Gli 81 punti di Kobe Bryant contro i Toronto Raptors, la notte che lo consegna alla storia NBA
Mancano pochi giorni al 26 gennaio, quando ricorderemo Kobe Bryant a un anno dalla sua morte, momento luttuoso che in un certo senso diede il via a un anno poi per tutti terribile. Nella testa di Kobe ci resta quello che sarebbe potuto essere e che ci ha solo fatto intravedere all’inizio della sua nuova vita, ma per fortuna anche quello che è stato. E il primissimo ricordo chiama in causa di nuovo il mese di gennaio, il 22 per la precisione, il 22 gennaio 2006, quando Kobe Bryant scese in campo allo Staples Center contro i Toronto Raptors.
Il Kobe del 2006 era senza ombra di dubbio la cosa più vicina al next-Jordan che si era concretizzata fino ad allora. Aveva vinto un three-peat dal 2000 al 2002 insieme a Shaquille O'Neal con i Los Angeles Lakers, ma in quel momento giocava in una squadra in cui mancava un centro dominante e con troppi giovani ancora poco determinati. Restava un unico grande campione a prendersi l’intera scena.
Quei Lakers zoppicavano e Kobe, nello specifico in quella fase dell’anno era sempre più essenziale se non vitale. Prima della partita contro i Raptors aveva 40 punti di media, poco prima aveva segnato 62 punti contro i Dallas Mavericks e finirà quel mese di gennaio con 43,4 punti di media, secondo nella storia solo dietro Wilt Chamberlain.
Eccolo Wilt, che arriva nella nostra storia. Del centro meraviglioso proprio dei Los Angeles Lakers tra la fine degli anni ’60 e l’inizio dei ’70 si ricordano una marea di record, ma il più incredibile è quello dei 100 punti segnati il 2 marzo 1962 nella partita fra i suoi Philadelphia Warriors contro i New York Knicks. Chi mai avrebbe potuto anche solo avvicinare questo incredibile record?
La partita contro i Toronto Raptors inizia e i Lakers giocano molto male. Charlie Villanueva, ala forte dei Raptors, anni dopo dirà che la tattica di quella sera era controllare forsennatamente gli altri e lasciare con meno pressione Kobe Bryant. Questo perché il 5 dicembre le squadre si erano già affrontate, la difesa collassava continuamente su Kobe, lui ne aveva messi solo 11, ma i Los Angeles Lakers avevano vinto. Tanto valeva fare il contrario e focalizzarsi sugli altri.
Grazie anche a questa tattica, Kobe inizia a segnare, anche se la squadra gioca molto male. La tattica canadese era perfetta: Kobe a fine primo tempo aveva segnato 26 punti, ma i Raptors erano avanti di 14. Allora perché non continuarla, anzi estremizzarla anche nel secondo tempo.
E infatti la partita continuava ad avere lo stesso andazzo, con Bryant che segnava e segnava senza sosta e i Raptors che vanno sopra prima di 16 e poi di 18 punti. A metà terzo quarto però arriva la svolta. Kobe continua a segnare a raffica, senza nemmeno più guardare un compagno su cui scaricare, i Raptors iniziano a soffrire la difesa un po’ più competente dei Lakers e si avvicinano. In 9 minuti, grazie a 27 punti di Kobe, i Lakers passano da -18 a +6.
Con la vittoria più che possibile adesso per la sua squadra, Bryant decide però che quello non è il momento di fermarsi e il quarto quarto deve servire per entrare nella storia. Continuerà a tirare, segnare e soprattutto ad andare ai liberi, perché i Raptors capiscono che stanno anche loro entrando nella storia ma dalla parte sbagliata e lo fermano ogni volta che possono.
Quando la sirena risuona nello Staples Center, il tabellino personale di Bryant dirà: 42 minuti giocati, 28/46 al tiro, 21/33 da due, 7/13 da tre e 18/20 ai liberi. Il risultato finale è 81 punti, la seconda prestazione per punti segnati della storia della NBA. Nel secondo tempo ha segnato 55 punti rispetto ai 39 dei Raptors.
Dopo questa prestazione Kobe Bryant continuerà a mostrare meraviglie, vincerà due titoli ancora con i Lakers nel 2009 e nel 2010 e sarà salutato da tutta l’NBA nel suo anno d’addio al basket giocato. Cercare di capire Kobe da libri, interviste, documentari che riguardano la sua figura ci lascia oggi con una grande amarezza sulla lingua, perché avrebbe davvero detto tanto altro anche fuori dal campo. Non c’è il presente ma di lui ci resta il passato, in cui Kobe ha scritto la sua memoria.