Cosa può dare Blake Griffin ai nuovi Brooklyn Nets, in prima fila per l’anello NBA
Nella tarda serata di ieri, poche ore prima dell'inizio dell'All-Star Game, è arrivata la notizia dell'accordo tra Blake Griffin, in uscita dai Detroit Pistons dove il giocatore aveva un ulteriore anno di contratto (oltre a quello per la stagione corrente) salvo pattuire un buy-out rinunciando a 13 dei 75 milioni complessivi ancora da ricevere, e i Brooklyn Nets. La squadra dei Big 3 della Eastern Conference allenata da Steve Nash con l'ausilio di Mike d'Antoni aggiunge quindi, a cifre irrisorie, un lungo di esperienza e che tanto può ancora dare dopo anni di purgatorio in una squadra mediocre e una carriera forse andata al di sotto rispetto alle aspettative dei primissimi anni. Griffin ha firmato un contratto fino al termine di questa stagione per 1.2 milioni di dollari, il minimo per un giocatore del suo status, un regalo considerati i circa 60 milioni di buonuscita ricevuti da Detroit.
I nuovi Brooklyn Nets
Kyrie Irving-Joe Harris-James Harden-Kevin Durant-Blake Griffin. Un quintetto così, forse, non ce l'ha nessun'altra squadra in NBA. Balza subito agli occhi la carenza di specialisti difensivi, ma se il piano di Brooklyn dovesse prevedere il segnare un punto in più degli avversari, il materiale a disposizione è di quelli finissimi. 5 realizzatori, tutti efficaci oltre l'arco (gli ultimi anni di Griffin in questo senso sono quanto di più evoluto si possa chiedere a un giocatore abituato a spazi e range di tiro totalmente diversi nei primi anni di Lob City in quel di Los Angeles), tutti in grado di mettere palla a terra, tutti in grado di "aprire" il campo per consentire a turno un isolamento alla superstar del caso (Irving, Harden e Durant occupano i primi tre posti in NBA per isolamenti a partita).
Allo stesso tempo, l'aggiunta del numero 23 allunga in modo importante le rotazioni, consentendo una gestione diversa dei lunghi o finti lunghi del roster (vedasi Bruce Brown, guardia usata nelle ultime settimane da bloccante e rollante con ottimi e sorprendenti risultati) con una panchina che a questo punto inizia a diventare sufficientemente profonda da rendere i Nets una squadra senza apparenti punti deboli. Gli starters non saranno ovviamente i 5 citati, ma di sicuro l'obiettivo dello staff tecnico sarà quello di terminare le partite con il più ampio numero di giocatori versatili in campo, per consentire rapidi cambi difensivi e per costringere le difese avversarie ad abbassare considerevolmente i quintetti per non soccombere dinanzi al gioco dinamico e di movimento dei 5 "piccoli" (oggi Griffin va quasi considerato tale per caratteristiche tecniche). In più, l'ex di Detroit e Los Angeles ha dimostrato di essere un passatore sopra la media e coinvolgerlo nel pick and roll (di cui la squadra letteralmente abusa viste le abilità dei palleggiatori a disposizione) aprirà soluzioni praticamente infinite nell'attacco Nets, pronto a beneficiare della sua multidimensionalità.
Cosa manca per essere davvero imbattibili?
L'unica reale incognita della squadra di Steve Nash, in questo momento, risiede nella capacità di fronteggiare quella che oggi sembra la minaccia numero 1 della Eastern Conference e, subito dopo, la potenziale rivale alle Finals NBA. I Philadelphia 76ers di Joel Embiid e i Los Angeles Lakers di LeBron, ma soprattutto di Anthony Davis, pongono Brooklyn nell'evidente situazione di intervenire per un'ultima addizione di peso e centimetri a protezione del ferro, non avendo in questo momento un reale rim-protector in grado di arginare i due migliori lunghi NBA (non ce ne voglia l'immenso Nikola Jokic).
Il mercato dei free-agents, che a breve inizierà a sfornare nomi su nomi dopo i tagli dalle rispettive squadre, potrebbe offrire ancora Andre Drummond, puntando molto in alto, o anche Javale McGee, una soluzione comunque diversa rispetto al fidarsi totalmente del mix Griffin, Jordan, Green spalle a canestro, che proprio sicuri non lascia visto lo spessore dei potenziali rivali. Offensivamente Griffin non potrà che rendere ulteriormente pericolosa e ancora più letale nella sua versione super-small (quella che, oggi, consta di Bruce Brown o di Jeff Green nello spot di 5) una squadra che dalla trade per James Harden viaggia pericolosamente verso un'efficienza statistica offensiva mai vista nella storia NBA. Gli infortuni, l'ultima stagione del tutto sconfortante e un'involuzione atletica che sarebbe più corretto definire crollo verticale del lungo appena acquistato incideranno sul suo minutaggio, ma non su conoscenza del gioco, intelligenza e capacità di prendere esattamente quelle soluzioni oggi non previste nella metà campo offensiva di Brooklyn. Un piano forse eccessivamente ottimista che, se messo in pratica, metterebbe la squadra, pur al netto della carenza di centimetri, in primissima fila per vincere l'anello a fine anno.