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Cinque nomi papabili per l’MVP NBA nella stagione 2020/21

Chi segna di più, chi gioca nella squadra migliore, chi ha i numeri complessivi per scrivere un pezzo di storia NBA, chi continua a sorprendere nonostante l’età o un rientro avvenuto dopo 18 mesi lontano dal campo. Questi i 5 nomi dei fenomeni oggi in lotta per l’MVP della stagione NBA 2020/21.
A cura di Luca Mazzella
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Certo, il campione è ancora molto molto basso e di fatto la stagione NBA sta praticamente iniziando in questi giorni per tante squadre, soprattutto per quelle (fatta eccezione per i Lakers che stanno dominando senza pigiare sull'acceleratore) a cui la bolla di Orlando ha chiesto straordinari fisici e mentali. Eppure, con 1/4 o più delle partite giocate, si può già delineare quella che sarà la lista dei nomi dai quali uscirà l'MVP 2020/21. Un premio ancora forse eccessivamente legato al record di squadra e per questo considerato minore da gran parte degli appassionati NBA, interessati alla bagarre sui nomi ma consapevoli, di fatto, di un criterio di selezione che non intende valorizzare il giocatore più forte o più dominante, quanto quello capace di elevare in maniera decisiva il livello della propria squadra. "Valuable", appunto. Un termine che in Italia fatichiamo a tradurre nell'accezione che oltreoceano danno alla parola.

Unendo i criteri convenzionali usati dall'NBA, i numeri impossibili da trascurare di alcuni giocatori e altre condizioni quali l'età, precoce o avanzata, della star in questione, proviamo a indicare i 5 candidati principali a ricevere il premio.

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1) Joel Embiid – Philadelphia 76ers

Per anni Philadelphia, inseguendo un progetto di ricostruzione del roster incentrato sull'accumulo massivo di giovani talento (ergo: perdere per più anni e guadagnarsi le chiamate più alte del draft), ha portato avanti "The Process", come definito dal giocatore in foto, speranzosa di ricavarne una squadra capace di vincere il titolo al culmine della costruzione del team. Per una serie di circostanze, alcune figlie di episodi, altre ostinatamente cercate (la firma di Al Horford su tutte lo scorso anno) così non è stato, e negli scorsi mesi la proprietà ha deciso di dare una scossa sul piano dirigenziale e tecnico rivoluzionando lo staff. Sono arrivati Daryl Morey nel front-office (chi prende le decisioni sul mercato) e Doc Rivers come head-coach. Le differenze si sono viste da subito, con scambi finalizzati a mettere la stella della squadra, Joel Embiid appunto, nelle condizioni ideali per dominare. Il lungo, nel nuovo sistema di tiratori che impensieriscono le difese lasciandogli più spazio a disposizione, sta viaggiando al massimo di punti in carriera (27.7 a partita) tirando con le migliori percentuali dal campo, da tre e ai liberi da quando in NBA. Il tutto con una mole di tiri in linea o addirittura inferiore a quella degli anni passati, segno di una maggiore efficienza e di un basket più maturo. Philadelphia, in tutto questo, ha il miglior record nella Eastern Conference. E se tanto ci dà tanto…

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2) LeBron James – Los Angeles Lakers

Dal miglior record ad Est al miglior record ad Ovest e di tutta l'NBA. Punto a favore per LeBron James, 36 anni, alla stagione numero 18 in carriera. Il Re però ci sta mettendo tanto del suo, viaggiando a 25.2 punti, 7.9 rimbalzi e 7.4 assist (sarebbe la quinta di fila alle medie di 25-7-7), tirando con la miglior percentuale dall'arco in carriera (41% su 6.6 tentativi) e, soprattutto, giocando il minor numero di minuti da quando è in NBA (32.7). In pratica, senza forzare eccessivamente e preservandosi in vista della vera stagione (da marzo in poi), James sta offrendo una delle sue migliori versioni mai viste, aiutato da una squadra che ha aggiunto sapientemente giocatori di rotazione e ulteriori bocche da fuoco, rendendo il sistema al suo servizio ancora più temibile del roster già campione NBA pochi mesi fa. Mentre lo scorso anno, complice il rendimento spaziale di Giannis Antetokounmpo, il premio a LeBron sarebbe sembrato quasi un MVP alla carriera, questa volta di argomenti a suo favore sembrano essercene diversi.

