Damian Lillard ci dimostra a che livello è l’NBA moderna
Il motivetto va avanti da inizio anno, anzi, da più anni. "Dame Lillard e altri 4" potrebbe essere il riassunto dell'esperienza del nativo di Oakland da quando è in NBA. Un magnifico campione che tra sfortuna, compagni spesso non all'altezza, infortuni dei giocatori chiave della squadra e un coach che da più stagioni ormai stenta a dare un assetto difensivo da vera contender ai Portland Trail Blazers, non ha mai raccolto abbastanza dalle sue prodezze. Che continuano, partita dopo partita, ad acuire quel senso di solitudine e di frustrazione nell'essere perfettamente consapevole di non poter lottare al cospetto delle grandi favorite al titolo.
Consapevolezza che però non ha mai spinto Lillard a lamentarsi pubblicamente, chiedere uno scambio o battere i pugni davanti al suo front-office per inseguire quello che nella narrativa moderna di questo sport sembra essere diventato l'unico vero elemento che differenzierebbe una leggenda da uno dei tanti: l'anello di campione NBA. Fedeltà e gratitudine, ripetute ai microfoni, sui social, nelle lettere scritte per la piattaforma americana The Players Tribune, che di tanti giocatori ospita sfoghi e confessioni. Un patrimonio da salvaguardare in una lega dove la ricerca ossessiva del successo ha finito col rendere nulli sforzi lunghi anni, come quello di Dame, rispetto ai tanti super-team che nascono nel giro di pochi mesi.
L'ennesima prestazione storica
La gara di stanotte, una delle tante da inizio stagione in realtà, non è che l'ennesima prestazione da regalare agli annali che porta la firma del numero 0. Sotto di 17 punti contro i non irresistibili New Orleans Pelicans a 6 minuti dalla fine, Dame ha fiutato quello che ormai è stato ribattezzato "Dame-Time", ovvero i minuti finali della partita, per esplodere letteralmente con 18 punti segnati o "assistiti" sui 25 totali della squadra. Tra le triple segnate e i liberi della staffa i 20 punti totali nel quarto lo hanno issato, per la dodicesima volta in carriera, a quota 50 punti, con solo 6 giocatori nella storia NBA capaci di fare meglio (Elgin Baylor e Rick Barry sono a portata di mano, a quota 17 e 14). Ma è in generale nei momenti caldi delle gare che il dominio di Dame ormai è cosa nota in tutta la lega: quando lo scarto tra le due squadre è nel margine di 5 punti e mancano 5 o meno minuti a fine partita, Lillard è il miglior giocatore NBA per distacco. Nelle 22 gare chiuse nel "clutch", appunto, (in cui Portland ha un record di 16-6) Lillard ha segnato 124 punti totali (5.6 a partita), tirando col 61% dal campo, il 55% da tre e un fantascientifico 33/33 dalla lunetta. In tutta la lega, nessuno fa meglio di lui in queste voci statistiche.
I numeri totali da quando è in NBA, dopo stanotte, lo collocano inoltre in un ristrettissimo club con LeBron James, Larry Bird e Oscar Robertson, unici con lui capaci di segnare più di 16.000 punti e aggiungere più di 4.000 assist nelle prime 9 stagioni in carriera. Un elenco di record da far girare la testa, ma che comunque non rendono al meglio l'idea del livello raggiunto prima di tutto nella mente da questo giocatore, ormai da anni bistrattato e penalizzato al cospetto di una lega che mai come in quest'epoca ha visto salire a dismisura il tasso di talento distribuito nelle varie squadre. Basti pensare che Lillard non è partito, per quello che vale, tra i migliori 5 della Western Conference nell'All-Star Game giocato pochi giorni fa. È stato inserito in una sola occasione nel primo quintetto NBA di stagione regolare (2018), per 3 volte nel secondo quintetto e una volta nel terzo. Non è mai stato MVP e, ad oggi, i suoi unici trofei individuali si chiamano Rookie dell'Anno e "Miglior giocatore dei seeding games", con riferimento alle partite giocate nella bolla di Orlando in cui è stato, ancora una volta, superbo.
Lillard è la miglior dimostrazione del livello attuale dell'NBA
Il fatto che un giocatore come Lillard, il cui livello è ormai universalmente riconosciuto da compagni di squadra, avversari, allenatori e addetti ai lavori di ogni tipo, abbia una bacheca così povera di trofei e si trovi nella concretissima possibilità di chiudere la carriera senza mai vincere un trofeo individuale o di squadra, quindi MVP o anello NBA, la dice lunga ed è il manifesto migliore della competitività attuale e di come le super-star attualmente presenti nella lega, tra le quali c'è certamente anche Lillard, riescano addirittura a "tarpare le ali" a un giocatore con un rendimento del genere.
Il roster non all'altezza (e non tanto nei nomi quanto nel livello difensivo richiesto a una contender) e la presenza di giocatori come LeBron James, Steph Curry, Chris Paul e fino a pochi mesi fa James Harden tenendoci nella sola Western Conference, pongono Lillard e le sue leggendarie prestazioni nella paradossale situazione di essere uno dei più eclatanti "snobbati" del mondo del basket. Con la prospettiva di finire ingabbiato, con l'eclissarsi della "sua" generazione (modo di dire considerando come stanno giocando), nell'emergere di quella nuova, con Luka Doncic, Donovan Mitchell e Zion Williamson pronti a raccogliere l'eredità tecnica dei più grandi.
Non sarà un anello a consegnarlo alla storia, ma visto l'infortunio di Embiid e le fatiche dei Nuggets in cui spicca l'altro grande candidato al premio Nikola Jokic, con 1/3 di stagione ancora da giocare potrebbe davvero essere l'MVP la "magra consolazione" per un campione del livello stratosferico di Dame. Che nel frattempo, successo o meno, continuerà a giurare fedeltà alla sua squadra.