Diamo a John Stockton il posto che merita tra le leggende NBA
La narrativa dei vincenti, questa maledetta abitudine. Negli ultimi anni, in modo preoccupante, si sta ormai facendo strada un modo di raccontare lo sport e i suoi straordinari interpreti partendo da un unico, cinico, filtro per dividere buoni e cattivi. La pallacanestro, pur essendo nella sua purezza e autenticità ancora lontana dagli sport "di massa" (o almeno a noi piace sentir dire così, il discorso è molto complesso), non si è sottratta a questa deriva. E, come lega che più di ogni altra rappresenta la pallacanestro nel mondo, l'NBA è finita con l'essere risucchiata nello stesso, insensato cortocircuito. Decontestualizzare un atleta, estrarlo dal libro dei ricordi senza chiederci con chi giocava, contro chi giocava, in che epoca giocava, che infortuni ha subito, cosa ha sbagliato nelle partite decisive, come è descritto dagli avversari, cercando in modo ossessivo il numeretto accanto alla voce "vittorie", toglie tanto gusto a chi ama raccontare di sport. Ancor di più ne toglie a chi ama leggere di sportivi che sono stati realmente capaci di lasciare un segno pur non essendo finiti nell'Olimpo dei vincenti ma stazionando, in ottima compagnia, nel girone dantesco di chi non ce l'ha fatta.
Ecco, John Stockton è uno di questi. Oggi IL playmaker per eccellenza compie gli anni, e ancora più di un elenco di titoli che per quanto detto finora dovrebbe relegare il giocatore più rappresentativo degli Utah Jazz e uno dei più iconici della storia NBA anche alle spalle di perfetti, ma sconosciuti, vincenti, ci sono una serie di record che collocano Stockton in un universo distante anni luce da tutti i fenomeni del basket moderno. Pur senza anello, che per inciso ha accarezzato salvo capitolare davanti al più forte giocatore dell'epoca (e di ogni) epoca, il cannibale col numero 23 di Chicago.
I record irraggiungibili di Stockton
Ci sono alcuni numeri che anche un non appassionato di NBA conosce. Su tutti, i memorabili 100 punti di Wilt Chamberlain. I veri appassionati ricordano la media punti ai Playoffs di Michael Jordan, le partite consecutive di LeBron James in doppia cifra, le stagioni in tripla-doppia di media di Russell Westbrook e il giocatore che da Westbrook è stato raggiunto e superato in questa speciale statistica, Oscar Robertson. Segnare è la prima cosa che ci viene in mente con una palla tra le mani. Di conseguenza, saper fare canestro è il primo parametro che usiamo per misurare un giocatore. I punti, la media in stagione, in carriera, le prestazioni memorabili. John Stockton, che per inciso di punti in carriera ne avrebbe 19.711, ha saputo elevare a rigorosa arte il secondo fondamentale del basket, il passaggio. Quello che consente ad altre di segnare punti e raggiungere record.
E non è un caso che il destinatario della stragrande maggioranza dei suoi assist sia secondo ogni epoca nella classifica dei marcatori NBA (Karl Malone, con 36.928). Stockton è stato un esempio unico di longevità, intelligenza, capacità di leggere e interpretare il gioco, le squadre avversarie, il suo diretto difensore, gli aiuti sul pick and roll reso marchio di fabbrica. E nelle sue 19 stagioni NBA, tutte rigorosamente in canotta Utah Jazz e 17 delle quali chiuse giocando tutte le partite a disposizione (82, tranne le 50 nell'anno del lockout NBA), ha scavato un solco irraggiungibile coi suoi pari ruolo e con qualsiasi altro giocatore oggi in NBA.
Prendiamo come riferimento Chris Paul, la miglior point-guard "pura" dell'NBA moderna. Una vita a smazzare assist e elevare il livello del suo contorno. Chris Paul ha superato da poco, a 35 anni, la soglia dei 10.000 assist. Sono circa 6000 in meno di John Stockton, che guarda tutti dall'alto dei suoi 15.806 passaggi vincenti. E non solo, perché l'Hall of Famer detiene il record di assist nella singola stagione (1.164), assist di media in stagione (14.5), annate consecutive alla guida della classifica dei migliori assist-men (9). In più, il numero 12 ha saputo lasciare il suo indelebile marchio anche nella metà campo difensiva, con le 3.265 palle rubate che lo distanziano di oltre 1.000 recuperi dal secondo all-time, Jason Kidd. Anche qui, un altro sport. Il tutto tirando con un'efficienza invidiabile (51.5% dal campo in carriera, 38.7% dall'arco).
Raccontare John Stockton cercando il numero di campionati vinti e chiudendo frettolosamente ogni dibattito al cospetto di chi, i suoi anni, li ha praticamente fagocitati, sarebbe un clamoroso errore. I suoi compagni, i suoi avversari, i suoi allenatori, i suoi più grandi rivali hanno negli anni offerto decine e decine di storie per inquadrarne l'etica lavorativa, la cultura vincente, la clamorosa umiltà con la quale lui stesso ha condotto l'avventura in NBA senza mai snaturarsi nonostante la fama. Nessuno degli aneddoti resi riesce comunque ad avvicinarsi minimamente a spiegare il solco che oggi separa ogni singolo playmaker dai suoi devastanti numeri e dal suo modo unico di interpretare un ruolo e mettersi al servizio degli altri, anche al costo di dover irrimediabilmente godere di gloria postuma in coabitazione con il bersaglio preferito dei suoi passaggi. Difatti, chi pensa oggi a John Stockton, pensa ovviamente anche a Karl Malone, chiedendosi in concreto chi abbia maggiormente beneficiato delle doti del compagno nel condurre una carriera da leggenda dello sport. Dubbio più che legittimo che si lascia volentieri al lettore, a patto che si sia d'accordo sul concetto di leggenda. Auguri John.