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3) Nikola Jokic – Denver Nuggets

Fino a qualche settimana fa il nome del lungo serbo sarebbe stato mal supportato dal record di squadra ma allo stesso il primo spendibile come MVP di stagione. Dalla bolla di Orlando nel ragazzo sembra essere scattato qualcosa e lo si nota innanzitutto dalla cura di un corpo mai sufficientemente preservato nell'ottica di stagioni lunghe e dispendiose. Ancor più di questo, è l'atteggiamento di Jokic ad essere cambiato in modo evidente. Più leader, più guida per i suoi compagni, più desideroso di vincere le partite. Il rendimento del compagno di prodezze agli scorsi Playoffs Jamal Murray, ancora lontano dalla migliore forma nelle prime settimane, ha motivato e spinto Jokic a giocare la miglior pallacanestro della sua carriera, con numeri in crescita in ogni voce statistica (in questo momento siamo ad appena 0.7 assist dalla tripla doppia di media) ed un ancor più evidente propensione a gestire ritmi e i giochi offensivi della squadra, grazie a una capacità di passare la palla che non ha eguali, nel rapporto tra numeri e stazza, nella storia di questo gioco.

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4) Kevin Durant – Brooklyn Nets

Si può restare ai box per 18 mesi a seguito della rottura del tendine d'Achille e tornare a livelli superiori a quelli di prima? Teoricamente no, ma KD sta superando ogni umana previsione. Chi si attendeva una versione diversa di Durant, fisicamente in recupero e da inquadrare tecnicamente in un contesto nuovo rispetto a quello di Golden State in cui ha giocato nelle ultime 2 stagioni prima del ko, si sbagliava. E non è una semplice questione statistica, che già da sole basterebbero a dar forza alla sua candidatura, quanto di leadership e freschezza sui due lati del campo. Il pericolo, vero, è che il numero 7 si faccia prendere dalla voglia di strafare e spingere troppo in una fase di stagione in cui non è importante accelerare quanto dosare le forze per le partite vere: il punto è che KD sembra intenzionato a vincere non solo il titolo NBA, ma anche quello di Most Valuable Player, anche per la valenza simbolica che un premio del genere avrebbe dopo così tanto tempo lontano dal campo. Un ritorno a livelli da superstar che assumerebbe contorni epici.

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5) Luka Doncic – Dallas Mavericks

Partiamo dai numeri: 27.3 punti, 9.8 rimbalzi, 9.9 assist. Anche qui, siamo in orbita tripla-doppia di media con enormi possibilità che si resti a questi standard per tutta la stagione. Il problema di Luka Doncic è che Dallas non sta sostenendo al meglio la sua pallacanestro, o meglio non lo sta facendo come lo scorso anno. Il roster è leggermente cambiato (su tutti è partito Seth Curry la cui assenza si sta facendo sentire e molto), Porzingis è rientrato la scorsa settimana ed è ancora alla ricerca della forma migliore, e qualche timido screzio tra lo sloveno e coach Carlisle ha fatto emergere un nervosismo eccessivo nello spogliatoio e nella giovane star di Dallas, evidentemente seccata da una stagione in cui i Mavericks non hanno aggiunto quei tasselli utili per lottare per il titolo e sembrano ancora alla ricerca di un'identità precisa sulle due metà campo. In questo caso, il mercato potrebbe apportare delle migliorie al roster che metterebbero di nuovo i texani in carreggiata (oggi sono decimi e giocherebbero il mini-torneo Play-In per qualificarsi alla post-season) e consentirebbe a Luka di scalare rapidamente posizioni per l'MVP. Che se non oggi, arriverà domani.

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