10 storie che forse non ricordate sul Triplete dell’Inter
22 maggio 2010 – 22 maggio 2020: sono passati 10 anni da quando l'Inter vinse il Triplete, prima e unica squadra in Italia a compiere tale impresa, vincendo nell'arco della stessa stagione la Coppa Italia, il campionato e la Champions League. Un tripudio nerazzurro targato Special One, Josè Mourinho, l'artefice di quel successo dell'Inter di Massimo Moratti che in un solo mese cancellò un'intera presidenza fatta di occasioni mancate. Una squadra epica, un risultato unico che spaccò l'Italia tra chi si esaltò per l'impresa e chi – ancora oggi – rosica nell'invidia di un successo che il mondo interista mostra con orgoglio per aprire o chiudere qualsiasi discussione da bar sport.
In quello storico maggio accadde di tutto, ma anche nell'intera stagione che consegnò l'Inter nel Gotha dei pochi club eletti nell'universo calcistico (Celtic, Ajax, Psv, United, Barça, Bayern) ad aver assaporato quel trionfale successo, effetto di un'alchimia irripetibile e di eventi unici che permisero la scalata fino alla vetta più alta della gloria sportiva.
Stakanov, il Tractor e l'Acchiappasogni
Aleksej Stachanov fu un operaio minatore degli anni 30 nella Russia comunista e divenne il ‘lavoratore modello' per essere riuscito ad aumentare la produttività della sua squadra di lavoro fino a 14 volte il rendimento normale. E nell'Inter targata 2009-2010 di ‘Stakanov' ce ne furono addirittura due: Javier Zanetti e Julio Cesar. Sempre presenti, instancabili, capaci di far rendere la squadra oltre ogni suo limite. Il capitano, con la sua numero 4 nella stagione del Triplete ha disputato 55 partite su 57 saltando solo gli ottavi di Coppa Italia e contro il Bologna in campionato. "El tractor": mai soprannome fu più appropriato per l'attuale vice presidente nerazzurro che nelle restanti 55 partite della storica cavalcata è sempre stato titolare. Meglio di lui fece Julio Cesar: nella stagione 2009/10 l' "Acchiappasogni" non ha saltato neanche un minuto in Serie A difendendo i pali nerazzurri 3420 minuti su 3420. Compiendo parate decisive, ricordate dallo stesso brasiliano che ha inserito nel suo personalissimo podio quella del Camp Nou su Messi, quella su Müller in finale e quella su Aquilani nel match contro la Roma.
I 2 pilastri del Colosso ubriaco
Nella sua carriera in nerazzurro Douglas Maicon non ha mai segnato due gol in due partite consecutive e ha pensato bene di farlo nell'anno del Triplete. E non in due partite a caso: il ‘Colosso' ha confezionato due reti straordinarie per tecnica e importanza, in soli 4 giorni, tra il 16 e il 20 aprile 2010, contro Juventus e Barcellona. Il primo è un capolavoro tecnico, con 4 tocchi per gestire il pallone e scagliarlo con violenza e precisione nella porta bianconera. Il secondo ha aperto la strada verso la finale di Madrid, con il tocco di precisione sul pallone servito da Milito per superare Valdes, nella semifinale di andata di Champions League. Ma l'inesauribile Maicon sulla fascia destra, si avvaleva anche di un propellente particolare di cui si riforniva nel weekend, subito dopo le partite. Un ex nerazzurro, il romeno Zicu, ha infatti raccontato un particolare aneddoto sul brasiliano: "Mourinho aveva un giocatore che si presentava spesso ubriaco all’allenamento del lunedì: Maicon. Una volta chiese al gruppo: “Come possiamo fare per avere Maicon a posto?”, e decise di spostare la seduta alla sera. E andò così. Non si allenarono di mattina, così che Maicon potesse riprendersi per l’allenamento”.
