Vuelta: l’impresa di Fabio Aru, un uomo solo al comando del ciclismo azzurro
Un isolano, col mare nel sangue e le montagne nelle gambe. Con l’impresa alla Vuelta (senza Nibali squalificato) Fabio Aru è diventato l’uomo solo al comando del nostro ciclismo. E non è solo amor di citazione che spinge a usare l’espressione che Dante Ferretti coniò per raccontare di Fausto Coppi e della fuga solitaria lungo la Cuneo-Pinerolo al Giro d’Italia del 1949.
Gli inizi – Non è un predestinato, Aru, è un campione che si è preso col merito e il lavoro ogni centimetro del sogno iniziato a Villacidro, nel Campidano, tra maialini al mirto e la pesca alla spigola, e arrivato fino alla maglia rosa e alle vette, in tutti i sensi, del ciclismo mondiale. Mamma Antonella insegna alla scuola materna. Papà Alessandro è agricoltore, coltiva pesche, arance, mandarini. È stato un ex giocatore di tennis, e un po’ lo forza a seguire la sua strada. Ma le sue strade sono altre, non gli piace l’ambiente, quello sport non lo appassiona. Non gli piace nemmeno il calcio, anche se fino agli Esordienti è considerato un attaccante più che promettente nella squadra del paese. Ma la sua strada è un’altra, anzi più che di strada sarebbe meglio parlare di sterrati e sentieri: perché il giovane Fabio sogna il motocross. I genitori però non gli comprano la moto, e ripiega su qualcosa che gli assomigli e che metta d’accordo desideri e vincoli familiari: la mountain bike. Una Specialized nera, marca che poi ritroverà all’Astana.
Ciclocross e MTB – C’è una salita a Villacidro che tutti chiamano “sa pesada manna” (la grande salita”. È ripidissima, con punte di pendenza anche del 25%, e tanti ciclisti sono costretti a mettere il piede a terra. Aru, però, qui praticamente vola. Eccole, le sue strade. Il passaggio al ciclocross è naturare, fino alla prima vittoria con la Ozierese Carrera. Arriva fino alla nazionale, agli Europei e alla Coppa del Mondo. E lo deve in gran parte alla famiglia Cevenini, Andrea e Bruno, grandi appassionati proprietari di una gioielleria a Bologna. Andrea gli ha fatto tecnico alla Ccv, da manager e un po’ da secondo padre nel viaggio che l’ha portato dall’anonimato al podio rosa. Lo andavano a prendere all’aeroporto, lo portavano alle gare e lo riaccompagnavano all’aereo che lo riportava a casa il lunedì mattina, per la scuola: maturità classica, e una grande passione per i miti dell’antica Grecia. L’Olimpo, però, in quegli anni era ancora lontano.
La chiamata dell'Astana – L’ultima svolta al Giro della Lunigiana. Arriva solo ventesimo, ma Olivano Locatelli della Palazzago nota qualcosa e gli chiede di cominciare a correre su strada. Olivano, raccontava a TuttobiciWeb due anni fa, “Mi ha insegnato a soffrire, qualche volta anche un po’ troppo, ma mi ha fatto capire realmente come è il mondo del ciclismo. Mi ha insegnato a fare la vita del corridore, al cento per cento”. Da dilettante vince, tra gli altri il Giro delle Valli Cuneesi e il Giro della Valle d’Aosta e nel 2012 volta pagina, di nuovo. Stavolta, l’incontro è di quelli che cambiano la vita. La proposta una di quelle che non si possono rifiutare. La chiamata arriva da Beppe Martinelli, il direttore sportivo della Carrera prima, e della Mercatone Uno poi, negli anni d’oro del suo mito Pantani. Lo vuole, da neo professionista nel 2012, all’Astana, una delle squadre più forti, e più chiacchierate del ciclismo moderno. Ma a Gregory Henderson, che ha fatto allusioni al doping nei suoi confronti, Aru ha risposto con una querela per diffamazione. “La bici è la mia vita, fatta di gioie e dolori” ha detto a Marco Pastonesi della Gazzetta dello Sport. “Tanti momenti belli, anche qualche momento difficile. Ma la bici t’insegna a superarlo”.
Montecampione – Aru scala anche le gerarchie interne fino a diventarne capitano dopo il ritiro di Scarponi. E l’anno scorso, al Giro riscrive la storia. Non è una salita normale, non è una salita come le altre, quella che porta a Plan di Montecampione. Non per uno scalatore cresciuto con l’amore per Pantani, che qui si prese il Giro del ’98 a suon di scatti su Pavel Tonkov. Qui, dove prima di lui seppe vincere anche Bernard Hinault, qui dove volano i campioni, Aru prende e parte: prima ai 3200 metri dall’arrivo, “dopo le gallerie” come nelle radioline si affannava a gridare Martinelli, poi ai 2100. Nessun sardo era mai arrivato così in alto. Ed è solo l’inizio.
La prima tappa alla Vuelta – Si prende anche l’undicesima tappa della Vuelta, da Pamplona al Santuario di San Miguel de Aralar. Corre al fianco di Contador, e quando uno dei favoriti, Nairo Quintana, si ritira per una caduta, Aru è lì. Guarda sempre avanti, ma non resiste alla tentazione di guardarsi alle spalle. E l’ordine d’arrivo, dal secondo in giù, l’elenco di chi gli è rimasto dietro, è da brividi. Ci sono tutti: Valverde, Rodriguez, Contador, Froome, Uran, Sanchez. E la mente torna al Tour de France, quando Nibali, stella dell’Astana alla Grande Boucle, si va a riprendere la maglia gialla a La Planches des Belles Filles dopo la scivolata in discesa di Contador. Il 2014 è un passo avanti enorme. “Due grandi corse a tappe non le avevo mai fatte, lottare con i più forti al mondo mi ha dato una consapevolezza diversa” spiega al Resto del Carlino. “Ho capito tante cose: da come si fa a dar battaglia ai big alla pressione di correre al vertice, da come ci si comporta nel clima estremo, come la neve e il caldo torrido, a come si gestisce la preparazione per un grande giro”.
Le imprese del 2015 – Ma è in questo 2015 che cambiano le prospettive. Di vita, perché si trasferisce a Lugano con Valentina, il grande amore della sua vita, e di corse. La vittoria alla Montecchio-Jesolo, tredicesima tappa del Giro, lo porta dritto nella storia: è il primo sardo in maglia rosa. Ma come un anno fa, è la Spagna a consacrarlo. Aru si prende la Vuelta nell’ultima tappa “vera”, prima della passerella di Madrid: da San Lorenzo de El Escorial a Cercedilla. Lungo i quattro gran premi della montagna, dimentica l’accelerazione di Dumoulin sul pavé di Avila e quei tre secondi che sembravano allontanarlo dalla più grande impresa della sua carriera. È sua l’ultima battaglia della Vuelta. Ha vinto il primo grande giro della sua storia. Adesso l’ha toccato l’Olimpo, Fabio Aru da Villacidro, paese delle streghe. Più veloce di tutti, più forte di ogni paura.