Dennis Schroder ha cambiato tre squadre di NBA in meno di 24 ore: “Questa è schiavitù moderna”
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Ceduto quattro volte in una stagione, tre delle quali nel giro di 24 ore. È la vicenda surreale, ma lecita sotto il profilo regolamentare, capitata a Dennis Schroder, giocatore di pallacanestro e professionista della NBA. "È come una moderna tratta degli schiavi", ha sbottato il cestista per la frustrazione di una situazione – la trade, ovvero la ‘borsa degli scambi' – che può essere penalizzante a livello sportivo e di carriera oltre che logistico, dovendosi spostare da una Costa all'altra del Paese con tutto quel che comporta a livello finanziario e di ambientamento nella nuova realtà.
Il play tedesco aveva iniziato la stagione con i Brooklyn Nets ma aveva già cambiato casacca nella prima finestra utile. Mercoledì sera faceva ancora parte della rosa ai Golden State Warriors poi s'è ritrovato ceduto ai Miami Heat, che lo hanno girato direttamente agli Utah Jazz, i quali a loro volta lo hanno passato ai Detroit Pistons: un carosello di scambi che s'è formalizzato nel giorno della scadenza (il 6 febbraio) per operazioni di mercato.
La sua vicenda è la prova, tanto grottesca quanto tangibile di come i tesserati della lega statunitense abbiano poco controllo sulla vita sportiva poiché la gestione delle trattative (che non si svolgono secondo i parametri delle transazioni che avvengono nel calcio) è tutto nelle mani dei proprietari delle squadre e dello "sportello clienti" delle franchigie.
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"Anche se hai un contratto – ha ammesso Schroder nell'intervista a NBC Sports – sono gli altri a decidere per te. È vero che percepiamo tanto soldi ma non abbiamo alcuna possibilità di discutere se ci dicono: Domani fai parte più del nostro gruppo, sei stato spedito altrove. È pazzesco che è la società a dirti: Vogliamo che tu sia al servizio della squadra, ma andrai altrove".
Come funziona il sistema dei trasferimenti in NBA
Quanto accaduto a Schroder, però, è un rischio calcolato. E fa parte del gioco. Questo perché il sistema del basket mercato della NBA è molto diverso rispetto al sistema dei trasferimenti sui quali si basa il calcio internazionale. Mentre i giocatori di calcio hanno voce diretta in capitolo (e il loro parere fa la differenza per indirizzare un affare in una determinata direzione) e sono ceduti previo pagamento di somme elevate (dall'ingaggio fino alle commissioni, compresi i costi del cartellino), nel circuito della palla a spicchi a stelle e strisce non ci sono movimenti di denaro per i trasferimenti. Gli stessi giocatori non sono padroni del loro destino e i loro accordi si applicano al campionato e non alle singole squadre.
Cosa vuol dire? Se una squadra ritiene di non doversi più avvalere delle sue prestazioni oppure crede abbia una scelta migliore a disposizione, il giocatore in questione viene scambiato all'interno della lega. Non in maniera selvaggia ma all'interno di un recinto di parametri che, oltre a prevedere specifiche finestre temporali, piazza anche paletti precisi. Uno su tutti, per esempio: il salary cup, ovvero il tetto massimo di spesa fissato per sostenere il monte ingaggi. Se superato, si può incorrere in sanzioni economiche molto onerose previste dalla Luxury Tax. Ecco perché ogni scambio può avvenire solo garantendo equilibrio nei conti: questo perché un giocatore che arriva in un club porta con sé i termini salariali del contratto precedente, che andranno utilizzati per ricalibrare il quadro generale.
La No Trade Clause, privilegio riservato a pochissimi
I giocatori non hanno proprio alcuna possibilità di protezione? Sì, uno stratagemma c'è. È il ricorso alla NTC, la No Trade Clause: una clausola contrattuale che rappresenta una forma di tutela professionale per effetto della quale nessuno scambio può andare a buon fine senza l'assenso esplicito del diretto interessato. Ma si tratta di un privilegio concesso a pochissimi e che comporta due requisiti essenziali: il giocatore deve aver giocato in NBA per almeno 8 stagioni di cui almeno 4 nella stessa squadra; il club deve essere disposto a inserirla.