Balotelli, ‘rosso' Ferrari
Anche Mario Balotelli fu uno dei protagonisti in assoluto, anche se più spesso per delle note stonate che per i suoi assoli in coro. Epica, la partita contro il Rubin Kazan, in Champions League, quando Mourinho diede a Mario Balotelli una serie di indicazioni fondamentali, che lui non ascoltò minimamente. "Nell’intervallo parlo solo con lui, gli dico “Mario, ti hanno ammonito, non rischiare più nulla perché non posso sostituirti, non ho altre punte”. Minuto 46 [poi in realtà era il 60′]: fallo, Mario espulso". Poco male, grazie al gol di Deki Stankovic che eviterà la disfatta. Ma SuperMario, allora un ragazzino tanto genio e troppa sregolatezza si distinse anche in un altro episodio, raccontato sempre da Mou: "Gli dissi di farsi trovare nel mio ufficio per una riunione ma lui non venne. E quando l'ho chiamato capii perché; era andato a seguire le prove del GP di F1. E mi rispose che la riunione nel mio ufficio avremmo potuto farla ogni giorno mentre il GP di di F1 in Italia c'era solo una volta all'anno. Oggi ci sorrido su, ma ovviamente al momento è stato difficile accettarlo".
L'infarto sfiorato del Presidente Moratti
Una delle epiche sfide del Triplete è stata la partita del Camp Nou, dove l'Inter difese il 3-1 di San Siro come meglio potè. Nei minuti di recupero, Bojan segnò la rete (poi annullata) che spalancava la finale ai catali. Una sofferenza atroce, così come raccontata da Massimo Moratti, il presidente che visse la gara a fianco di Laporta, patron del Barça: "Di Barcellona-Inter si ricorda spesso il fischio finale e la mia esultanza ricomposta subito nel saluto al presidente del Barcellona. Ma qualche minuto prima, senza gli occhi addosso delle telecamere, era successo tut'altro: ho sentito una fitta al cuore. Il tempo si è fermato. Non ho percepito più alcun rumore. Ho visto l’arbitro fare un passo, girarsi e indicare la punizione. Solo in quel momento il tempo ha ricominciato a scorrere, i colori sono tornati. Alla mia destra Joan Laporta era scattato in piedi, esultante. Io, seduto. Gli ho afferrato il braccio sinistro: “Lo hanno annullato”, gli ho detto. Sì, il gol di Bojan era stato annullato"
Una questione di testa: Chivu dal Livorno al Camp Nou
Triplete, vittorie e sofferenze che hanno scritto la storia. Chi ha rischiato di non parteciparvi è stato Christian Chivu, difensore romeno che il 6 gennaio 2010, complice una violenta testata di Pellissier in Chievo-Inter, perde prima conoscenza e poi verrà trasportato d'urgenza in ospedale. Per lui inizia il calvario, con la frattura al cranio, l'intervento alla tempia, la paura di non poter più giocare. Fino alla rinascita: "Le prime corse sono state tra i momenti più duri. Non avevo i riferimenti, non andavo dritto, mi capitava di cadere. C’era da ricostruire tutto". Poi, la mano tesa di Mourinho che, 77 giorni dopo Verona, lo riporta in campo da titolare, a San Siro: "Al nono minuto di Inter-Livorno arriva una palla alta: stacco e colpisco… di casco. Ovazione di San Siro. Non ero così emozionato dal mio debutto in Nazionale. E in nessuno stadio c’era mai stata un’esultanza generale per un colpo di testa innocuo nella metà campo difensiva". Il cammino verso il Triplete per Chivu inizia in ritardo ma finisce in crescendo: "Nella sfida del Camp Nou non dovevo scendere in campo. Arriva qualcuno di corsa: “Si è fatto male Pandev, muoviti, scaldati: giochi tu”. Uscii da solo, con oltre 90mila persone che mi fischiarono. Mourinho mi disse che avrei dovuto giocare alto nel 4-2-3-1. “Non c’è problema, faccio anche il portiere se serve”.
La disfatta di Catania, nascono "i campioni del Fair Play"
Non solo successi, l'Inter del Triplete conobbe anche momenti difficili come nella sfida di Catania, 28a giornata del 12 marzo 2010. 3-1 per gli etnei: vantaggio col solito Milito, poi il pareggio e infine la rimonta del Catania nei 5 minuti finali, complici l'espulsione di Muntari all'81'. Ma quella fu la partita della svolta, senza Catania non ci sarebbe stato il resto. A raccontarlo è Marco Materazzi: "Contro gli etnei arrivò una bruciante sconfitta per 3-1 a pochi giorni dal cruciale impegno di Champions sul campo del Chelsea. Il giorno dopo Catania Mourinho ci distrusse. Non risparmiò nessuno, neanche Toldo che non giocava mai. E neanche Eto’o, che sull’1-0, in contropiede, si era fermato invece di segnare perché Alvarez era a terra: ‘Non si era fatto niente… Bravi, così non vincerete mai nulla ma sarete i campioni del fair play'".
