossime sfide metteranno sul percorso dei ragazzi di Snyder i Bucks, gli Heat, i Sixers, le due squadre di Los Angeles e gli Hornets. Uscire da queste sfide con un saldo positivo darebbe ulteriore consapevolezza a una franchigia che ha lavorato con intelligenza, anche a costo di risultare impopolare in alcune operazioni come proprio il rinnovo del centro francese (a cifre relativamente alte se consideriamo i pari-ruolo nella lega, ma più che giuste per la sopravvivenza di uno small-market come quello dei Jazz che diversamente non avrebbe trovato un sostituto all'altezza sul mercato), e che ora raccoglie i frutti di una sapiente programmazione.