Pep parla a Ibra, Mou parla a Pep
Il nastro si riavvolge ancora e si ritorna alla sfida delle sfide, al Camp Nou. Una gara durata 90 minuti ma che potrebbe riempire interi annali per tutto ciò che accadde in quella sera. Tra i tanti episodi c'è anche un momento particolare. L’Inter è barricata davanti alla propria porta, intenta a respingere l’attacco del Barcellona, quando Pep Guardiola decide la sua mossa: chiama a bordo campo l'ex di turno, Zlatan Ibrahimovic. Ed è in quel momento che Mourinho si avvicina a Guardiola, invadendo l’area tecnica blaugrana, e gli dice qualcosa all’orecchio. Una scena che è rimasta avvolta nel mistero di quella frase sussurrata e svelata solo anni dopo da capitan Zanetti: "Mourinho era tranquillissimo, ricordo ancora la scenetta con Guardiola. Cosa gli disse? Nulla di particolare: avremmo passato noi il turno. E così fu”
Dal Camp Nou al Camp Mou
Ancora Barcellona-Inter, semifinale di ritorno infuocata da una vigilia che è rimasta nella storia, tra dichiarazioni al veleno, idranti galeotti, improvvisa movida sotto l'albergo nerazzurro per disturbarne il riposo. Così, quando è il momento di entrare in campo, tutto lo stadio colorato di azulgrana esplode il suo entusiasmo a supporto del Barça e riversa sugli avversari 100 mila fischi all'unisono. E' a quel punto che Mourinho trova la chiave di volta perchè i suoi compiano l'impresa, in un discorso rimasto epico, poco prima di entrare nel tunnel del Camp Nou: "Ragazzi, il nostro sogno è là fuori, andiamo a prendercelo. Uscirete tutti in fila, dietro di me. I tifosi del Barça mi odiano, io entrerò in campo da solo, loro fischieranno, si spolmoneranno a urlarmi contro di tutto e quando toccherà a voi andare sul prato si saranno già sfogati…"
Il Re Leone insegna come si vince
Dal Camp Nou al Bernabeu, altro tempio violato dall'armata nerazzurra. La vitoria sul Bayern arriva da lontano con un protagonista in campo ma anche negli spogliatoi, Samuel Eto'o, il valore aggiunto in una squadra in cui ricopriva qualsiasi ruolo gli venisse richiesto. E negli spogliatoi, un leader che parlò al gruppo, su suggerimento di Mourinho: "Dissi loro che avevo giocato tante finali ma questa era la più speciale. Dovevamo fare qualcosa per il nostro popolo, che se lo meritava da tantissimi anni. O moriamo sul campo e portiamo a casa la coppa, o moriamo perché non facciamo ritorno a Milano. Ringrazio Mourinho perché disse al gruppo: ‘Ora Samuel ci dirà come vinceremo'. In finale vince chi va a vincere una finale, l'importante è portarsi a casa il trofeo. Ognuno di noi pensava che avevamo sofferto molto per arrivare alla finale, superando tappe come Barcellona e Chelsea. C'era molta emozione, finito di parlare mi sono girato e ho visto che Julio piangeva".
"Sei uno stronzo!"
L'ultima magica follia di una stagione incredibile si consuma al di fuori del Bernabeu, nel commosso abbraccio tra Mourinho e Materazzi. Le telecamere scorgono fuori dal pullman dell’Inter un Mourinho che scappa velocemente in auto e un giocatore nerazzurro, Marco Materazzi, appoggiato al muro con il telefono in mano. Pochi minuti e i due si abbracciano sussurrandosi qualcosa all'orecchio: lo Special One aveva già decretato il proprio addio ai nerazzurri, scegliendo il Real Madrid. Qualche tempo dopo, è proprio Materazzi a svelare le parole che i due si dissero all’orecchio: “Sei uno stronzo, gli dissi. Te ne vai e ci lasci con Benitez, non te lo perdonerò mai. Lo imploravo di non andarsene da 20 giorni, ‘Ti rendi conto in che mani ci lasci?’ gli dicevo. Si parlava di Benitez ma l’avrei detto per chiunque altro. Poi, però, l'ho perdonato"